C’è chi li ascolta da anni, più di quindici, da quando si chiamavano Taxi ed erano una delle formazioni punk romane a segnare i primi anni del nuovo millennio. C’è chi ne ha letto per la prima volta sulle pagine del magazine inglese Mojo, ai tempi dell’esordio Racey Roller. C’è chi li ha scoperti perché tifa A.S. Roma, e si sarà ritrovato a intonare il ritornello di Number 10 – magari davanti al relativo video super amarcord – pensando di essere allo stadio invece che davanti a un pc o sotto a un palco. Da Roma a New York via Camden Town, dal glam al power pop attraverso il punk, dalla fede calcistica a quella, ancora più sacra, del rock’n’roll, i Giuda sono uno degli orgogli dell’Urbe.
Una band distante da ogni tipo di trend musicale, che proprio per questo è riuscita a definire una sua specificità sonora fuori e dentro i confini nazionali. Una band che ha radici profonde nell’underground capitolino, ma che in una manciata di anni è arrivata a diffondere il proprio verbo sui palchi dei “peggiori club degli States”, nei migliori dj set punk e, plausibilmente, anche attraverso l’autoradio di Mr. Pallotta.
Terzo lavoro in studio a due anni dal glam gajardissimo di Let’s Do It Again, (con tutti i giochi di parole del caso) Speaks Evil è appena uscito su Burning Heart Records e verrà presentato con un primo release party venerdì 27 novembre all’Orion, in seguito a Londra e poi nel resto del mondo. «Un album che è quello meno influenzato dal punk ma con la produzione più cruda che abbiamo fatto. Il primo in cui non ci sono muri di chitarre o fronzoli nella produzione, in cui l’aspetto live del gruppo è esaltato all’ennesima potenza; in cui il suono è il più duro e grezzo che abbiamo mai avuto, in cui resta la vena pop e che per una naturale evoluzione è probabilmente il disco suonato meglio». Un album vario, in cui troverete glam, power pop, blues virato all’hard rock.
A parlare sono Lorenzo Moretti e Tenda, rispettivamente chitarra e voce dei Giuda. Ci incontriamo in un locale del Pigneto per riavvolgere un bel po’ il nastro e tornare nella Roma in cui sono cresciuti e diventati grandi. La Roma punk tra Anni Novanta e primi Duemila.
LA PROVINCIA
Abbiamo cominciato a suonare insieme dalle scuole medie, era il 1992. Siamo cresciuti a Santa Lucia, in provincia di Roma: avevamo le cassette di Ramones e Sex Pistols, qualche vecchia rivista, ma non essendoci internet non eravamo a conoscenza della realtà romana di quegli anni. Eravamo isolati. Inizialmente ci siamo creati il nostro giro, una piccola scena composta da persone che ci seguivano e qualche altra band garage dei fratelli maggiori dei nostri amici. Il primissimo concerto è stato nel 1994 a Monterotondo, avevamo 14 anni, ci chiamavano Dumping Ground e suonammo con il batterista di un altro gruppo. In seguito diventammo i Pinheads, altro gruppo punk di ispirazione ramonesiana… Eravamo già gli stessi componenti di quelli che sarebbero diventati Taxi, ma non avevamo ancora idea di quello che stava accadendo allora a Roma. Questo finché una delle nostre cassettine registrate non finì nelle mani di Pierpaolo De Iulis, boss della Rave Up Records (figura chiave della scena underground romana, tra le altre cose direttore artistico del festival tra musica e cinema Road To Ruins, NdR), storica etichetta punk che negli anni ha avuto anche un’importanza internazionale, avendo pubblicato centinaia di dischi. Ricordo che avevo diciassette anni, abitavo con i miei genitori e un giorno mi arrivò una telefonata di questo tipo che cantava i pezzi della nostra cassetta dicendo «Geniali! Geniali! Ci dobbiamo incontrare».
LA SCENA
Da quel momento entrammo in contatto con quelli che erano i gruppi della scena punk romana degli anni 90: c’erano i Bingo di Alex Vargiu, gli Ufo Diktatorz e poi i Transex di Pierpaolo, i Sex Symbols di Alessando Casella, le Motorama… Era più o meno il ’98.
Anche grazie a Pierpaolo, si organizzò il nostro primo concerto al Brancaleone: in quell’occasione ci videro un po’ di persone, quella sera c’era anche Pierluigi della Hate Records, ormai da anni proprietario del negozio di dischi Soulfood, che ci propose di far pubblicare per la sua etichetta il nostro primo singolo – che poi infatti uscì sia per Rave Up che per Hate Records, a seguito del quale ottenemmo un contratto con la Dead Beat Records, etichetta storica dei primi anni ‘90 con base a Los Angeles, che ci pubblico il primo album e grazie alla quale andammo in tour negli Stati Uniti.
Tornando alla scena, gli altri gruppi erano in giro già da qualche anno, noi eravamo i più giovani e avevamo stretto dei legami con tutti: ci davano delle dritte e allo stesso tempo venivamo anche considerati dei piccoli bambini prodigio – eravamo quadrati e avevamo delle canzoncine ben fatte. Ci sono poi vari ricordi divertenti, perché eravamo sempre un po’ i guastafeste della situazione… Sai, essendo un po’ più piccoli e vivaci, all’epoca eravamo temuti perché ne combinavamo un po’ di tutti i colori. Eravamo un po’ disinibiti e abbiamo rovinato qualche festa, con qualche litigio e qualche mano alzata. Per colpa nostra, eh, riconosciuta a distanza di anni!
