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Il problema non sono i muri sporchi, ma l’ossessione per il decoro sbagliato

Scritto da Salvatore Papa il 31 luglio 2022
Aggiornato il 26 dicembre 2022

Foto di Asia Giannelli

“Una delle cose più odiose di una città sono le scritte sui muri, in particolare nel centro storico”. Così esordisce il sindaco Matteo Lepore in un video sui suoi social in cui racconta la grande conquista della propria amministrazione: ovvero un piano per ripulire le pareti della città che permette di intervenire anche sui muri dei privati – cosa che prima non era possibile – e più controlli e multe per chi sporca. Un piano che costicchia: l’importo complessivo ammonta infatti a 1 milione e 900 mila euro, per il momento.

La questione è un eterno ritorno nel dibattito pubblico bolognese, ma negli ultimi anni l’interventismo del Comune ha subito un’accelerazione. Mentre, infatti, fino a ieri la pulizia dei muri era a spese dei proprietari privati o iniziativa di qualche associazione di volontari, ora l’Amministrazione potrà attivarsi direttamente contando sulla regola del silenzio-assenso che si applica a un mese dalla prima comunicazione postale.

I muri sporchi “che deturpano la città” sono, insomma, una fissa da sempre, ma l’ossessione per il decoro ora trova una sponda importante nella certificazione UNESCO sui Portici, ché un patrimonio dell’umanità ha bisogno di presentarsi in un certo modo.

Chiaramente “tutti” sono concordi che le opere di street art vadano tutelate, anche se nessuno in nessun posto sulla Terra è ancora riuscito a spiegare quali siano i criteri oggettivi per differenziare tra “bello” e “brutto”. E si parla addirittura di istituire una commissione di esperti ghigliottinatori.

Il punto sta, insomma, anche lì: chi ha il diritto di decidere cos’è odioso e cosa no? Dove si ferma la morale soggettiva e inizia quella assoluta? Siamo, insomma, certi che le scritte sui muri siano “una delle cose più odiose di una città” che ha molti altri problemi che impattano direttamente sulla vita di chi la abita piuttosto che sugli occhi dei turisti che guardano o sulle classifiche di tripadvisor?

“Muri puliti, popoli muti” recita un vecchio adagio. Perché i muri raccontano spesso una storia comune e diventano testimonianza dei problemi del nostro tempo, sono “sismografo del nostro presente […] e senza che nessuno in realtà lo voglia, contribuiscono alla costruzione identitaria della città“, come ha scritto Serendippo. Ripulire i muri ha quindi anche un altro significato: nascondere i conflitti.

Parafrasando Tamar Pitch nel suo libro Contro il decoro (Laterza, 2013), una città decorosa è in primo luogo una città in ordine e pulita. “Ordine e pulizia indicano a loro volta il lavoro indefesso e invisibile della casalinga in lotta contro germi e batteri, impegnata nel tenere sporco e confusione fuori dalle mura domestiche. L’ordine e la pulizia della casa rimandano al desiderio di controllare il proprio mondo e sé. Così per le città”.

Ecco, quindi, che il tema del decoro si unisce a quello del controllo. E nella lotta per il decoro e il controllo, sempre per citare la Pitch, i “perbene” si contrappongono ai “permale” e “gli elementi di disturbo del decoro si spostano in periferia, lontano dagli occhi giudicanti dei cittadini perbene”. 

La questione apre, insomma, a una marea di spunti di riflessione e contraddizioni. Perché la nostra Bologna che oggi non vuole tollerare i “vandali” e le scritte sui muri, è quella che finora ha tollerato la tavolinizzazione selvaggia dello spazio pubblico, i mega cartelloni pubblicitari che distruggono il panorama della sua piazza principale, lo sporco dell’aria sempre più inquinata, l’arroganza delle compagnie aeree contro i disagi di intere parti di periferia, le centinaia di cittadini costretti a vivere per strada o gli affitti a prezzi stellari, la marginalità sempre più marcata e le disuguaglianze crescenti, ecc.

Facciamo, quindi, anche nostro l’appello di Serendippo: “chiediamo al Sindaco e alla sua giunta, in qualità di operatori culturali, che si apra sul serio un tavolo sul tema del decoro inteso come risposta alla marginalità sociale e che si apra un tavolo sul tema dello spazio pubblico inteso come spazio della collettività in cui possano convivere forze antagoniste che incentivano un dibattito costruttivo  in un’ottica di visione di città pubblica”.