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L’anteprima del primo singolo del duo Bono/Burattini su Maple Death Records

Scritto da La Redazione il 24 novembre 2022
Aggiornato il 25 novembre 2022

Foto di Dalia Mauri

Maple Death Records ha annunciato oggi il debutto sull’etichetta del duo bolognese Bono / Burattini con l’album Suono In Un Tempo Trasfigurato. Il disco di Francesca Bono (vocalist, performer, fondatrice degli Ofeliadorme e membro del collettivo Donnacirco) e Vittoria Burattini (percussionista, batterista poliedrica e membro dei Massimo Volume) uscirà il 24 febbraio ed è registrato e prodotto da Stefano Pilia, l’artwork è invece di Alicia Carrera.

Ispirato ai lavori della regista Maya Deren, Suono In Un Tempo Trasfigurato presenta una sintesi perfetta tra wave sperimentale, groove alieni, elettronica contemporanea e soundtracks sci-fi. Composto quasi esclusivamente con un vecchio synth Juno 60 e una batteria organica, mette assieme influenze come Can, Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza e Suzanne Ciani.

Per l’occasione, ecco, quindi, in anteprima esclusiva per ZERO, il primo singolo estratto dall’album, The Ballroom. Di seguito trovate invece le parole di Massimo Carozzi scritte per il libretto che accompagnerà il disco.


Il suono del Juno 60, caldo, pastoso, organico e quello dei tamburi, geometrico e arioso, sono i due ingredienti principali di queste musiche, composte per commentare le immagini enigmatiche di tre film di Maya Deren: At Land, Ritual in Transfigured Time e A study in Choreography for Camera.

In questo assetto timbrico limitato, i brani si srotolano e girano circolari, fra sequenze, pulsazioni e calme linee che scorrono, si appoggiano e si incastrano su complesse architetture ritmiche.
Si succedono in una serie di disegni sonori liquidi, che ricordano, e in qualche modo mimano, i movimenti incongrui, spezzati che i personaggi di Deren compiono fra sentieri in ombra e stanze piene di specchi.
Il disco è costruito come una sorta di anagramma, in cui gli elementi “esistono in una relazione simultanea. Di conseguenza, al suo interno, nulla è primo e nulla è ultimo; nulla è futuro e nulla è passato; nulla è vecchio e nulla è nuovo…” (Maya Deren, 1947)

È in questa sospensione temporale che si dà nell’interplay fra gli strumenti, che di tanto in tanto la voce si presenta all’ascolto, manifestandosi come suono puro, facendosi strada fra gli arpeggiatori e le pelli dei tamburi, finalmente svincolata dalla significazione.

Sono brani che, nati sulle immagini, e poi sottratti alle immagini, continuano in qualche modo a disegnare nella mente dell’ascoltatore paesaggi obliqui, trasfigurati, che suggeriscono che qualcuno, da qualche parte, sta danzando.

Massimo Carozzi, Bologna, Luglio 2022