Un po’ mi vergogno a dirlo, ma la sincerità è uno dei valori che mi contraddistingue (quanto mi piace mentire). L’anno scorso è stato il mio primo Sónar a Barcellona. Sono scusato, però, perché come studente universitario non posso partecipare a un festone di tre giorni nel bel mezzo della seconda sessione di esami. Per mia fortuna il festival – per la prima volta in 26 anni di storia – nel 2019 si è spostato nel mese di luglio e quando me ne sono accorto ho acquistato subito i biglietti.
Giorno 1. Barcellona la conosco discretamente, ma non ci vado da tempo. Per tradizione scelgo di tornare nello stesso ostello di sempre. Arrivo a un orario comodo, la città e l’appartamento sono rimasti identici, solo la receptionist è diversa (santa donna). Appoggio i miei averi e mi dirigo al mio primo de Día.
Incontro in Plaza de Espana il mio compagno di avventure, Pietro, appena atterrato con un aereo proveniente da Catania, un’altra volta vi spiegherò il perché. Lo abbraccio e andiamo a ritirare alla Fira Montjuïc, sede dei tre giorni di Sónar de Día, i nostri pass e l’essenziale borsello mimetico. Armati di una birra iniziamo a girovagare tra gli innumerevoli stage. Prima tappa al Village dove eseguiamo i primi nostri passi di danza attirati dal dj set house e downtempo di Leon Vynehall. Ci sentiamo dei bambini in un parco giochi, attratti da qualsiasi cosa che ha anche un minimo sentore di novità. Il flusso ci porta nel teatro XS. Sul palco si stanno esibendo i Faka, ecclettico duo di Johannesburg portatore di messaggi di inclusione globale. Successivamente in ordine casuale presenziano il lungo pomeriggio: Ross From Friends, Daphni, Afrodeutsche e molti altri.
Giorno 2. Dopo una nottata OFF, costellata di micro-house, ho un appuntamento al Sónar+D per il tour guidato del congresso con spiegazione in inglese. Questa manifestazione internazionale esplora il modo in cui le menti creative stanno cambiando il nostro presente e immaginando nuovi futuri, in collaborazione con ricercatori, innovatori e leader aziendali di tutti i settori. È un ambiente unico e stimolante, aperto e rilassato, dove scoprire lavori rivoluzionari e trovare opportunità, nonché apprendere nuove competenze. Interessante il progetto che studia il movimento delle masse durante il festival, rilevato tramite il chip inserito nei braccialetti che ti permetteva l’accesso all’evento, per poi successivamente capire le motivazioni di questi spostamenti: quante persone hanno preferito in un determinato momento un artista piuttosto che un altro, gli stage più frequentati, quante volte Eric è andato al bar per una cerveza? Dati che contribuiscono alla crescita dell’organizzazione in questo caso, ma che danno uno spunto poi a tutta la comunità che ha voglia di innovazione.
Dopo questo scorcio di progresso, ritorno alla musica con la live band di Masego, il musicista e cantante nato a Kingston, in Giamaica, e cresciuto in Virginia. Dal suo sax esce un modernissimo jazz che mi rilassa e allo stesso tempo mi fa risvegliare gli arti indolenziti dalla sera prima. Il suo show finisce e sento che il mio cuore italiano tira verso il Dôme, dove trovo un altro gruppo sul palco con Lorenzo Senni alla chitarra. Il suo progetto live Stargate, primo ep uscito nel 2012, dà luce a una diversa sfaccettatura del musicista emiliano, protagonista di un’esibizione corale che non è mai scontata per chi è abituato a vivere i propri lavori individualmente. Lorenzo però sembra a suo agio nel suonare lo strumento a corde insieme agli altri elementi, una seconda chitarra, un basso e la batteria. La sua solita case nera costellata di adesivi è sempre lì e sembra portagli costantemente fortuna. Applaudo e concludo il mio día con due figure femminili: Maya Jane Coles prima e Virgen Maria dopo. Mi ci vuole una refeel di energia per questa lunga notte.
Doccia e cena mi caricano a dovere, il bangla sotto casa chiama e io rispondo. Oltre alle due birrette dovute, compro degli snack per la notte da mettere nel borsello. Ora sono veramente pronto. Il nostro mezzo di trasporto in questi caldi giorni di luglio è il motorino elettrico, a dir poco stupendo, uno dei tanti trasporti che la viabilità di Barcellona mette a disposizione sulle proprie carreteras. La Fira Gran Via è nella periferia sud della capitale catalana, raggiungibile tranquillamente con la metro o con l’autobus, ma io preferisco salire sul primo due ruote disponibile. Guidare è un piacere e in un battibaleno sono a destinazione. Parcheggio e mi dirigo verso l’ingresso, dove l’addetto alla sicurezza mi chiede di aprire il borsello. All’interno, oltre agli occhiali da sole, ci trova una coppia di banane, il mio snack. L’uomo mi dice che non posso farle entrare e o me le mangio o le devo buttare. Mi pare un peccato buttarle. Le divoro insieme a Pietro.
