Il corvo di Jazz is Dead torna sopra il cielo di Torino, torvo tra i graffiti anamorfici del Bunker, per mietere vittime tra gli appassionati di sonorità estreme, deviate, mutanti. Proprio il concetto di mutazione è il filo conduttore di questa quinta edizione del festival: del resto la morte del jazz non è mai stata l’acritica accettazione di una fine quanto l’occasione di cogliere una trasformazione, di coadiuvare un nuovo inizio.
Del jazz si trascende qui ogni certezza, per recuperarne invece un fuoco primordiale, selvaggio, imprevedibile.
Un percorso e un programma ovviamente fuori da ogni logica di mercato e di algoritmo, impossibile da ingabbiare in un genere in senso stretto, nella misura in cui del jazz si trascende qui ogni certezza, per recuperarne invece un fuoco primordiale, selvaggio, imprevedibile. Un approccio verrebbe da dire epidermico e sinestetico, definizione probabilmente vicina al pensiero di Charlemagne Palestine – uno dei tanti outsider totalmente fuori dagli schemi in cartellone, insieme alla Time Machine Orchestra – che per parlare della sua opera dice di non amare nemmeno la parola musica, a suo dire fin troppo specifica!
E allora dimenticate l’etichetta e le etichette, godendo senza freni e senza punti di riferimento di fronte alle performance incendiarie di leggende come i redivivi Dälek (una stella polare per chiunque abbia cercato vie meno battute nella scena rap, ormai da più di due decadi), il mai domo The Bug (accompagnato per l’occasione dal grime mc Flowdan) o gli svedesi Fire! capitanati da Mats Gustafsson. A questo punto mollate gli ormeggi e navigate a vista col noise del trio Kali Malone/Stephen O’Malley/Lucy Railton o con la psichedelia degli Holy Tongue (progetto dove ritroviamo la percussionista Valentina Magaletti, già vista all’opera con Vanishing Twin e Nicholas Jaar). Tra un trip e l’altro, perdetevi anche tra gli scatti dell’esposizione fotografica 404 – JAZZ NOT FOUND, curata dal Collettivo Fotografi Jazz Torino (CFJTo), in linea con lo spirto del festival anch’essa poco conforme alla dinamiche del reportage classico. Alla fine dovreste sentirvi totalmente in balìa delle onde, alla deriva: sperduti ma allo stesso tempo arrivati. E un po’ cambiati forse. Il corvo sarà lì ad osservarvi compiaciuto dall’alto.