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Paesaggio, mobilità e monumentalità sonora: la tecnica dei Kitipo dominicani nella Comunidad di La Spezia

La più grande comunità dominicana d'Europa è nel quartiere Umberto I, a Spezia, e tra picca pollo e béisbol ci sono anche i raduni dei car sound system, dove chi ha più dB vince, che saranno a Hyperlocal Festival 2024

Scritto da Simone Bertuzzi/Palm Wine il 5 settembre 2024
Aggiornato il 12 settembre 2024

Foto di Samuel Costa

«Che migliaia di giamaicani si siano trasferiti a Panama all’inizio del ventesimo secolo per lavorare sul Canale, mantenendo legami familiari e culturali con l’isola e stabilendo quindi avamposti anglo-caraibici che avrebbero fornito una via centroamericana per la diffusione “internazionale” del reggae negli anni Settanta, è diventato niente di meno che un fait accompli nella narrativa del reggaeton». Così lo studioso e etnomusicologo Wayne Marshall – tra le altre cose coautore del volume Reggaeton (Duke 2009) – introduce l’intricata e irrisolta storia del reggaeton prima e del dembow poi. L’analisi di Marshall ha origine in “Dem Bow”, una seminale registrazione del 1991 del vocalist e DJ giamaicano Shabba Ranks, che, per quanto controversa, resta una chiave imprescindibile per comprendere la storia della musica giamaicana e le sue complesse traiettorie geografiche: da Kingston a Panama e Porto Rico, da Santo Domingo a Washington Heights, per giungere, incredibilmente, a La Spezia, fervente avamposto della scena dembow italiana.

«È molto difficile definire il dembow, al suo interno ci sono tante cose» – mi racconta Martin Manuel Coste Ortiz aka Blaze Drumz, producer dominicano che vive a Spezia dal 2010. «È iniziato negli anni Novanta, in Giamaica, con Shabba Ranks che cantava “Dem bow / Dem bow, dem bow, dem bow”; da questo brano e dalla sua ritmica è nato il reggaeton con DJ Playero, un pioniere con cui ho collaborato. Il dembow è un’evoluzione del reggaeton; noi dominicani lo abbiamo fatto nostro e trasformato, utilizzando anche la parola “dembow” per identificare il genere». Verso l’inizio degli anni Duemila, infatti, il reggaeton subisce un processo di ammorbidimento, diventando più melodico; è in questa fase che la risposta di Santo Domingo inizia a prendere forma, mantenendo un tono asciutto e aggressivo, su bpm più elevati, un elemento che potrebbe essere legato alla preferenza storica dell’isola per il merengue a tempo sostenuto. Altrettanto rapida è l’evoluzione del genere: «Il dembow che si produce oggi non è lo stesso dembow di un anno fa, ci sono aggiornamenti costanti. Per esempio, un anno fa si usavano kick e basso convenzionale, oggi è tutto snare e basso saturato in 808».

Da Kingston a Panama e Porto Rico, da Santo Domingo a Washington Heights, per giungere, incredibilmente, a La Spezia.

A Spezia si vive in lieve differita rispetto a quanto avviene nell’industria discografica di Santo Domingo, dove la velocità è sostenuta anche in termini di produzione musicale, di ascesa e rapida discesa dello star system dembow. Blaze, mi dice, modifica di continuo il proprio approccio in risposta agli sviluppi del dembow prodotto nella sua terra natale, ma allo stesso tempo si assesta su velocità diverse. Del resto, molte delle sue produzioni circolano soprattutto nel mercato italiano, ed è in questo intervallo spazio-temporale che la scena di Spezia sta costruendo la sua identità: «C’è un movimento che ancora non è ben organizzato, ed è lì che stiamo lavorando noi», mi racconta Francois Roderik Coudjoe Arauz, il socio di Blaze.

Foto di Samuel Costa

L’headquarter di Blaze e del suo team è nel quartiere Umberto I di La Spezia, dove oggi vive la più grande comunità dominicana d’Europa, formatasi alla fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, quando le prime componenti arrivarono a Spezia dopo essersi riunite pochi anni prima a Massa e, ancor prima, a Napoli. Oltre alla musica – forse la maggior spinta verso l’esterno del quartiere –, la comunidad mantiene alti gli habit dominicani, dal picca pollo al béisbol, alla relazione con la strada e gli spazi comuni, ma asseconda anche gli incroci e le interferenze con la tradizione ligure, mescolando lingua spagnola e slang spezzino. Dalle parti di piazza Brin si sente spesso dire “Que lo que, fre”, dove “Que lo que” sta per lo spagnolo “Que lo que pasa”, un’espressione informale utilizzata per salutare qualcuno chiedendo novità, e “fre”, intercalare che in dialetto spezzino indica la parola “fratello”. Tra dominicani e spezzini «Ci sono molti lati comuni, a partire dal carattere» – mi racconta Samuel Costa, fotografo e cantautore spezzino cresciuto nel quartiere multietnico Umbertino e figura pivotale per la comunidad di Spezia.

