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Il Jerry Thomas racconta i distillati del Professore

Un asse Roma-Piemonte per la distillazione non potevano che realizzarlo loro. Il Jerry Thomas racconta i distillati del Professore.

Scritto da Nicola Gerundino il 11 luglio 2017
Aggiornato il 11 gennaio 2018

Ogni volta che ne abbiamo avuto l’occasione abbiamo ripetuto che la miscelazione a Roma deve davvero tanto al Jerry Thomas: senza Antonio Parlapiano, Roberto Artusio, Leonardo Leuci e Alessandro Procoli non staremmo qui a parlare di una scena romana del cocktail. Oltre a questo, bisogna rimarcare come quello del Jerry rimanga il progetto finora più completo e coerente, capace di declinare la propria visione della miscelazione in tutti gli ambiti del settore: lo speakeasy dove bere i drink, i corsi per formarsi e da poco anche la distillazione e la vendita dei propri prodotti. In questa chiacchierata con Leonardo (Leuci) ci siamo fatti raccontare la nascita e l’evoluzione dei distillati del Professore, nella cui realizzazione ha avuto un ruolo fondamentale la piemontese Distilleria Quaglia.

Un Ten Collins con il Gin del Professore.
Un Ten Collins con il Gin del Professore.

La prima cosa su cui ci focalizzammo all’inizio del progetto Jerry Thomas fu la riscoperta delle ricette classiche, le ricette che erano state dimenticate. E quando si parla di una ricetta si parla principalmente di due cose: quantità e prodotti. Quindi, in un primo momento abbiamo prestato molta attenzione alle quantità, alle differenze tra le ricette di fine 1800 e quelle attuali, poi abbiamo iniziato a interrogarci sui prodotti: che differenze ci sono tra gli spirit di oggi e quelli che venivano utilizzati una volta? Facendo ricerche, leggendo vecchi testi che raccontavano la produzione di alcuni spirit già nel 1700, ci siamo resi conto che c’era una grande differenza. Per cui ci siamo detti: «Perché non riprodurre anche gli spirit per rendere l’esperienza del Jerry Thomas ancora più autentica?». Così abbiamo iniziato così a muoverci in Piemonte, perché uno degli spirt più accessibili dal punto di vista strettamente produttivo era il vermut: è più facile avvicinare un produttore di vermut in Piemonte che non andare negli Stati Uniti e accordarsi con un produttore di bourbon o rye o andare in Francia alla ricerca di un distillatore di cognac con cui collaborare. Abbiamo bussato alla porta di diversi produttori e abbiamo ricevuto un sacco di porte in faccia, perché la nostra idea veniva ritenuta improponibile, con dei costi alti. Insomma, nessuno pensava che ci sarebbe stato un mercato per dei vermut del genere. Parliamo del 2008-2009, anni in cui in Italia c’erano tre o quattro produttori di vermut disponibili sul mercato, di cui tre industriali. Poi abbiamo trovato Carlo Quaglia, dell’omonima distilleria, che faceva già di suo un lavoro molto interessante sui liquori di stile piemontese, decisamente simile a quello che avevamo in mente noi, a partire dalla salvaguardia di alcune ricette tradizionali. Il nostro progetto era quello di realizzare un prodotto che fosse fortemente connesso non solo al passato, ma anche al territorio, cosa che si era già persa a inizio Novecento con la prima massiccia industrializzazione della produzione del vermut. Noi invece abbiamo voluto dare al prodotto una forte identità territoriale, abbiamo voluto riscoprire i vitigni di una volta, le artemisie e le spezie locali. Abbiamo voluto far lavorare tutto il territorio, a cominciare dai produttori di vino e spezie che prima erano tagliati fuori dalla catena produttiva, perché le grandi aziende hanno ovviamente modalità diverse di raccolta e acquisizione delle materie prime. Siamo andati spesso in Piemonte, di persona, a vedere e conoscere le piante da utilizzare e lo facciamo tutt’ora.

Una vecchia foro della Distilleria Quaglia.
Una vecchia foro della Distilleria Quaglia.

