Nel live registrato nel 2016 per la stazione radio americana KEXP, Lee Scratch Perry non perde tempo. La sua voce riverberata e distorta dal delay e altri effetti è la prima cosa che sentiamo, un manifesto esistenziale e artistico. La coda del delay non si interrompe mai, alimentata costantemente dalle parole stracciate, sconnesse e semi-improvvisate del leggendario musicista e producer jamaicano. Anche quando la musica finisce lui va avanti a recitare un monologo ipnotizzante. A un certo punto il dj della radio è costretto a interromperlo. Lo fa timidamente, augurandogli buon compleanno, aggiungendo che fa radio da tanto tempo e ospitare una persona come lui è un sogno che diventa realtà. Perry, che non ha mai smesso di ridacchiare e parlargli sopra, risponde ora con serietà: “Beh, i sogni diventano realtà, lo so che diventano realtà”.
In retrospettiva, Lee Scratch Perry sembra veramente essere stato un sogno. Un’allucinazione onirica, una figura non appartenente al mondo terreno. Ufficialmente è scomparso nel 2021. Ufficiosamente è difficile credere tanto che sia mai esistito, quanto che se ne sia definitivamente andato. Uno dei creatori del reggae per come lo conosciamo oggi, scienziato del dub, precursore e anticipatore delle tecniche di campionamento che hanno rivoluzionato la musica del ventunesimo secolo, sperimentatore inossidabile e teologo autodidatta. Una figura profondamente originale e unica, simulacro di purezza nel suo intendere la musica e l’arte, ma anche disposto senza problemi a sporcarsi le mani e scendere fin nei meandri più bui dell’inferno capitalistico e dell’industria musicale. Yin e Yang, dionisiaco con uno spruzzo di apollineo – o forse viceversa.
Il MACRO dedica al “Papa Nero” The Orbzerver, la prima mostra tributo dalla sua scomparsa. Il museo di Via Nizza gioca tutte le carte sulla fluidità dimostrata da Perry nel sapersi muovere tra forme d’espressione diverse: saranno esposte dodici sue opere, in dialogo con artisti contemporanei volutamente scelti per la loro multidisciplinarietà, oltre che diversi per provenienza, anagrafe e approccio. Troviamo così il duo italiano Invernomuto (duo formato da Simone Bertozzi e Simone Trabucchi), il poeta giamaicano Ishion Hutchinson, le giovani emergenti Zadie Xa e Rashiyah Elanga, un’altra icona contemporanea come il compianto Rammellzee. Una selezione che sottolinea la diversità del contributo dato da Perry ai creativi e all’arte contemporanea, e mostra, inoltre, come l’approccio del dubmaster giamaicano partisse sempre dalla musica, in una scomposizione artistica che si riflette nelle opere visuali di suo pugno esposte.
Particolarmente interessante il contributo di Invernomuto: “Negus Outtakes”, materiale inedito tratto al lungometraggio “Negus” del 2016 con protagonista lo stesso Scratch Perry. Un’indagine tra Italia, Etiopia e Giamaica sulle tracce del culto del rastafarianesimo intrecciato alla storia del colonialismo italiano. Senza spoilerare nulla, c’è un momento del film originale in cui il volto di Perry è vicino a l’effige di Haile Selassie I, ultimo Negus di Etiopia nonché messia secondo il culto rastafariano. La somiglianza è impressionante e in qualche modo spiega meglio di mille parole quella che è l’importanza della connessione filosofica, culturale e astrale tra queste figure.
Raggiunti per qualche domanda sulla mostra, Invernomuto si è lasciato impossessare dallo spirito di Perry, rispondendo con la sua voce, con brandelli di quello che sarà visibile/udibile durante la mostra. Ad esempio, quando gli abbiamo chiesto come sia stato lavorare con una leggenda come lui, la risposta è stata: “WHEN I POO/THE RAIN COME DOWN”. Quando abbiamo indagato l’eredità artistica enorme di Perry, sulla musica ma anche sull’arte figurativa, molto puntualmente il commento si è indirizzato su “UHUHUHU I’M A ROBOT/UHUHUHU I’M A COMPUTER/UHUHUHU I’M A COMPUTER”. Infine, volendo come tutti i “giornalisti” stuzzicare il gossip e l’emotività, non abbiamo potuto fare a meno di domandare se avessero qualche aneddoto personale da condividere con i lettori di ZERO. Il lapidario “WHEN I CRY/MY ENEMIES DIE” è stato il regalo fattoci dallo spirito parlante di Lee Scratch Perry attraverso Invernomuto.
Un’eredità che riecheggia potente proprio come l’eco di quel delay in cui l’artista giamaicano immergeva le sue produzioni e la sua voce, e che dal 16 Marzo risuonerà impazzita sbattendo da una parete all’altra dentro gli spazi del MACRO.