La fauna che gravita intorno a un aeroporto è quanto di più eterogeneo e inclassificabilmente magico possa esistere al mondo. La sua bellezza sta tutta qui. L’aeroporto è forse il vero non-luogo democratico per eccellenza, dove mille culture e classi sociali con interessi e scopi differenti si incontrano, dando vita a un melting-pot di transito che fa viaggiare prima ancora di essere partiti. Mi è sempre piaciuto osservare il via vai nei corridoi, le espressioni e i gesti dei viaggiatori, interiorizzare le loro sensazioni. Poi l’illuminazione: perché semplicemente immaginarle quando posso farmele raccontare?
Alle partenze incontro Lavinia. 32 anni. Lavora ad Amsterdam da qualche mese e a Milano ha lasciato una casa, un gatto e un fidanzato (rigorosamente in quest’ordine di importanza). Torna spesso, un paio di volte al mese, ma ancora soffre il distacco come fosse la prima volta. Per lei Malpensa rappresenta la speranza del ritorno ma anche la violenza della separazione. Poi c’è Giacomo. Lui ha un biglietto per Madrid in tasca. Due giorni, una notte e tante speranze, anzi una sola: quella di stracciare il record spagnolo di Tinder appartenente a un cugino di terzo grado di Nacho Vidal. Giovanna invece vola a Parigi per la prima volta. Della Tour Eiffel le interessa il giusto, anzi probabilmente un po’ meno. Il suo monumento preferito è Adam Levine, la sua religione si chiama Maroon 5. Questa sarà la settima volta che ascolterà i suoi beniamini dal vivo e l’Accorhotel Arena automaticamente le sembrerà il posto più bello del mondo.
Al ritiro bagagli incontro Flavio e Gianmarco. Sono appena tornati da una vacanza studio a Dublino e la Guinness ha rappresentato il 96% delle loro entrate idriche complessive. Non hanno imparato una parola d’inglese in due, però in compenso sanno a memoria gli orari d’apertura di tutti i pub di Temple Bar. Questi sono i cervelli in fuga del cui ritorno abbiamo bisogno come, se non più, del pane.