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Il jazz ibrido e militante di Tommaso Cappellato

Il batterista e produttore si racconta in vista della performance di sabato 24 ottobre per JazzMi insieme al Collettivo Immaginario

Scritto da Chiara Colli il 22 ottobre 2020

Da Brooklyn al Senegal, da Los Angeles a Padova attraverso il Medio Oriente di Rabih Beaini e Maurice Louca. Radici solide nella tradizione (da Duke Ellington a Piero Umiliani) e visione aperta, fluida e proiettata verso il futuro. Avanguardia e contaminazione, il groove delle percussioni e lo slancio dell’elettronica. Dall’attitudine innovativa e inclusiva verso il jazz alla concezione ibrida della produzione musicale, Tommaso Cappellato è uno dei talenti contemporanei più dinamici del panorama jazz italiano e internazionale ed è proprio su innovazione e contaminazione che si allineano molte delle affinità in comune con un festival come JazzMi – nell’ambito del quale suonerà sabato 24 ottobre a mezzogiorno insieme al suo Collettivo Immaginario, un «esperimento performativo, compositivo e sociale a lungo termine iniziato nell’estate del 2018, con meno di dieci concerti all’attivo, in cui ogni individuo dell’organico cerca di trovare la propria identità attraverso un suono di gruppo atipico e al contempo eufonico».

Nella sua musica c’è tanto passato – a partire dall’ultimo album ispirato alle poesie di Sun Ra – ma anche tanto futuro, tanta improvvisazione non nel senso più radicale ma in quello più “espanso” del termine. «Nell’improvvisazione si riesce a catturare una magia che spesso viene a mancare nella mera esecuzione di composizioni già scritte: improvvisare non deve significare per forza cacofonia ma, piuttosto, composizioni collettive istantanee, meditazioni sonore, lasciarsi andare senza forma ma su un linguaggio ben definito». Contemporaneità che non può che andare a braccetto con il concetto di contaminazione tra influenze diverse, insito nel DNA della nostra epoca. Il jazz come terreno ancora in parte inesplorato e in divenire per tirare fuori nuovi orizzonti, esperienze sonore inedite, spazio per una sperimentazione sensoriale aperta che magari, addirittura, possa attirare verso questi suoni anche generazioni più giovani.

«Il jazz è per antonomasia musica di contaminazione. Nonostante si stia ridefinendo non solo il genere ma addirittura il significato della parola, che forse sta cominciando a stare un po’ stretta perché troppo associata a un’accezione di semi-antichità, non si può negare che la tradizione a esso legata continui a essere fucina di estrema creatività e inventiva» – racconta Tommaso. «Nessuno degli artisti che sono emersi negli ultimi anni nell’ambito di scene più “avant” può considerarsi scisso da questo retaggio. È dunque importante riuscire a comunicare alle nuove generazioni quanto lo studio della tradizione, nei suoi aspetti tecnici, di linguaggio e filosofici, siano imprescindibili se ci si pone come obiettivo quello di innovare. La scena del jazz continua a offrire spunti interessantissimi, ma bisogna stare attenti a non identificarsi troppo con un concetto che a volte può risultare incatenante. Personalmente il jazz lo vedo come una specie di mamma: mi ha creato, nutrito, forgiato, mi ha dato gli sculaccioni perché non mi comportavo bene ma poi sono cresciuto e sono andato a vivere con altre amiche, la techno, l’elettronica sperimentale, la musica araba prog, la broken beat, la soulful house. Ora vivo da solo e ho una relazione aperta con ognuna delle mie ex coinquiline».

Tommaso Cappellato (foto di Malì Erotico)

La creazione e la contaminazione sperimentale sono non a caso al centro dell’ultimo disco a nome Astral Travel, “If You Say You Are From This Planet, Why Do You Treat It Like You Do?”: alieno, soprannaturale, quasi fantascientifico ma anche molto umano, ancestrale. Il piano più spirituale e quasi trascendentale incrocia uno stream of consciousness che grazie alle voci e alla ricchezza cromatica della strumentazione si fa molto naturalista e visivo. «L’album è stato concepito nel 2015 e registrato l’anno successivo. Da tempo sentivo l’esigenza di usare il mio output musicale come veicolo di denuncia e sfogo di creazione sperimentale e nel momento in cui mi sono imbattuto nel libro “This Planet Is Doomed”, una raccolta di poesie profetiche e visionarie di Sun Ra, mi è parso il nesso perfetto per una nuova produzione col mio progetto Astral Travel. Ho pensato quindi di coinvolgere musicisti che ammiro molto della scena creativa italiana come Piero Bittolo Bon alle ance e all’elettronica, Fabrizio Puglisi al pianoforte, rhodes e arp odyssey, Marco Privato al contrabbasso, Camilla Battaglia alla voce affiancata dal leggendario vocalist losangelino Dwight Trible a declamare e interpretare i testi delle poesie. Dopo due giorni di pura improvvisazione in studio in cui l’unico copione prestabilito erano le poesie, ho mandato tutto il materiale all’amico, collaboratore e per me grande fonte di ispirazione Rabih Beaini, che ha sapientemente scolpito il materiale attraverso una meticolosa post-produzione. Il fulcro dell’album è proprio quello di porre delle domande, soprattutto di carattere esistenziale e sullo stato della coscienza collettiva, suggerendo qualche ipotesi partendo da un immaginario surreale. È stato un lavoro quasi profetico e anche il fatto che sia uscito all’inizio del lockdown è stata una coincidenza assurda».

