A questo punto dell’anno generalmente starei (staremmo, noi tutti) finalizzando voli e sistemazione per giugno a Barcellona: chi Sonar, chi Primavera Sound, chi concerti o clubbing collaterale vario e chi solo per un week-end. Una passeggiata tra i viali alberati di Poblenou, una lattina gelata di Moritz in spiaggia, una sfogliata ai vinili da Discos Paradiso nel Raval, una tortilla e una caña seduto al bancone da Xampanyet, nel Born. E ancora, il girovagare nel dedalo di vie di Gracia, l’attenta esplorazione del reparto vini pregiati al piano -1 di El Corte Ingles in Plaça de Catalunya, la consueta toccata e fuga notturna alla discoteca Macarena, dietro Plaça Reial, dove qualche turista chiassoso è seduto a ogni ora a bordo della fontana. Senza dubbio, nel corso degli anni mi sono costruito una certa consuetudine di luoghi e di prassi in quel di Barcellona.
Lasciamo perdere i progetti a breve termine. Ecco invece una selezione di documentari sulla scena elettronica spagnola, parecchio frammentata sì, ma incredibilmente affascinante:
1. 72 horas…Y Valencia fue la ciudad
Dalla fine degli anni 70 fino alla metà degli anni 90, la Carretera El Saler, arteria che da Valencia scende a sud costeggiando il mare, è stata l’epicentro di una scena musicale che si consolidò attorno a decine di club, pub e locali per concerti. In un paese da poco uscito dal torpore franchista, Valencia rappresentava la città ideale per un nuovo movimento alternativo, piccola ma vivace com’è. Più semplice incubare una scena qui, lontani dalle limitazioni e delle convenzioni che legavano le mani a Madrid e Barcellona. Il turismo nella zona inoltre, soprattutto durante i lunghi mesi estivi, era in piena espansione, così come l’economia locale. La Ruta del Bakalao poco a poco divenne quindi il paese dei balocchi per un nuovo tipo di pubblico desideroso di far festa, volendo anche per tre giorni di fila. Nelle mega discoteche lungo la costa, il Barraca, Chocolate, Spook Factory, Puzzle e così via, i giovani ventenni di Valencia e dintorni, sostenuti dalla transizione verso la democrazia del loro paese, incominciarono così a cercare le tendenze più moderne della musica e della moda. Il documentario parte dall’origine della Ruta e della musica elettronica Valenciana (bakalao o “musica mákina”) alla sua fine a metà anni 90; dalla ragione del suo nome all’influenza nel resto della Spagna, analizzando le critiche dei media e del mondo conservatore che alla fine identificarono il movimento solo come habitat di droga e comportamenti antisociali.
Per saperne di più, alla storia della Ruta Resident Advisor ha dedicato una feature minuziosa, completa di interviste, foto curiose e playlist dell’epoca.
2. La Ruta del Bakalao – Hasta que el cuerpo aguante
Ecco il lungo servizio del programma 24 Horas della rete Canal+ che nel 1993 ha sancito la fine per La Ruta. Già dal titolo, “fino a che il corpo resiste” pare più adatto a un reportage sulle tossicodipendenze che a un documentario sulla scena alternativa in quel di Valencia. In ogni caso, se si evita di fare attenzione ai commenti fuoricampo, il video in sé è incredibilmente godibile: è la storia di un fine settimana sulla Ruta passando per vari club, feste, acid house che spara dalle autoradio di vecchie utilitaria logorate, pause ristoro, rave improvvisati nei parcheggi, e le testimonianze spassionate di giovani clubber. Questo servizio ha creato un gran dibattito in Spagna, tanto che l’estate del 1993 si ricorda come il momento in cui una pletora di giornalisti sensazionalisti e reporter senza scrupoli si sono gettati a descrivere la Ruta come “via della polvere bianca”, e i club aperti ad oltranza responsabili degli incidenti stradali. Suona familiare? Certamente, se pensate a come in Italia l’accento dei media sulle pur terribili “stragi del sabato sera” abbia contribuito a demonizzare nei primi anni 90 l’industria dell’intrattenimento notturno e le sue dinamiche.
