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La Birra: una strada e due incroci

Il rapper Fu Kyodo racconta Borgo Panigale attraverso parole, immagini e musica.

Scritto da Fu Kyodo il 1 luglio 2022
Aggiornato il 4 luglio 2022

Manuel “Fu Kyodo” Simoncini è un rapper bolognese, membro fondatore del gruppo Fuoco Negli Occhi, che ha fuso il suo percorso artistico all’impegno sociale e alla vocazione educativa.
Attivo sulla scena dalla fine degli anni 90, dal 2006 porta l’hip hop in giro per le scuole e le cooperative sociali con finalità educative e attualmente è anche educatore socio-culturale presso La Carovana Onlus operando nell’ambito dell’educativa di strada, della riduzione del danno, di centri giovanili, servizi socio-educativi, interventi individuali e ricoprendo il ruolo di coordinatore.
Nel 2021 ha pubblicato un libro chiamato HipHop Philosophy: educare alla creatività con il rap per la casa editrice La Carmelina e a luglio dello stesso anno ha ripreso il suo percorso artistico realizzando un singolo chiamato Sogni Sommersi in collaborazione con Claver Gold e Gian Flores per Glory Hole a cui è seguita la collaborazione con Swelto chiamata Fiore dell’Apocalisse. Ora sta lavorando al nuovo disco solista in uscita per fine anno.
Fu Kyodo è stato ospite il 3 luglio alle h 21 della rassegna Circolare Periferica, che racconta i quartieri attraverso la voce dei rapper con un palco mobile in giro per i giardini tra i palazzi della periferia. La sua tappa ha toccato il Giardino J. Popieluszko del Villaggio INA di Borgo Panigale, il quartiere dov’è cresciuto.

Ecco il racconto che ha scritto per noi.


La Birra: una strada e due incroci

Crescere al bar, odore di frizzantino e sigarette, i calli sulle mani di mio nonno. Il Cral, le palle da bigliardo che scorrono sul panno caldo fra il vociare degli anziani, le briscole e le risate. Un pugno di gettoni per passare il pomeriggio. La noia davanti al televisore dopo pranzo, di domenica, un pallone che rimbalza su un muro di solitudine.
Poi i motorini parcheggiati e le balotte, l’insicurezza e l’aggressività, un cappellino davanti agli occhi come unica corazza, le bombolette nello zaino mezze vuote risuonano metalliche nella notte a ritmo di musica mentre corro per non farmi prendere.
La nebbia dentro e fuori, fra i lampioni, i vicini e i parenti che con gli anni smettono di guardarsi in faccia. Le risate, le estati e gli inverni sulle panchine, senza alternative se non le rime e le lettere che si intrecciano sul quaderno, fra le espressioni, le note, le fughe e le bocciature.
Gli amici in cantiere a 16 anni e di sera in cantina o in quartiere con le bottiglie sul muretto e l’alcool sulle scarpe. I genitori in pensiero non dormono finché non sentono la porta chiudersi e un corpo che si trascina a letto sperando di svegliarsi il giorno dopo. La promessa di non farlo mai più si infrange ancora prima di essere pronunciata.
Il nonnismo patetico di chi torna dalla naja e si improvvisa aguzzino ma solo coi più deboli, gli schiaffi e le sassate nelle gambe per gioco, per riempire il tempo nei pomeriggi afosi sulle rive del Reno. I documenti sul cofano e le mani in vista. Lo sguardo sdegnato degli anziani che fino al giorno prima ti vedevano come loro nipote. L’autobus affollato che ad una certa smette di passare e ti tocca fartela a piedi dai 2 ponti. L’orgoglio di dire “Sono della Birra”
Anche se poi alla Birra c’erano giusto le pizzette di Claudio e le crescentine di Bonora, una grande chiesa con su scritto proprietà privata e la porta chiusa, tre parrucchiere, un’edicola e un paio di campi da basket.