«Nell’ultimo evento che abbiamo organizzato il fonometro posizionato a 3 metri dalle auto è arrivato a misurare 129 decibel, una bella mazzata per l’orecchio umano.»

Un altro elemento cruciale per le comunità dominicane, sia in patria che altrove nel mondo, è il suono. «Nell’ultimo evento che abbiamo organizzato il fonometro posizionato a 3 metri dalle auto è arrivato a misurare 129 decibel, una bella mazzata per l’orecchio umano» – mi racconta Anyelo Valerio, membro di Musicologos Italia. Il suono, espresso attraverso le diverse tradizioni musicali del Paese – merengue, típico, bachata, salsa, reggaeton (“poco”, dice Anyelo) e dembow, ovviamente –, diventa un magnete sociale, diffuso da file di speaker e subwoofer installati sul tetto e nel bagagliaio delle auto, che nella pratica dominicana prendono il nome di kitipo. Anyelo è uno dei cinque instaladores presenti in Italia in grado di progettare impianti car audio da zero, produzione dei box e customizzazione del sistema inclusi: «ci sono tanti altri, ma ad avere la certificazione per far suonare i kitipo come si deve siamo solo in quattro o cinque».

Foto di Samuel Costa

Nei kitipo, così come in altre tradizioni di impianti di diffusione sonora in diverse aree caraibiche o asiatiche, l’accento sul suono è intrinseco; per questo motivo, impianti artigianali di questo tipo vengono comunemente definiti sound system, e non – come sottolinea Louis Chude-Sokeimusic system. Il termine si riferisce a un sistema di diffusione e fruizione del suono alternativo, in cui la monumentalità dell’apparecchiatura e il volume sono in grado di alterare lo spazio circostante, sia architettonico che sociale, ponendosi, in certe circostanze storiche, come spazi di resistenza, in altre come veicoli di sospensione spirituale. I raduni kitipo hanno principalmente una funzione sociale, ma a guidare l’evento – che spesso si estende per un’intera giornata, dalle dieci del mattino fino a notte fonda – è il volume dei car audio e le sfide tra i diversi impianti. Anyelo mi spiega che in alcuni casi negli eventi di Musicologos Italia ci sono «dei giudici che valutano vari aspetti del suono dei kitipo, addirittura si confrontano i veicoli suonando sempre lo stesso brano».

Nei kitipo è tutta una questione di scala e raffinatezza dei componenti: chi ha più dB, vince.

Il musicologo – equivalente del DJ in altre culture – è il maestro di cerimonia. Controlla il suo veicolo a distanza tramite un lungo cavo connesso a una consolle, dosando tagli di frequenze e selezionando tracce suonate per intero. La cerimonia a volte prevede un giro di merengue, poi bachata, dembow e così via. Il luogo dello scontro è un’arena di veicoli schierati a semicerchio, a volte allestita all’improvviso in una strada cieca o sotto un ponte delle periferie portuali spezzine, altre volte nascosta tra le ville suburbane, lontano dai sequestri e da orecchie diffidenti.

Il rapporto tra paesaggio, mobilità e monumentalità del suono è cruciale in diverse tradizioni di sound system nel mondo. C’è però un aspetto unico che caratterizza la prassi dominicana. Nei soundclash in Giamaica, nei picó colombiani o nei baile sonideros a Mexico City, la sfida spesso è guidata dalla musica e quindi dai dubplate o exclusivos che soltanto certi sound system detengono. Nei kitipo, invece, è tutta una questione di scala e raffinatezza dei componenti: chi ha più dB, vince.

Foto di Samuel Costa

 

