Il turismo dell’arte è una delle principali ragioni di movimento da una città (o nazione) all’altra da tempi immemori, da prima ancora che la vacanza divenne una pratica di massa entrando a far parte degli usi e costumi del ceto piccolo e medio borghese. Musei, centri storici intoccabili, gallerie d’arte sparse tra quartieri nobili e hipster, fino ad arrivare alle fiere. Il triangolo città-arte-turismo ha sempre funzionato “a meraviglia” e con un meccanismo tanto chiaro quanto chiuso.
C’è voluto un evento unico e ultra globalizzante come il Covid per rimettere tutto in questione e provocare un cortocircuito che ha generato molteplici domande: a cosa servono le zone centrali delle città se prive della popolazione (turistica) alla quale sono state senza troppi scrupoli consegnate? Qual è veramente il rapporto tra l’arte di una città e la popolazione di una città? Quali sono i luoghi dove si crea e perché non coincidono con quelli dove si espone? Quali sono e a cosa servono tutte le figure che coprono la distanza tra un’artista e il pubblico che guarda e vive una sua opera?
Attorno a queste domande è nato uno dei progetti espositivi e curatoriali più interessanti degli ultimi mesi, che ha provato a riscrivere i meccanismi e i flussi della triangolazione di cui sopra. Parliamo di Post-turismo idea sviluppata in tre atti che ha coinvolto altrettanti b&b del centro città (Prati, Rione Colonna ed Esquilino), una curatrice, Giuliana Benassi, un artist-run space di Centocelle, Post Ex, e una nutrita schiera di artisti, la maggior parte dei quali con base a Roma: Genuardi/Ruta, Autumn Knight, Luca Grimaldi, Girolamo Marri, Lisa Sebestikova, Calixto Ramírez, Eleonora Cerri Pecorella, Grossi Maglioni, LU.PA, Andrea Martinucci, Jonida Prifti e Stefano Di Trapani (Acchiappashpirt), Giorgia Ruggiano, Elena Bellantoni, Michela de Mattei, Antonio Fiorentino, Susanna Inglada, Marta Mancini, Lou Masduraud, Gabriele Silli. Centri cittadini collassati su se stessi che vengono riabitati dalle zone di cintura attraverso l’arte: una visione che in altri tempi sarebbe sembrata distopica e che invece la pandemia ha reso reale.
Terminati i tre appuntamenti abbiamo deciso di farci raccontare l’intero progetto Post-turismo, dall’ideazione agli esiti, proprio alla sua curatrice Giuliana Benassi.
“Il progetto Post-Turismo nasce come idea e visione nel 2020, subito dopo il primo lockdown, dialogando con gli artisti di Post Ex. In quel periodo ci incontravamo spesso a Roma tra Centocelle (il quartiere dove si trova Post Ex) e un bar a Torpignattara, con la consapevolezza il mondo stava cambiando sotto i nostri occhi, in maniera irreversibile o quasi. Abbiamo quindi sentito l’esigenza di una progettualità che parlasse del momento che stavamo vivendo. Roma era irriconoscibile, senza turisti il centro sembrava abitato da fantasmi. Era emerso in maniera lampante che la maggior parte degli appartamenti del centro storico erano b&b e locali a uso turistico, cosa che faceva percepire in maniera maggiore una sensazione di vuoto e assenza. Da qui l’idea di costruire delle mostre itineranti in alcuni di essi. Inoltre, esasperare l’estetica del b&b come non-luogo o luogo privo di identità ci sembrava interessante, poiché le opere esposte non avrebbero alterato l’aspetto pseudodomestico degli ambienti, anzi, avrebbero innescato una dinamica di sovrapposizione senza alterare troppo l’arredamento, esasperandone l’estetica.
