Cominciamo come sempre con un’introduzione, una variazione sul tema. Oggi, amici di Zero, parleremo di cosa significa saltare i fossi per il lungo, come dicevano i nostri nonni. Chi è cresciuto in provincia ricorderà questa iperbolica frase a impatto, sogni di potenza che vogliono infrangere ogni limite e ogni soglia fisica, un detto che solitamente si riferisce ai giovani, quelli che hanno energie infinte, inesauribili, che sono motori a cilindri magnetici, di quelli che per anni hanno percorsi i subdoli flussi di Reddit viralizzando il verbo dell’ecologia meccanica, dell’energia pulita, del sole interminabile, del sogno di un’eterna giovinezza, incapace a fermarsi, disponibile, sempre, continua, come questa frase lunghissima che si respira nelle cadenze delle virgole, che se usate con un minimo di coscienza permettono di essere come quel motore magnetico e quindi come quel giovane, inesauribile e interminabile, lunghissimo, ma fermiamoci pure qua con un punto. Perché poi ci sarebbe da dire anche che “saltare i fossi per il lungo” non è che si dicesse solamente ai giovani e alle loro energie, ma ricopre anche quella bella funzione sorniona che vestono persone come mio nonno, per dire, quando ti dicono che loro da giovani davvero “saltavano i fossi per il lungo”, ecco, e tu da piccolo cresci chiedendoti che cosa significhi o che cosa ti vogliano dire con quella balla bella e buona.
Il runners del Naviglio è uno sciamano sportivo che va a scoprire e ritrovare quello che l’orda ha nascosto.
Saltare i fossi per il lungo, ovvero capire la logica della sensazione energica. Cos’è una sensazione energetica? Noi potremmo spiegarvelo con tanti giri di parole, e vi giuriamo che lo faremo, ma a noi l’hanno spiegato altri: i runners che corrono giornalmente sui Navigli, che ogni mattina indossano le scarpette da corsa, si ferrano, e partono alla volta dei paesaggi di Milano Sud, seguendo, ovviamente, i corsi d’acqua. Insomma, quando abbiamo cominciato a cercare di farci un’idea di come si corresse lungo i Navigli, perché questi corsi d’acqua fossero così adeguati alla corsa, tutto ci saremmo aspettati meno che una sorta di psicogeografia urbana ai margini del quartiere. Sì, perché qua il runner, a quanto ci pare, segue più la logica della sensazione che quella della fatica, o meglio, la fatica conduce alla sensazione, all’essere affetti dal percorso che fai e dalle cose che vedi. E come nella psicogeografia situazionista ci si perde nella città, e lo si fa solo per capirci qualcosa di più, per trovare ciò che sfugge tra i ritmi assordati dal trantran della città, della folla, insomma, si ricercano sensazioni, colori, figure e sfondi che normalmente vivono di trasparenze, ecco, il runners del Naviglio è uno sciamano sportivo che va a scoprire e ritrovare quello che l’orda ha nascosto, che va a scovare l’invisibile, che si sposta Oltre-le-Colonne d’Ercole dei Navigli mosso soltanto da un impeto animalesco, dal fiuto, dalla sensazione.
Infatti, per dire, ci hanno confermato che si tratta di una questione di scoperta. Che direte voi, così su due piedi, è chiaro, no? Davvero lo è? Davvero? Ci teniamo comunque a spiegarvelo, come piace a noi, che certo non corriamo ma sappiamo ascoltare la rottura del muro del fiato di chi corre, seguirli nei tragitti che compiono e infine sapervi dire le differenze. Intanto, per cominciare, se corri il paesaggio non è che ti passa davanti come se fossi sul tram, comodo, svaccato, stanco, al telefono, ad ascoltare i discorsi degli altri, no; il paesaggio lo senti, la velocità la setti tu, biologicamente, a fiato, e il risultato è innanzitutto che te lo ricordi, il paesaggio, le strade e via dicendo.
A questo punto, potreste dire, beh, basta una passeggiata. E invece no, ve lo diciamo subito. È necessario un certo ritmo e una certa velocità che si danno nella determinazione dello sgambettare, del running vero e proprio, che poi è una questione di ripetizione che ricapitola una storia profonda, insomma, se mai vi foste posti la questione del perché il corpo che avete rilascia endorfine superata una certa soglia di sforzo fisico, soprattutto correndo, la risposta ve la dà Zero senza stare a cercare qua e là: è una memoria biologica che ricorda cosa si prova a fuggire quando eravamo prede e non soltanto predatori, giusto per farvi capire come le soglie della scoperta dei runners, dei limiti del fisico, del rompere il fiato, ecco, abbiano un qualcosa di magico, sciamanico, di quelle esperienze che entrano in contatto con animali patroni, animali perduti, che solo gli sciamani possono disvelare. C’è chi balla e chi corre insomma, ma alla fine della fiera si fanno entrambe le cose per perdersi.