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[english version]
«That thousands of Jamaicans moved to Panama in the early twentieth century to work on the Canal, maintaining family and cultural ties to the island and hence establishing Anglo-Caribbean outposts which would provide a Central American conduit for reggae’s “outernational” spread in the 1970s, has become nothing less than a fait accompli in the reggaeton narrative». This is how researcher and ethnomusicologist Wayne Marshall – co-author of Reggaeton (Duke 2009) – introduced the intricate and unresolved history of reggaeton and, later, dembow. Marshall’s analysis begins with “Dem Bow,” a seminal 1991 recording by Jamaican vocalist and DJ Shabba Ranks. Though controversial, it remains an essential key to understanding the genre’s Jamaican origins and its complex geographical trajectories: from Kingston to Panama and Puerto Rico, from Santo Domingo to Washington Heights, and, surprisingly, all the way to La Spezia, the vibrant outpost of Italy’s dembow scene.
«Dembow is really hard to define because it encompasses many elements,» says Martin Manuel Coste Ortiz, aka Blaze Drumz, a Dominican producer based in La Spezia since 2010. «It all began in the 1990s in Jamaica, with Shabba Ranks singing “Dem bow / Dem bow, dem bow, dem bow”; reggaeton was born from this track and rhythms, along with DJ Playero, a pioneer I’ve collaborated with. Dembow is an evolution of reggaeton; we Dominicans made it our own and transformed it, using the word “dembow” to define the genre.»
Indeed, in the early 2000s, reggaeton went through a softening phase, becoming more melodic. It was during this period that Santo Domingo’s version started to take shape, retaining a blunt and aggressive sound with a higher BPM—a characteristic that could be linked to the island’s historical preference for merengue at a steady tempo. The genre’s evolution has been equally rapid: «Today’s dembow is not the same as it was a year ago; it undergoes constant evolution. For instance, they used to use a kick and a conventional bass, but today everything revolves around a snare and saturated 808 bass.»
In La Spezia, life is lived at a slightly slower pace compared to what’s happening in the music industry of Santo Domingo, where the speed is sustained not only in terms of music production but also in the rapid rise and fall of the dembow star system. Blaze tells me he constantly modifies his approach to dembow in response to developments in his home country, while also adjusting to different speeds. After all, many of his productions circulate in the Italian market, and it is within this spatiotemporal interval that the scene in La Spezia is building its identity: «There’s a movement that’s not yet well organized, and that’s where we’re working,» says Roderik Coudjoe Arauz, Blaze’s business partner.
The headquarters of Blaze and his team is located in the Umberto I neighborhood of La Spezia, which is home to the largest Dominican community in Europe. This community began to form in the late 1980s and early 1990s when the first groups arrived in La Spezia after initially gathering in Massa and, earlier, in Naples. Beyond the music – perhaps the strongest draw outside the neighborhood – the comunidad maintains its Dominican habits, from the picada de pollo to béisbol, as well as its connection to the street and public spaces. On the other hand, it also indulges in blends and interactions with Ligurian tradition, mixing Spanish with the local dialect. Around Piazza Brin, you can often hear «Que lo que, fre,» where «Que lo que» refers to the Spanish «Qué lo que pasa» an informal expression used to ask someone about news, and «fre,» a filler word meaning «brother» in the La Spezia dialect. Samuel Costa, a photographer and songwriter raised in the multicultural neighborhood of Umbertino and a key figure for the La Spezia comunidad, tells me, «There are many similarities, starting with the personality,» between Dominicans and Ligurians.
Another crucial element for Dominican communities, both within the homeland and abroad, is the sound. «At the last event we organised, the sound level meter placed 3 meters from the cars measured up to 129 decibels – a real pounding for the human ear» says Anyelo, a member of Musicologos Italia. The sound, expressed through the diverse musical heritage of the country – merengue, típico, bachata, salsa, reggaeton (“not that much,” says Anyelo), and, of course, dembow – serves as a social magnet. It is broadcast through speakers and subwoofers mounted on top of and in the trunk of cars, which in Dominican practice are called kitipo. Anyelo is one of Italy’s five instaladores capable of designing and planning car audio systems from scratch, including box production and customisation: «There are other practitioners, but only four or five of us are certified to play the kitipo the right way.»
In the kitipo, as in other traditions with car sound systems in various areas around the Caribbean or Asia, the emphasis on sound is intrinsic. For this reason, artisanal systems are commonly referred to as sound systems, and not – as Louis Chude-Sokei underscores – as music systems. The term refers to a system of diffusion and enjoyment of alternative sound, where the monumentality of the machinery and the volume are capable of altering the surrounding space, both architectural and social; thus positioning itself, in certain historical circumstances, as a space of resistance and, in others, as a vehicle for spiritual suspension. Kitipo gatherings primarily serve a social function, but the highlight of the event – which often extends throughout an entire day, from 10 am to late at night – is the sound system’s volume and the battles between various systems. Anyelo tells me that, on certain occasions, at events organised by Musicologos Italia, there are «judges who evaluate various aspects of the sound coming from the kitipo, and even compare vehicles playing the same track.»
The musicólogo – similar to the DJ in other cultures – is the master of ceremonies. He controls his vehicle from a distance using a long cable connected to a console, adjusting frequency cuts and selecting songs to be played from beginning to end. Sometimes, the ceremony includes a round of merengue, followed by bachata, dembow, and so on. The site of the battle is an arena of vehicles arranged in a semicircle; sometimes it is staged suddenly in a dead-end street or under a bridge in the peripheral areas of La Spezia, other times hidden among suburban villas, far from confiscation and distrustful ears.
The relationship between landscape, mobility, and sound monumentality is crucial in various sound system traditions around the world. However, there is a unique feature that characterizes the Dominican practice. In Jamaican soundclashes, Colombian picós, or the baile sonideros of Mexico City, the challenge is often driven by the music, specifically by the dubplates or exclusivos that only certain sound systems possess. In the case of kitipo, however, it’s all about the range and sophistication of the equipment: whoever has more dB wins.

 

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