Arrivando in Bicocca si ha l’impressione di stare da un’altra parte della città. Sarà perché la gente in giro la si trova soltanto tra le sette e le otto del mattino, e sono principalmente studenti, impiegati e operai. Sarà perché aleggia una sottospecie di stato d’inerzia, dove in pochi passeggiano per la strada, ma tante invece sono le macchine che transitano in Viale Sarca, grande direttrice su cui si punteggiano le fermate della Lilla e che collega il monzese a Milano. Bicocca dà insomma l’idea di un quartiere sereno e assonnato, un quartiere dormitorio, un quartiere un po’ di periferia ma con quella formula da cittadella della cultura, dell’arte, della tecnica e della produzione, con anche quell’attenzione quasi morbosa alle forme dell’architettura, all’estetica, al portamento e alla postura.
Se mai James G. Ballard fosse passato di qui, certo è che la Bicocca sarebbe entrata in quel pantheon turpe degli spazi psichici.
Insomma, se mai James G. Ballard fosse passato di qui, certo è che la Bicocca sarebbe entrata in quel pantheon turpe degli spazi psichici, tra Il Condominio, Super Cannes e L’isola di Cemento. A dare un alibi a questa suggestione atmosferica che aleggia nel quartiere, unanimemente riconosciuta da chi la frequenta con assiduità, c’è un posto in particolare che occorre raccontare: la Chiesa di Scientology.
Non v’è dubbio alcuno che tutti conoscano Scientology. Anche se a conti fatti pare che i numeri di fedeli nel mondo oscillino tra i duecentomila e le cinquecentomila, quindi non molti, sono bastati negli anni Tom Cruise e John Travolta a portare la Chiesa nel dominio pubblico dei milioni, assieme ai vari scandali suscitati negli ultimi anni da film inchiesta come Going Clear. Tutti sanno, per esempio, che prima di tutto Scientology è una Chiesa la cui fede, sulla carta, è una Via: una pratica d’esercizi che condurrebbe al risveglio dell’individuo. Uscire da quel sonno della ragione è lo scopo ultimo di Scientology. Lo si fa con test gratuiti della personalità, con l’auditing, che è una “consulenza spirituale”, e l’E-meter – che è un marchingegno che ricorda giusto un po’ una macchina della verità. Tutti sanno anche che al cuore della Chiesa c’è il pensiero dai toni fantascientifici di L. Ron Hubbard, fatto di thetan (gli spiriti immortali che ci abitano) e Confederazioni Galattiche, e incentrato sulla vicenda di Xenu: Governatore stellare che circa settantacinque milioni d’anni fa compì un terribile genocidio planetario per risolvere la sovrappopolazione della galassia, liberando i Thetan delle vittime, con cui i Clear di Scientology entrano tutt’ora in contatto. La storia è complicata, affascinante e con un’ottima dose intrattenitiva.
Un’estetica dai toni massonica, con grandi blocchi di pietra cachi e vetrate scure, che riflettono soltanto le ombre dei pochi alberi sopravvissuti alla cementata del parcheggio.
A livello numerico, qui in Italia la Chiesa conta dodici chiese e trenta missioni, spesso di carità e supporto sociale – se ben ricordate durante il covid furono diverse le attività di sostegno svolte da Scientology. Ma qui parliamo di Bicocca: dove si staglia la più grande sede della Chiesa su suolo nazionale, dove questo colosso si erge a ridosso di Fulvio Testi, dove le macchine circolano, al limitare del Parco Nord, proprio all’ingresso della città, e dove inevitabilmente questo grande volume architettonico spicca, spicca in tutti i modi possibili.
Quando la chiesa venne inaugurata – abbastanza recentemente, nel 2015 –, grandi striscioni rossi uniti da una gigantesca coccarda coprivano quella facciata colossale, di vetro-pietra, oseremmo dire, ben munita di quell’estetica massonica dei grandi blocchi di pietra cachi e vetrate scure, che riflettono soltanto le ombre dei pochi alberi sopravvissuti alla cementata del parcheggio. Una grande croce pendente a otto punte dalle linee templari e dagli spigoli rossi è sospesa con cavi d’acciaio nell’ingresso monumentale, un vuoto rettangolo che copre per intero l’altezza del fortino cubico, sovrastando la lunga tettoia che esce di petto, anch’essa come sospesa. Ecco, questa è l’atmosfera che sembra presenzi qui, e che ha echi deboli in tutto il quartiere: è quella stessa sospensione che si ha davanti alle grandi architetture monumentali, che siano tombe, trampolini per il divino o antenne per le deità ma anche enormi altari sacrificali. A tutti gli effetti, la Chiesa qui ha circa novemila metri quadrati, nove piani e quasi trecento finestre, e come se non bastasse la dicitura “Scientology” è scritta a lettere cubitali sull’ultimo frontespizio dell’edificio, ben teso al cielo, e sul fronte di via Testi.