Perdersi rimane comunque una questione personalistica, soggettiva, se ci pensate bene. Nel senso, “si” perde qualcosa, mentre il “perso” tendenzialmente si sta facendo i cazzi suoi e magari pure è contento. Per esempio, si è perso Reggie, che di natura è molto socievole. Reggie è uno dei nostri animali patrono, un pappagallino calopsitta che possiamo solo immaginare svolazzare qua e là nel tentativo di colonizzare la natura selvatica dei Navigli
E poi, ovviamente, c’è Zero. Poco abituato a uscire da solo, amante della compagnia, eccitato ma discreto, insomma, se già vi abbiamo detto altrove che l’Uomo Tigre, Zero, s’è appostato sotto casa vostra, all’angolo di casa, c’è chi invece sostiene di cercarlo fin nei cofani delle macchine, nelle cantine e nei giardini dei vicini, ecco, il gatto Zero è uscito da solo e non ha più saputo trovare la strada di casa, non tanto perché da soli non si esce, quanto perché ci vuole sempre, sempre una compagnia, e noi di Zero lo sappiamo bene, per questo cerchiamo Zero. Zero cerca Zero e anche voi cercate Zero, mi raccomando, e assieme cercate Dea, cagnolina dal nome che a un primo sguardo può sembrare divino ma appena ci pensi un attimo ricominci a correre, lanciando le buste nel Naviglio.
Corsa, corsa, rimaniamo alla corsa, l’origine del motore, dalla corsa al cavallo ai cavalli dei motori a scoppio, è un paesaggio che cambia, che scorre davanti allo sguardo e al fiato del corridore che falcata dopo falcata diviene quell’entità endorfinica che dicevamo sopra, solo correndo, e insomma, appena usciti, sarà il fiato corto o il corpo elevato alla potenza muscolare e metabolica, ecco l’aperto i cui protettori sono gli asini, quegli asini che nessuno vorrebbe essere ma che tutti, tutti, un po’ dovremmo ricordare, rallegrandoci di non saperne un cazzo, asini come Lucio, l’asino d’oro dell’Apuleio che ti scruta da ogni sguardo somaro. Sacro, l’asino sacro.
E anche i runners compiono giornalmente le imprese degli eroi, proprio come l’asino Lucio: saltano i fossi per il lungo, percorrono anabasi discrete, e via, dalla costa dei Navigli oltre le Colonne d’Ercole, verso il mondo che ancora vi fa vibrare le retine come nelle migliori serate, ma questa volta per lo stupore del viaggio, lo stesso che i marinai provano sull’orizzonte del mare i Navigli ve lo sbattano in viso con una linea perpendicolare che si frastaglia nell’esotico della natura selvatica, e via, verso le anabasi della modernità. Il running sui navigli apre le piste, apre gli occhi, spalanca le porte della città, letteralmente. Ne escono templi e architetture monumentali che ricordano i tempi futuri, dai relitti industriali abbandonati che trasportano il Berghein negli spazi nascosti di Milano, pronai in cemento agghindati d’edera selvatica fino a strani edifici piramidali e neri che solarizzano il sole, chiese zoroastriane o monoliti kubrikiani che invertendo le luci in ombre, visioni che sollevano domande metafisiche e punzecchiano il dubbio che forse sei in iperventilazione, che quei luccichii, lucciole abbacinanti che riempiono a sciame il tuo campo visivo, sono certamente affascinanti ma forse no, e allora rallenti, riprendi la ritmicità del fiato e ti trovi nel bel mezzo di una colonia felina che costeggia un orto abusivo, il tutto inquadrato da un’atmosfera di parco-fattoria per famiglie. Qui è come se la città si fosse piegata in diversi punti, tipo uno di quegli origami estremamente complicati o meglio ancora come la dimostrazione foglio e matita della curvatura dello spaziotempo, perché insomma, c’è di tutto e di più, e questo tutto è di più è la scoperta dei runners, la piega dei runners, che assecondano il tragitto lungo il naviglio fino a far piegare la città, tipo un tapis-roulant su cui è stampata la mappa di Milano, ecco, si torna sempre lì ma ad un passo continuamente diverso, quello della cadenza del fiato per loro e per l’iperventilazione per noi.