3. NITSA 94/96 El giro electrónico
Un fantastico documentario, anche se un po’ ostico per le interviste in catalano, prodotto nel 2013 e dedicato al Nitsa, club iconico di Barcellona, ancora attivo all’interno della Sala Apolo. Qui ci si focalizza sul club originario, aperto nel 1994 e trasferitosi dopo due anni alla ricerca di maggiore spazio. Nitsa nasce nel ventre della città come una stanza buia in un sotterraneo con decorazioni anni 70, una piccola, casereccia, pista girevole in metallo, una consolle da dj all’altezza del pubblico: “Sembrava un bar” dice Jeff Mills. Be’, questo buco in poco tempo diventerà il punto di incontro di un’intera generazione di giovani affamati di musica elettronica. Nel 1994, due anni dopo le Olimpiadi e con una impennata del turismo, Barcellona vuole diventare il punto focale della scena house e techno in terra iberica. A giugno si celebra la prima edizione del Sonar, tra il CCCB e la adiacente Sala Apolo: in tre giorni si contano 5mila spettatori, compresa qualche decina di curiosi giornalisti spagnoli. Laurent Garnier, Sven Väth, Atom Heart e Trans Global Underground sono tra i primi guest: il primo diventerà una presenza imprescindibile per le edizioni future. Tornando a giugno 1994, la veterana rivista cittadina Rockdelux parlerà della prima del Sonar in termini per lo più entusiastici.
Intorno al Nitsa e al Sonar nasce un’industria che fino ad allora era inesistente. Le riviste musicali diventano popolari, aprono negozi di dischi di elettronica, i muri del Raval e del Barri Gòtic si colorano di sticker e di stranezze di grafica, il volantino diventa un’icona della cultura da club, il Sonar addirittura si pubblicizza in TV.
Il documentario offre molteplici spunti: ci sono le testimonianze dei primi dj internazionali che suonarono al Nitsa originario (Jeff Mills, Laurent Garnier, Ian Pooley, Derrick May), il ricordo di Aleix Vergès, aka Dj Sideral, resident giovanissimo e primo divulgatore della scena elettronica in città, un approfondimento sulla grafica dei flyer dell’epoca, varie interviste a promoter e artisti che dalla pista da ballo del Nitsa sono partiti con le loro avventure. Non stupisce ad esempio che uno dei vecchi promoter, Gabi Ruiz, abbia messo su una cosina chiamata Primavera Sound.
Anche Girona, a nord di Barcellona, ha avuto la sua scena elettronica e ora ha il suo bel documentario, “Nou Set Dos”, dal prefisso telefonico della zona. Per approfondire, leggete questo articolo.
4. Exploring Underground Madrid
Madrid non è certo tra le capitali europee dell’elettronica, non lo è mai stata; negli ultimi anni, complice una massiccia immigrazione dal sud America, generi quali il reggaeton e la trap da “barrio” stanno inoltre veicolando più seguito tra le nuove generazioni, occupando i dancefloor cittadini a scapito di house e techno. Questo documentario del 2016 si preoccupa di indagare le origini della scena elettronica cittadina e offrire il punto di vista di una manciata di produttori deep house: la prima parte riesce bene, mentre nella seconda si perde il filo a scapito della “self promotion” di buona parte degli intervistati. Tra le curiosità, la storia di uno dei primi club cittadini, lo Stones, fondato da un gruppo di americani di stanza alla vicina base militare di Torrejón al principio degli anni 80. Dev’essere stato un certo shock – per una città che si apriva alla movida in quegli anni – scoprire il funk, la disco e la prima house music su un dancefloor “black” in un anonimo capannone periferico. Tornando alla scena attuale, Jesus Gonsev, proprietario della label “Troubled Kids”, sconsolato afferma che: “Ai giovani madrileni non piace la musica elettronica, manca la cultura”.
5. Carl Cox: Space Is The Place
Siamo nel 2016: Ibiza è il background di questa produzione di Resident Advisor e Channel 4 che segue Carl Cox nell’ultimo atto del suo “Music is revolution”, prima che la musica sul dancefloor dello Space si spenga per sempre. Dalla sua prima visita all’isola, nel 1985, quando, squattrinato, con la sorella e la sua ragazza dell’epoca comprò una Fiat Panda per dormire la notte nel parcheggio accanto al Es Paradis, all’incontro con Pepe Rosello e la nascita di una proficua collaborazione nel nuovo millennio, gli aneddoti sull’amore di Carl per Ibiza sono noti. C’è anche spazio per una visita alla casa natale nel sud di Londra, un salto al molo di Brighton dove Carl nella seconda “Summer of Love” organizzava feste e suonava acid house nei rave o negli scantinati, la sua passione per le moto da corsa e riflessioni varie sul clubbing. Con il solito candore a cui ci ha abituati, le parole di Carl sull’isola che lo ha adottato fanno leva sulla nostaglia. Del resto siamo nel 2016, anno in cui la critica al turismo invadente e chiassoso a Ibiza comincia a prendere piede. Il clubbing, qui vero motore dell’economia, ha invece già cambiato pelle: i nuovi competitor sono gli specialisti dell’entertainment a 360 gradi che incorporano la musica in un’offerta più ampia, dal grande evento, all’hospitality. Il settore del divertimento notturno paga pegno e rincorre una certa omologazione, come se la spinta propulsiva degli esordi si fosse ormai esaurita.
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