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Le Gallerie dell’Accademia entrano nella fase 2

Ricongiungimento culturale con il primo museo veneziano ad accogliere i visitatori

Scritto da Fulvio J. Solinas il 26 maggio 2020
Aggiornato il 30 maggio 2020

I primi visitatori davanti al maestoso Miracolo dello schiavo di Tintoretto.

Foto di Alessandra Chemollo

Giorgione morì di peste nel 1510, aveva poco più di trent’anni, quella prematura scomparsa non inficiò la sua eterna affermazione tra i più celebri pittori del Rinascimento veneziano. A confermare la narrazione di Vasari, secondo il quale il pittore di Castelfranco fu infettato dalla sua amante, nel 2011 è affiorato dall’Archivio di Stato di Venezia anche un documento in cui si attesta il luogo del decesso: l’isola del Lazzaretto Nuovo. Pure Tiziano, altro artista di imperitura memoria, fu stroncato dalla peste nel 1576, nella seconda grande ondata dopo quella del 1348. Le ultime ricerche storiche, sulla causa del decesso, ostentano meno certezze. Potrebbe essere stata solo una coincidenza. Il ventaglio di possibilità è dunque molto ampio: si muore di peste, si muore durante la peste e, prima o dopo, dalla peste si esce. A Venezia nel 1577 l’architetto Andrea Palladio viene incaricato di progettare la Basilica del Redentore. Ancora oggi, a metà luglio, celebriamo la fine dell’epidemia con un pellegrinaggio a piedi verso quella chiesa rimbalzando sul ponte di barche. Pare che il 2020 non farà eccezione. L’esperienza del coronavirus negli ultimi mesi ci ha costretti in casa, al distanziamento sociale, ma ci ha anche invitati ad un confronto con la storia. Si muore “di coronavirus“, si muore “con coronavirus“, a seconda di quanto si voglia enfatizzare o minimizzare l’impatto sanitario dell’epidemia. Di certo in questi mesi di lockdown (per molti fortunatamente “senza coronavirus“) nessuno ci ha risparmiato citazioni e rimembranze artistico-letterarie, dal Boccaccio, giù giù fino all’Iliade di Omero.

I primi visitatori davanti alla Tempesta di Giorgione – foto di Alessandra Chemollo

Nel primo libro del poema, Apollo scaglia frecce e diffonde la peste sul campo degli ateniesi: il motivo per il quale la peste è scoppiata va ricercato nell’ira di Apollo, dovuta al maltrattamento subito dal suo sacerdote Crise da parte di Agamennone, nel decimo anno della guerra di Troia. Sta cosa delle frecce avvelenate come iconografica rappresentazione della peste se la porteranno dietro proprio i pittori rinascimentali nelle raffigurazioni di San Sebastiano. Lo chiamiamo Rinascimento anche se, a più riprese, la vita della popolazione veniva sconvolta dall’incubo della piaghe pestilenziali. Anche loro, come noi, dovevano convivere con la pandemia. In questa nuova placenta che vorremmo chiamare “normalità” oggi, 26 maggio, si segna una tappa importante. A Venezia riapre il primo museo e sono proprio le Gallerie dell’Accademia, dove possiamo confrontarci  vis-à-vis con i lavori di Giorgione la sua enigmatica Tempesta, di Tiziano, tra cui la sua ultimissima Pietà (un’opera ex voto proprio per scongiurare l’epidemia), di Tintoretto (autore nella chiesa di San Rocco di un immenso telero dove il santo cura gli appestati), di Giovanni Bellini (autore anche del Trittico di San Sebastiano), del Veronese (che nella sua battaglia di Lepanto evoca la comparsa del morbo tra le truppe). Possiamo ricordare che lo stesso Palladio lasciò memoria del suo intervento nell’ala del Convento dei Canonici Lateranensi, sempre parte del complesso delle gallerie veneziane. Insomma se la notizia rischia di apparire banale (porte che si aprono al pubblico dopo mesi di lockdown, visitatori distanziati, scaglionati, solitari) è troppo bella ed essenziale per non metterla nero su bianco, testimoniando il progressivo ritorno alla normalità. Diventerà consuetudine? Muoversi oggi tra le opere di questi artisti, farlo rimanendo sempre a debita distanza dagli altri*, significa avvicinarsi idealmente a un’epoca durante la quale il contagio era un rischio ineluttabile, costante, intrinseco. Ci sono già mille e più buoni motivi per visitare le Galleria dell’Accademia, e tanti ne ve ne abbiamo già dati qui, in questa fase 2, inaugurata con virtuoso tempismo dal direttore Giulio Manieri Elia parlando giustamente di «ricongiungimento culturale», forse ce n’è anche uno in più.

Il direttore Giulio Manieri Elia con mascherina d’ordinanza- foto di Alessandra Chemollo

*Il museo è aperto, nel rispetto di tutte le regole di sicurezza, dal martedì alla domenica dalle ore 8.15 alle 19.15. L’accesso è contingentato, fino a un massimo di 130 persone. Obbligatori l’uso della mascherina e la distanza di sicurezza di due metri. Tutti coloro che visiteranno il museo saranno sottoposti, inoltre, al controllo della temperatura tramite apparecchiature termometriche. Attraverso il contributo del personale e l’opportuna segnaletica, in particolare un monitor dedicato nell’artwall collocato nell’atrio d’ingresso, saranno fornite tutte le informazioni necessarie al rispetto delle norme descritte.