Il fulcro dell’album è proprio quello di porre delle domande, soprattutto di carattere esistenziale e sullo stato della coscienza collettiva, suggerendo qualche ipotesi partendo da un immaginario surreale

Rabih Beaini prima e la giovane etichetta indipendente romana Hyperjazz poi, sono due coordinate importanti per orientarsi sul pianeta di Tommaso Cappellato. «Nonostante sembri mio zio, Rabih è del mio stesso anno e dopo averlo incontrato ha costituito per me un punto di svolta nella percezione che avevo di me stesso come musicista. Mi ha fatto vedere e accettare che tutte quelle regole e linguaggi che avevo imparato e appreso da fonti quanto più autentiche durante il decennio trascorso a New York, dovevano essere stravolte e manipolate verso una forma iper-personale. È stato un processo non facile, ma da quando ho voltato pagina non ho più guardato indietro. Aggettivi che definiscono il suo modo di fare musica: non-binary, ancestrale, rituale, esorcistico, erotico ed esoterico. Assieme a lui e con Upperground Orchestra abbiamo fatto delle cose grandiose che rimangono tra le più visionarie nella mia attività». Il termine “visionario” si addice parecchio anche all’uscita su Hyperjazz, che con Cappellato condivide una vocazione spinta alla contaminazione e un ragionamento ampio sul futuro e sull’apertura del jazz all’elettronica, alla sperimentazione e alle nuove generazioni. «L’attività poliedrica che sta svolgendo Raffaele Costantino (fondatore di Hyperjazz in tandem con Sergio Marchionni di Fat Fat Fat, NdR) con i suoi vari progetti costituisce un elemento fondamentale e un punto di riferimento per la crescita culturale e artistica di un certo tipo di musica in Italia. Ciò che mi piace di questa label è la trasversalità e la ricerca di una forte identità proprio grazie a ciò che io definirei irriverenza verso l’ovvio. Quello che osservo in Italia è la crescita e affermazione di una nuova generazione dove la diversità e una conseguente necessità di integrazione sono i tratti più forti e caratterizzanti. Ciò su cui a mio avviso bisogna puntare è la creazione e il mantenimento di spazi dove si possa svolgere attività di laboratorio e scambio, considerando e studiando ciò che deve succedere prima e dopo i grandi eventi istituzionali. Aggiungerei che onde evitare un’eccessiva esterofilia nelle programmazioni di rassegne e festival italiani, è importante cominciare a guardare all’identità musicale italiana come unica nel suo genere, in modo che le istituzioni possano valorizzare i propri artisti e cominciare a esportare un tipo di visione per niente scontata o emulativa».

Un concetto, quello della consapevolezza e della costruzione di un’identità musicale italiana contemporanea (di una certa assenza delle istituzioni e di una forma di “esterofilia distorta” tipicamente nostrana) che è inscindibile con le numerose esperienze all’estero e in particolare negli Stati Uniti del batterista e con l’imminente trasferimento nella sua casa adottiva, Los Angeles, rimandato a causa del lockdown. «Personalmente far notare il proprio lavoro e percorso quando si sceglie di non essere affiliati a nessun movimento o scena è deviante per chi cerca di etichettarti a ogni costo, ma forse questo fa parte degli schemi umani che io stesso cerco di scardinare attraverso quello che faccio. Ciò che noto generalmente in Italia è che l’audience è più passiva e un po’ meno interattiva rispetto a quelle che trovo a Londra o a L.A. e mi domando se forse sia una questione di eccessivo rispetto e riverenza nei confronti dell’artista o nel fatto che non si sia in grado di concepire il concerto come un rito e uno scambio energetico. Questo, in effetti, è un fattore che varrebbe la pena investigare e su cui lavorare. Ho anche notato che il linguaggio che uso viene compreso immediatamente negli Stati Uniti e questo è quasi senza dubbio dovuto al fatto che mi sono formato là. Per quanto riguarda le istituzioni siamo ancora molto indietro: da poco è uscito un bando per valorizzare la cultura italiana attraverso la musica, con lo scopo di far girare dei progetti nei vari Istituti di Cultura nel mondo. Non potevo credere ai miei occhi quando ho visto premiato un gruppo che avrebbe presentato un concerto gastronomico. Penso si possa fare di meglio…»

Quello che osservo in Italia è la crescita e affermazione di una nuova generazione dove la diversità e una conseguente necessità di integrazione sono i tratti più forti e caratterizzanti.

Di questi tempi, impossibile non chiedere a un musicista iperattivo – anche dal punto di vista dei live – come Tommaso Cappellato, come abbia passato questi mesi in parte di fermo e cosa riservi il suo futuro prossimo. «Sebbene le attività concertistiche siano state sospese non ho mai smesso di lavorare alle mie produzioni. Ho chiuso un disco contenente materiale registrato nel 2018 durante una residenza artistica a New York, probabilmente in uscita l’anno prossimo sulla mia futura label, ho creato un nuovo programma radiofonico su Dublab Radio chiamato Outerviews in cui intervisto personaggi del mondo musicale a me molto cari, ho lavorato sull’uscita del disco Astral Travel e preparato nuovo materiale con Collettivo Immaginario e col mio solo batteria ed elettronica. Da sempre per me la musica dev’essere in qualche modo militante e smuovere qualcosa, che sia il cuore o il pensiero, quindi per me il ruolo della performance live, reale, in carne ed ossa non è mai cambiato».