La prima tappa ha raccolto una serie di opere che hanno toccato i cliché della pandemia dalla nostalgia delle mete turistiche ai meme dell’occasione tinti di ironia: come l’opera installativa di Luca Grimaldi, una carta igienica in cartongesso che, come un serpente, dal bagno ha invaso gli spazi della living room; il video dell’artista messicano Calixto Ramirez, uno starnuto in loop, tra ironia e minaccia; o l’installazione del duo siciliano Genuardi/Ruta, che ha ingigantito un dettaglio dei Musei Vaticani in una sintesi di forma e colori facendola come piombare dal cielo all’interno di una camera da letto. Nel secondo appuntamento la riflessione si è spostata sull’aspetto spettrale della grammatica dei luoghi vuoti e sull’immaginazione e la magia come via di fuga. La performance di Acchiappashpirt ha scandito il ritmo in un rapimento animistico-spiritico tra automatismi e poesia sonora; il duo LU.PA ha trasformato la cucina in un’installazione-performance sul teletrasporto degli oggetti in vacanza; l’artista Eleonora Cerri Pecorella è intervenuta in un armadio di una stanza da letto, creando una sorta di portale magico verso un mondo fiabesco attraverso un light-box site-specific. Il terzo Post-turismo ha invece affrontato senza veli la deriva interiore, quello spazio scomodo dell’inconscio che genera mostri, paure e angosce, nel limbo ambiguo dell’animalità. L’artista franco-svizzera Lou Masduraud con un’opera scultorea ribaltando idealmente il lavandino e giocando sulla paura ancestrale del mostro domestico; Elena Bellantoni ha presentato due lavori nei quali l’artista ha trasformato se stessa in Hitler enfatizzando le paure e la banalità del male, Gabriele Silli ha convertito una stanza attraverso una grande messa in scena in cui l’accumulo ossessivo di oggetti di vita quotidiana, come piatti, bicchieri, bustine di tè e così via, dipingendo una scena di reclusione e piacere della stessa, di abbandono, distruzione interiore, scovando l’essere umano in tutta la sua fragilità e animalità”.
Interessanti anche le considerazioni di Giuliani circa il ruolo dell’arte nella dicotomia centro-periferia: “La questione sta nel ripensare il concetto di centrale: non è forse centrale il luogo dove avviene un accadimento? Il luogo dove si impiega una certa energia d’azione capace di una sua forza magnetica? Il centro è senza dubbio un luogo in cui si espone, ma non solo il centro. Viceversa, non si produce solo in periferia. Tra centro e periferia sembra essersi creato un rapporto inversamente proporzionale. La città oggi dovrebbe interrogarsi maggiormente sulla propria identità e in questo l’arte contemporanea ha molto da dire, se non altro per la presenza di tanti artisti che lavorano in città, tra il centro e la periferia e costituiscono una grande ricchezza per la costruzione del futuro”.
L’ultima domanda a Giuliana riguarda la storia e la pratica della sua pratica curatoriale, che pensa la città come un soggetto attivo dell’intero processo: “Questa attitudine nasce a Roma e non sarebbe potuta venire alla luce in altri luoghi. Roma è una città piena di spazi, molti dei quali nascosti o mimetizzati tra le pieghe di un’urbanizzazione stratificata e incoerente. Sono luoghi non utilizzati e di una poesia unica. Fellini ricordava spesso una frase che aveva sentito ripetere dai padroni di casa da cui era in affitto: erano una coppia e un figlio che quando uscivano dicevano non semplicemente “usciamo”, ma “annamo a vede’ Roma”, cosa che era impensabile per lui rispetto ad altre città dove aveva vissuto. Cito Fellini perché di matrice felliniana è il progetto There Is No Place Like Home che ho co-fondato nel 2014 insieme agli artisti Giuseppe Pietroniro e Daniele Puppi. È un progetto itinerante che fa mostre in luoghi sempre diversi – soprattutto a Roma, ma si è spostato anche a Venezia e Torino – proprio per riattivarli. Negli anni abbiamo lavorato in un cantiere in costruzione in Via Aurelia Antica, un barcone sul Tevere ormeggiato sotto Ponte Marconi, a Torino nelle cantine di un palazzo multietnico e quasi dismesso, a Venezia nella Polveriera dell’Isola delle Vignole. L’ultimo appuntamento è stato a Roma e dedicato alla città: quaranta artisti hanno esposto in un’ex palestra di pugilato, già magazzino del Chinotto Neri, in via del Mandrione. Una mostra durata tre giorni, 24 ore su 24, accesa da un gruppo elettrogeno di giorno e di notte in un continuum di performance. Si è trattato di un progetto che ha incontrato la città in un luogo periferico, nascosto al di là dell’acquedotto romano, come un’intercapedine piena di contraddizioni, ma allo stesso tempo di autentiche visioni: in una parola Roma. La prassi di operare in luoghi non convenzionali si è trasformata in un metodo espositivo in grado di attivare un dialogo nuovo tra lo spazio, gli artisti, le opere ed il pubblico che viene accolto soprattutto per vivere il rapporto con l’arte contemporanea in forma esperienziale. Lavorare nei luoghi non-convenzionali, inoltre, consente di abbracciare l’intero processo della creazione dell’opera, perciò la mostra non è che l’ultimo atto di un lungo percorso”.