I LOCALI
Gli anni caldi sono stati tra fine Novanta e primi Duemila. In quel periodo a Roma non c’erano tanti concerti e si facevano tutti perlopiù nei centri sociali, dove siamo cresciuti. Vedemmo i Buzzcocks al Forte Prenestino, i Dickies al Villaggio Globale… C’erano i gruppi, ma non c’erano troppi luoghi di ritrovo. Oltre ai centri sociali, c’era il Velvet a piazza Vittorio, uno dei luoghi cult della scena punk romana, che in realtà chiuse troppo presto perché lo potessimo frequentare assiduamente; poi gli Ex Magazzini a Ostiense, in cui abbiamo suonato e visto un sacco di concerti; il Sonica di via Vacuna, dove eravamo di casa e che poi è diventato Traffic, dove oltre a fare concerti li organizzavamo anche, portando anche gruppi stranieri, come i Metal Urbain; infine c’era un altro locale mitico – cioè, era un cesso, ma ci abbiamo fatto delle serate molto divertenti – lo Stay Free al quartiere Africano, una specie di discotechina coi bagni rotti… Dove mettemmo su vari concerti punk e dove suonarono per la prima volta a Roma i Black Lips. Ovviamente davanti a trenta persone.
Organizzammo anche un concerto clamoroso con Pierpaolo, di un gruppo cult belga di punk ’77, i Kids, alla Locanda Atlantide. Il concerto fu sold out ed era talmente strapieno che, negli anni successivi, il gruppo usò la foto di quel live come immagine promozionale. E noi eravamo lì immortalati in prima fila. In un certo senso, la cosa bella di quegli anni era che non essendoci molti locali dove suonare, quando si organizzava un concerto era spesso pieno di gente. Questo ha contribuito affinché si creasse una scena viva, in cui c’erano tanti gruppi e una bella atmosfera: quei momenti erano forse i più belli perché richiamavano tutti, le scene tendevano a sovrapporsi, in un unico concerto trovavi punk, skinhead, chi frequentava i centri sociali e chi il giro hardcore. In realtà c’era anche un altro posto, il Bouledogue a San Lorenzo, un pubbetto attorno al quale girava tutta la scena, sia i punk con la cresta dai gusti musicali più estremi, che quelli che ascoltavano garage o punk rock. La scena rock’n’roll romana si incontrava soprattutto lì. San Lorenzo era il luogo dove si usciva, solo molto più tardi è arrivato il Pigneto come luogo di riferimento per i locali e i concerti. Anche se noi lo frequentavamo già dalla fine degli anni 90, perché ci abitava Pierpaolo. Per noi il Pigneto era una base: la seconda casa, casa Rave Up.
IL MAESTRO
Quando non andavamo a scuola finivamo a casa di Pierpaolo ad ascoltare i dischi. Da quando arrivammo a Roma è stato il nostro riferimento, il nostro maestro. Ci ha dato le chiavi di un mondo che non conoscevamo, è stato il tramite grazie al quale siamo entrati in contatto con una serie di cose che non conoscevamo, a livello musicale ma anche culturale più ampio. Immagina un ragazzino di 17 anni che entra in una stanza – che sinceramente, così, ho visto solo nei film – con una parete piena di dischi: pensa a un qualsiasi gruppo – e io allora ne conoscevo quattro – di cui trovi in ordine il primo, il secondo, il terzo disco e così via. Avendo una cultura a 360°, ci ha introdotto alla musica in un modo particolare, contestualizzando sempre i gruppi nel loro periodo storico, nella cornice socio-culturale.
È stato fondamentale per capire perché uno poi mette certe note insieme e dice certe cose. Pierpaolo riusciva a trasmetterti questo, noi eravamo delle spugne e credo che lui sia stato contento perché era una persona che aveva piacere nel metterci a disposizione quello che aveva – in termini di conoscenza, di dischi, di dritte. L’altro giorno sono andato a cena dai miei genitori e ho tirato fuori un mazzo di cassettine, la cui maggioranza erano registrate e decorate da Pierpaolo. Sopra c’erano titoli tipo “Studia Lorenzo”, “Lorenzo you go punk”, “Lorenzo power pop”.
Ci faceva le cassette ed è stato colui che ci ha indirizzato verso i primi concerti che abbiamo fatto fuori Roma, grazie ai contatti che ci ha passato. Per dare un’idea di quanto Pierpaolo sia stato importante per la mia formazione, ricordo che quando dovevo prepararmi per gli esami di maturità, essendo una persona dalla cultura sterminata a trasversale, andavo a casa sua e ripetevo la tesina tra un disco e l’altro, con lui che mi ascoltava.
È stato mitico. E tutt’oggi continua a essere un riferimento sul territorio, con Rave Up è tornato a pubblicare dischi di gruppi romani, come quelli di Holiday Inn, The Hand e Mega. Formazioni tutte con un suono diverso, che evidenziano la sua attenzione ancora viva all’attuale scena underground romana.