Mia nonna camminava lenta oltrepassando la Coop chiusa da diversi anni, al suo posto la promessa di un supermercato oltre la casa gialla, sotto le case nuove ancora in costruzione. Il bancomat più vicino a 2 chilometri ed i negozi che chiudono, per riaprire e richiudere dopo poco. Le auto che passano, dirette all’aereoporto, si fermano giusto per fare benzina o per comprare un pollo allo spiedo, saporito e abbondante. Oggi il rumore degli aerei si é spostato in via Zanardi e il traffico alle 5 e mezza è migliorato, ma certi giorni non scherza.
Ogni tanto passo al Campo ma non incrocio un’anima viva neanche per sbaglio. Quindici anni fa la fontanella è stata rotta con una tenaglia da un signore “per bene” perché i rom la usavano civilmente per bere e lavare i panni, nessuno l’ha mai riparata.
Oggi i figli del Reno non lo vanno più a trovare e non portano più omaggi al dio del fiume.
Oggi il supermercato ha aperto ma mia nonna non ha fatto a tempo a vederlo e i miei già se ne sono andati in un piccolo e umile paesino dove però non manca niente tranne mio padre che ci ha giusto potuto fare quattro passi prima di salire sul monte con mio zio.

Qualche ragazzino timidamente attraversa la strada pronto ad andare nel mondo, stupito e curioso in cerca di esempi che non trova seduti ai tavolini accanto alla fermata del bus, tanto meno fra le macerie del Cral. Alza gli occhi e guarda la chiesa, chiusa perché il parroco è passato a miglior vita e non è mai stato rimpiazzato.
Forse sui tetti delle scuole ci sono ancora le nostre ombre, nel parcheggio l’eco delle sgommate e il rombo delle marmitte rovesciate che però a me non interessavano granché.
Io me ne fregavo delle discoteche e delle serate in riviera, delle pastiglie e della musica elettronica, io avevo trovato l’HipHop e sull’81 mi era stato donato un soprannome che faceva pandan con la mia giacca di pelle. Giravo da una compagnia all’altra, dalla Birra a Wolly, dal Titanic alla Barca passando da Casalecchio, Casteldebole e Santa Viola. Aprivo le portiere della mia Y10, mettevo un beat e rappavo, poi in centro per trovare qualcuno che avesse la mia stessa passione. Così il tempo passa, le relazioni si allentano, gli amori cambiano e in molti decidono di cambiare aria. Pure io me ne sono andato da diversi anni e sono tornato per andarmene di nuovo, anche se non molto distante.

Ora quando passo in auto per via del Triumvirato tutto sembra immobile: il Parco dei Pini è ancora lì che attende che qualcuno gli rivolga parola. I graffiti si sono sbiaditi ed è chiaro che il degrado non è nei colori ma nell’incuria e la desolazione non risiede nei luoghi ma nella mancanza di rapporti, di incontri e di momenti da vivere assieme. Il frinire continuo delle cicale sembra pretendere musica e balli di festa, bancarelle e attività sportive, forse vorrebbero respirare cultura a cielo aperto per poter tacere e ascoltare. Il graffito accanto al chiosco per me era come un totem ed è ancora lì, intatto resiste alle sabbie del tempo e alle intemperie.
Ora se voglio rivedere i miei vecchi amici passo al Vintage e loro mi salutano come sempre, come se non ci vedessimo dalla sera prima, come se nulla fosse cambiato.

Ora cammino per Borgo con una consapevolezza diversa, non indosso più corazze ma incarno un ruolo che mi permette di mettermi a nudo, di essere utile ai giovani che io stesso potrei essere stato. Li puoi incontrare al CAV di via Giacosa che imparano ad chiudere un holly, si rincorrono, cantano e imparano a suonare la batteria. Se ancora è come allora li puoi vedere a decine all’ Estate Ragazzi della chiesa di Santa Maria Assunta o sul retro della Torretta di Castello che chiacchierano con gli educatori di strada, sulle panchine, i muretti, a zonzo a gruppi o alle fermate dell’autobus che aspettano il 13 diretti in via Ugo Bassi.
Ora quando cammino per Borgo leggo sulle serrande SAC, Blod, Reflex, Nero e ricordo quando c’era scritto Paniko ad ogni angolo ed io ero quel ragazzino che ormai non sono più ma di cui conservo ancora lo stupore.