Ci ho provato amici. Ho rispolverato le mie t-shirt da clubber a cui sono più legato, da quella con il cavallino R&S tutto sformato da anni di lavaggi e sudore a quella nera del mio primo Dekmantel, pure quella con la tigre kitsch de “Cocoon Ibiza party animals”, pagata un’assurdità qualche anno fa all’Amnesia. Mi sono informato sulle sessioni online di una pluralità di dj e produttori, addirittura inserendo i reminder sul mio calendario di Outlook. Per un po’ la novità mi ha incuriosito: certo, non al punto di ballare da solo di fronte allo schermo, ma interagendo con altri “utenti” e arricchendo la mia libreria di Shazam, be’ mi sono tenuto impegnato per qualche tempo, scoprendo nuovi suoni e artisti.
Giorno dopo giorno però i brand e le case discografiche hanno fiutato il business da quarantena. Si compete allo spasmo per l’attenzione da reclusione. Via quindi a una pletora di artisti senza cachet che si dannano per rimanere rilevanti per il dopo. Diplo flette i bicipiti a canali social unificati, Nina Kraviz in ciabatte mixa techno violenta tra la cassettiera delle scarpe e la cabina armadio, Nicolas Jaar su Twitch suona live la malinconia del nuovo album Cenizas, già triste di suo – figuriamoci chiusi in casa con il gin agli sgoccioli.
Il clubber in me ha detto stop. Poco alla volta, come gli applausi e l’inno di Mameli provenienti da fuori si andavano diradando, anche io mi sono stancato. Necessitando di più autenticità e memoria storica, ho cominciato a scavare online alla ricerca di documentari, film e contributi video vari sulla scena elettronica. Ce ne sono a bizzeffe, professionali o meno, prodotti da case indipendenti, news outlet o semplici aficionados a ogni latitudine. Questa non vuole essere una raccolta esauriente o ordinata, ma una personalissima lista dei video che mi hanno fatto emozionare, acuendo la mia voglia, o meglio necessità, di dancefloor. Oggi ti presento quelli prodotti in Italia che guardano alla scena nostrana.
1. MezzanotteMezzogiorno
Il documentario è del 2001 ma il regista Andrea Bertini mette i 90 sotto la lente d’ingrandimento, anni in cui il movimento techno-progressive italiano spopolava, principalmente diradandosi dalle grandi discoteche toscane, dall’Imperiale al Jaiss, dal Duplè all’Insomnia. Chi, come me, è cresciuto a cassettine fruscianti registrate da chissà chi nelle suddette discoteche, non potrà non riconoscere gli anthem di quelli anni disseminati nel video. A cuore aperto le conversazioni con i protagonisti della scena, rappresentati qui in buon numero. Ci sono i vocalist e gli entertainer, dalla chioma di Franchino (“andate piano” dice, su uno sfiato di sax come ultimo disco) a un Luca Pechino acconciato e abbigliato da robot, i dj Francesco Zappalà, Ricky Le Roy, Mario Più, Gabry Fasano, i proprietari di club, le cubiste, gli slogan urlati dai clubber sul dancefloor o sui treni e le strade che lì li portavano. La “generazione di sconvolti” la definivano i benpensanti.
Il DVD, oltre a un libro di fotografie, è prodotto dalla 3nero ed è acquistabile online.
2. Tunza Tunza
Un documentario del 2002 del regista Paolo Pisanelli di poco meno di un’ora di durata, inteso come mappa sonora della scena elettronica italiana. Tra le città e le regioni visitate per intervistare dj e produttori ci sono Milano, Roma, Reggio Emilia, Napoli, la Puglia. Sincere le chiacchierate e interessanti i punti di vista, tra i tanti, di Andrea Benedetti, Alessio Bertallot, Dj Rocca, Lele Sacchi, Max Durante. Eccezionali gli spaccati degli studi di registrazione, in genere modesti scantinati arredati alla bell’è meglio, illuminati da monitor a tubo catodico e dai primi, ingombranti laptop. L’impressione che si ricava dalla visione è quella di una scena italiana amatoriale, dove la professione del dj per molti è un dopolavoro, e fare il produttore è spesso un’impresa a perdere. “Più che tunza tunza c’è di mezzo la passione, la vita, le gioie, i dolori… i debiti”. Sono però gli anni dove questi artisti con dedizione stanno lottando per ottenere visibilità e affrancarsi dall’ambito prettamente underground. Come sappiamo, ce la faranno.
3. DJ’s Trip
“Dj Trip” è una collezione di dieci documentari del 2003, diretti da Alberto D’Onofrio e girati tra Italia, Londra e Ibiza. Ogni video è dedicato a un dj/produttore di primo piano della scena elettronica; la parte del leone la fanno i nostri Coccoluto, Ralf, Farfa, Stefano Fontana e Alessio Bertallot. Visti i tempi di cui parliamo, con l’esplosione di Cafè del Mar e sound annesso, è interessante il documentario dedicato a Josè Padilla (inclusa una intervista di Pete Tong per Radio BBC One al Beach Cafè di Ibiza) e Luca Baldini, oltre che ai due dedicati alla scena ibizenca, “Mike Manumission” e “Loving Ibiza”.
Nelle varie ore girate la telecamera ci accompagna a casa dei protagonisti, negli studi di produzione, ci sono gli abbracci a fine serata, le confidenze, il sudore, l’evoluzione del clubbing e dei costumi. Ci sono diverse chicche, da il “Oltre alla musica, la cosa che ci ha fatto incontrare è stato andare nei locali per rimorchiare” di Saturnino riferito a Stefano Fontana, alle confidenze di Principe Maurice che si spreca in elogi per Francesco Farfa, e gli archi di “Universal Love”, capolavoro techno in presa diretta.
Il mio documentario preferito della serie è quello dedicato a Ralf. Ci sono le sue riflessioni sciamaniche, immerso nella natura e nella vita bucolica di casa sua, lontano anni luce dal delirio del dancefloor. Si incazza quando a fine serata un clubber gli dice che l’Inter ha perso, oppure si fa serio quando discute della qualità dell’olio che produce nei suoi campi. Va al bar a giocare a briscola con gli anziani del posto, prende in mano l’inserto “Musica” di La Repubblica e sghignazza a leggere la definizione dei generi musicali associati alle varie discoteche, da “dance casual” a “house fashion”. Inimitabile Ralf.
Su Youtube trovate più o meno tutti gli episodi.
4. Professione Reporter – Illegal Rave
“Sono le due meno venti e sono arrivati i Carabinieri”. Non un documentario vero e proprio ma un servizio di un vecchio (1996) programma sperimentale di Rai 2, “Professione Reporter”, che manda in onda servizi realizzati dai neo-video-giornalisti che lavorano sotto supervisione RAI ma in modo autonomo. Una giovane Milena Gabanelli lancia il contributo di Bernardo Iovene (che poi la seguirà a Report), il quale segue un gruppo di ragazzi nel sopralluogo in una fabbrica abbandonata e ne documenta, brevemente, il rave vero e proprio. La conversazione che segue in studio è pura archeologia, per pillole di deontologia giornalistica e per i termini usati nella definizione del fenomeno rave.