Insomma, quando gli abbiamo presentato il progetto, Carlo si è dimostrato subito disponibile ad aiutarci, producendo un vermut seguendo le nostre indicazioni storiche. Abbiamo lavorato fianco a fianco diversi mesi, analizzando le diverse ricette a nostra disposizione e facendo delle prove, finché non abbiamo trovato il prodotto che ci piacesse e lui ha confermato di essere disposto a produrre. Nel 2012 abbiamo imbottigliato le prime bottiglie: pochissime, credo un 120 litri. Quell’anno eravamo stati invitati a Parigi per presentare il Jerry Thomas a un evento importante che si chiama Cocktail Spirits e ci volevamo essere con tutto il progetto completo: non solo il locale, ma anche l’attività di formazione, la produzione dei liquori etc. Oggi, a distanza di cinque anni, esportiamo in 14 paesi e il Vermouth del Professore è diventato una realtà internazionale. La cosa bella è che è siamo stati d’ispirazione per molti produttori che hanno iniziato a credere nel mercato del vermut, producendo o riproducendo dei vermut più o meno artigianali. Quindi ci possiamo un po’ attribuire il merito di aver rispolverato un mercato che sembrava perso o comunque in mano a pochi grandi brand.

I Vermouth del Professore.
I Vermouth del Professore.

Quello del gin è stato un progetto altrettanto interessante. Sempre facendo ricerche, è venuto fuori che negli speakeasy non si facevano molti cocktail, anzi, principalmente si bevevano spirit lisci, champagne e via dicendo. Alcuni di questi spirit erano importati illegalmente dal Canada o dall’Irlanda. Altri venivano fatto il loco, soprattutto da dottori, che erano gli unici autorizzati a comprare l’alcol legalmente e quindi producevano diversi spirit per i locali dove si beveva illegalmente, tra cui c’era questo famoso bathtub gin. Il bathtub veniva fatto con una tecnica diversa: non veniva ridistillato dopo l’infusione con i botanical, ma veniva imbottigliato subito. Noi distilliamo il ginepro, un botanical unico quindi, e dopo la distillazione lo mettiamo in infusione con le spezie, le erbe, la frutta fresca. Questo procedimento dà un prodotto totalmente diverso, molto vicino a quello dell’epoca proibizionista. Ha un gusto più marcato dal punto di vista della speziatura e ha una dolcezza naturale, non ha la secchezza tipica dei gin London Dry, ma un profilo aromatico diverso, più rotondo, più morbido. Ad esempio, è un gin che può essere bevuto liscio. Anche il gin, nelle sue due versioni, à la Madame e à la Monesieur, lo facciamo con la distilleria Quaglia, di cui siamo diventati soci. Nel 2013 abbiamo fatto la prima linea di gin, commissionando l’etichetta a uno studio di tatuaggi che si chiama Widomless e ha una sede a Roma e una a Copenaghen.

Il Gin del Professore, à la Madame.
Il Gin del Professore, à la Madame.

Ovviamente poi utilizziamo i nostri distillati per fare dei cocktail particolari. Abbiamo una linea personalizzata di drink che chiamiamo “del Professore”, immaginando che il Porfessore Jerry Thomas all’epoca possa aver utilizzato gli stessi prodotti che proponiamo, proprio in termini tecnici, di caratteristiche. Facciamo il Martinez, il Negroni, il Martini à la Madame o à la Monsieur, utilizzando Gin e Vermouth del Professore. Il nostro è un approccio classico alla miscelazione che tende a personalizzare piuttosto che creare drink nuovi o particolarmente scenografici.

Vermouth del Professore: not for stupid people.
Vermouth del Professore: not for stupid people.

Vermouth e Gin del Professore li vendiamo in un nostro store, a cui abbiamo iniziato a pensare l’anno scorso, vedendo che i prodotti ormai venivano distribuiti in tanti paesi esteri, quindi era giusto avere una sorta di flagship store vicino allo speakeasy, per chiudere il cerchio. Lì abbiamo tutta la linea del Professore, altri liquori che produciamo sempre con Carlo Quaglia e collaborazioni che abbiamo con tante distillerie in giro per il Mondo: piccolissime produzioni, limited edition che scegliamo noi, come un barile di whisky o un jenever con un taglio particolare. Non abbiamo prodotti generici, ma solo prodotti nostri. Nei prossimi giorni faremo uscire anche un aperitivo e un bitter.