La sensazione diventa ambigua: è un po’ come passare dal leggendario portale della Valle dei Re e ritrovarsi subito nel bar tabacchi all’angolo di Piazza Aspromonte.
Altra cosa che colpisce, oltre alla desolazione e a quella sospensione – entrambi tratti distintivi – che quest’edificio promana e induce, è il primo sguardo che si riesce a dare all’interno. Un cortiletto circolare dai toni umili, quasi sciatti, piccolo, e con l’insegna di un bar nell’angolo. A pelle sembra un villaggio vacanze: porticati bianchi, palmette e alberelli non proprio rigogliosi. La sensazione diventa ambigua: è un po’ come passare dal leggendario portale della Valle dei Re e ritrovarsi subito nel bar tabacchi all’angolo di Piazza Aspromonte. Ma riconosciamo da subito che questo glitch architettonico ha il suo fascino, poiché ciò che fa quest’immagine è far sprofondare nel mistero: com’è che questa grande facciata nasconde un ambiente qualunque? Com’è che per arrivare a questo cortiletto dai toni familiari bisogna prima prostrarsi alla monumentalità secca e geometrica della Chiesa? Si riflette sulla formula della suggestione, così cara in fondo all’architettura ecclesiastica, così come sul ruolo della facciata. Ma anche sul gabbiotto della guardiania, con telecamere e vetri specchianti. Sulla postura sommessa della reception – se così la possiamo chiamare – fatta di una piccola scrivania e decine di pamphlet, moduli di iscrizione intoccabili e illeggibili poiché «riservati agli iscritti» e una preview del test di personalità: duecento domande, a crocette.
Va da sé che oltre il cortile c’è la sala del Tempio: grandiosa e asettica, con quel chiaroscuro massonico e quella predominanza del rosso che rende tutto gustoso. Ma la sensazione del luogo turpe rimane. Qualche cosa dà la sensazione d’ufficio, qualche cos’altro di un centro informativo o di consulenza, qualcosa da sala d’attesa ma con anche una qualche intenzione museale, con foto allestite e copie copiose di Dianetics sparse pressoché ovunque, così come ovunque è l’agiografia di Hubbard, per non parlare poi degli stemmi con piramidi, vulcani in fiamme (dove Xenu fece esplodere le bombe e tumulò gli spiriti), scale verso il cielo, soli fiammeggianti – la sensazione della massoneria sale a livelli di alert qui – e pure una decorazione murale con l’Arco della Pace, la cupola della Galleria Vittorio Emanuele e quattro o cinque signorine in fila indiana che passeggiano, insomma: la moda, l’arte e la storia. Ma c’è anche tutto quel che serve a una piccola cittadella: una mensa, una palestra, una biblioteca, sale comuni, e l’unica cosa che sembra mancare sono le persone. Poche.
La sensazione che quindi questo colosso lascia è che qui si abbia più a che fare con un’azienda che con una Chiesa. Che un po’ Scientology ricalchi quel modello d’affiliazione, d’affidabilità, di fidelizzazione che i brand hanno, finanche le “buone” pratiche di Team Building, che qui hanno però toni liturgici ed esoterici piuttosto che ludici. Che sì, c’è un culto della personalità – come molte aziende, d’altronde – e dal fatto che la signora che ci ha accolto non la chiamava Chiesa, ma “istituto”. Che poi sia stata riconosciuta in qualche nazione come tale è un’altra storia, certamente importante ma non rilevante qui. Oggi sono passati quasi otto anni da quando questo colosso monumentale atterrò sul fianco di una delle vie d’ingresso alla città di Milano, e l’impressione, ancora, non è delle migliori, anzi: quella desolazione e quella sospensione s’è arricchita di sguardi di sbieco, che chiedono sorridendo chi siano questi tre entrati come se niente fosse dalla guardiania. È finita che in portineria ci hanno rimbalzato, e dalla guardiania ci hanno detto che «No, non si toccano i fogli sul tavolo della reception».