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Il quartiere Navile visto dai Pin Cushion Queen

La band racconta la propria zona attraverso parole, immagini e musica.

quartiere Bolognina

Scritto da Pin Cushion Queen il 28 ottobre 2022

Vacuum Studio

Il nome Pin Cushion Queen è dovuto a una filastrocca di Tim Burton. La band composta da Igor Micciola, Marco Calandrino e Paolo Mongardi ha da poco tirato fuori il terzo album Stories, uscito per Locomotiv Records, dieci brani composti in periodi diversi e con intenzioni, suggestioni e influenze altrettanto diverse, come sempre successo nella storia della formazione bolognese passata dallo stoner all’elettronica, da riferimenti di musica classica e jazz al noise, senza nessun rispetto dei confini e delle regole di genere.

L’album sarà presentato sabato 29 ottobre al Locomotiv e per l’occasione gli abbiamo chiesto di raccontarci il loro quartiere preferito, la Bolognina, attraverso parole, immagini e una playlist di brani.


Ognuno di noi tre ha un vissuto a Bologna molto diverso dagli altri due, imparagonabile e senza un quartiere che ci possa accomunare. Eppure il gruppo, nonostante sia stato sempre piuttosto nomade (tra Imola, Bologna, Parma e la provincia di Mantova), ha in effetti nel quartiere Navile tutti i luoghi più importanti che hanno segnato la sua storia negli ultimi sette anni. 

Molti dei brani degli Ep Settings e del nostro primo album Stories sono stati pensati e costruiti in una sala prove in via Di Vincenzo, una traversa di via De’ Carracci. È un grande immobile costruito per contenere centinaia di box/garage e noi, come tanti altri, ne avevamo affittato uno per riempirlo di strumenti, amplificatori e tutto il necessario per provare. Quando suonavamo lì, si poteva ascoltare chi si preparava per una serata da piano bar, chi faceva del metal più incazzato la propria religione, chi sparava elettronica ipnotica da delle povere casse al limite, ma anche famiglie indiane che si ritrovavano per fare musica tradizionale con tanto di tabla e shruti box. La stessa copertina di Settings è la manipolazione di una foto scattata tra gli spazi comuni di quel palazzo.

A due minuti da lì, c’è Lo Studio Spaziale, in via Albani, dove Roberto Rettura ha registrato la maggior parte di Settings. È stata la prima volta in cui ci siamo presi il tempo e le risorse necessarie per fare le cose al meglio delle nostre possibilità. Ma è stata anche la prima volta in cui ci siamo sentiti parte di una sorta di “giro” (nell’accezione migliore del termine): nello studio di Rettura ci si incontrava per concerti ed eventi vari, con altri musicisti, etichette, uffici stampa etc.

Poco dopo, per i mix ci siamo spostati sul lato opposto del quartiere, in via del Gomito, vicino al carcere. Parliamo del Vacuum Studio, dove Bruno Germano ha chiuso Settings e, qualche tempo fa, abbiamo prodotto insieme a lui Stories. Quello in via del Gomito è uno scenario completamente diverso: sei letteralmente in campagna. È un mondo che sembra fatto apposta per rallentare e concentrarti sul tuo lavoro. Eppure anche qui il via vai di musicisti è costante: abbiamo incontrato più volte Iosonouncane, Stefano Pilia, Massimo Pupillo, Simone Cavina, membri dei Cut, Giardini di Mirò e molti altri più o meno noti della nostra “area musicale” (qualsiasi cosa voglia dire). In via del Gomito sei burocraticamente a Bologna, ma in realtà è un altro pianeta.

Sempre nel quartiere, infine, c’è il Locomotiv. Tornando verso la città, verso il brusio e l’eccitazione perenne, questo è il locale in cui negli ultimi dieci anni abbiamo visto alcuni dei concerti a cui tenevamo di più. E da quando la neonata Locomotiv Records ci ha scelto per la loro seconda uscita discografica dopo i Korobu, non ci sentiamo più ospiti, ma è un po’ come stare a casa nostra (con buona pace di Tea, Marianna e Giovanni che devono sopportare i nostri mille dubbi). Non si contano le riunioni, più o meno serie, ai tavoli del Kinotto e le persone che negli ultimi mesi abbiamo conosciuto qui, come Antonia di Sfera Cubica o Elide Blind, che ha firmato il video di Hiccoughs (uscito il mese scorso). 

Non sappiamo se il Navile abbia una sua identità vera e propria, se non sia solo un’espressione geografica. Ma se c’è, allora forse la trovi proprio nel filo che unisce le tante “città” diverse al suo interno. In fondo, come da tradizione bolognese.