L’ingresso agevolato mi induce a salire su una passerella panoramica che attraversa tutti i saloni dello spazio congressi. La marea sta già ballando sui quattro dancefloor. La passeggiata digestiva finisce con la discesa nel Car, un gigante mantello rosso che avvolge il dj set di sei ore del nostro caro Floating Points, un’enciclopedia ambulante della storia della musica dance. Esco dal tendone e mi accolgono le luci scintillanti dell’autoscontro, sì intendo proprio l’attrazione dei parchi divertimento, dove i partecipanti si sollazzano dalle risate incidentandosi l’uno con l’altro. Bello, ma per sta volta passo. Mi dirigo verso il main stage, che sembra vicino, ma non lo è. Una cosa da non sottovalutare sono le distanze, consiglio di studiarsi bene il programma (non come me che ribalzo da una parte all’altra) altrimenti il contapassi del telefono a fine nottata ti notificherà il tuo record di sempre.
Al SónarClub sta giocando in consolle Dj Seinfeld, che ha l’arduo compito di convertire il pubblico di Stormy, fortissimo rapper londinese, in ballerini dell’house più eclettica. Il giovane produttore svedese procede spedito e riesce nel suo compito, sprigiona un’allegria fomentata dall’attesa per il live degli Underworld. La folla inizia ad ammassarsi e, al momento dell’ingresso del duo britannico, le braccia si alzano. Che dire a questi mostri sacri che trent’anni fa portarono il sound techno fuori dai club, facendolo conoscere a tutto il mondo? Bravi tutti. Io di mezzo faccio un salto al Lab da Octavian, rapper franco-britannico, e quando torno c’è chi piange, c’è chi ride, c’è chi canta, c’è chi beve immobile. Io ho una voglia matta di ballare e quando Rick Smith e Karl Hyde concludono lo show, l’onda di persone si disperde, e io mi piazzo sotto cassa. Sta per arrivare un altro personaggio col marchio del Commonwealth sulla chiappa: l’australiano Mall Grab. Carico a pallettoni sono pronto a ondeggiare sulle sue produzione housy e invece sorprende tutti con un set fotonico da rave: pesta e calpesta con una techno ad alto voltaggio condita da cortocircuiti trance. Io volo, e non sembro il solo, in quest’ora che mi è sembrata un viaggio di settimane. Tiro su gli occhiali da sole e mi accorgo che il dj in consolle ora è Peppe Capriati, nel mezzo il vuoto, ma mi sembra tutto molto bello e continuo la mia residenza in transenna. Joseph è una sentenza fino alle 7 del mattino. Luci, applausi, muchas gracias a todos, taxi e nanna.
Giorno 3. L’ideale per far ripartire bene la giornata è una colazione a base di burritos di carne. Mentre mangiamo Pietro mi comunica che ieri sera negli altri stage suonavano anche Four Tet, Dj Koze e Peggy Gou b2b Palms Trax. Vabbè non ci si può sdoppiare. Andare al Sonar de Dià è diventata un’abitudine, e ci arrivo al tramonto dopo un altro panino in Plaza Real. Ad accogliermi c’è il dj set acido di Theo Parrish, tracce su tracce da shazammare, e a seguire il live dei Red Axes, duo israeliano che per questa occasione ha aggiunto un elemento: la batteria. Io personalmente fremo per spostarmi al de Noche, dove mi aspettano cerveza e reggaeton.
Salgo sul motorino e sfreccio tra le ramblas. Sono in ritardo per il live di Bad Bunny. Metto il motorino sul cavalletto ed entro. Fortunatamente il cantante portoricano ha iniziato tardi e mi godo tutto il concerto al Club strillando con il popolo latino presente. Alla terza birra inizia a piacere anche a Pietro, che non aveva idea di chi fosse Benito Antonio Martínez Ocasio. Concluso lo show corro al Pub perché sento la melodia di Mo Bamba, la canzone più famosa di Sheck Wes. Il giovanissimo MC di Harlem salta come un matto sul palco e veste per l’occasione la maglia del F.C. Barcellona con orgoglio. Ricordiamoci sempre, ogni sera insieme alle preghierine, di ringraziare la capitale catalana per i doni che ha dato al mondo.
Dopo una sosta sui divanetti e tutta questa urban culture, è giunta l’ora della musica elettronica. Prima HAAi, l’australiana residente a Londra costruisce set ipnotici dagli imprevedibili colpi di scena causati da danze e incantesimi tribali. Insomma un rito voodoo. Secondo, sempre nel Club, il live di Paul Kalkbrenner, uno degli artefici del rinascimento elettronico al grande pubblico, ma con un enorme background proveniente dai rave negli edifici occupati della Berlino est di fine anni 80.
Decido di spostarmi e do un’occhiata sia al set di Blawan b2b Dax J al Lab, sia a quello dei Body & Soul di sei ore al Car, ma la meta è un’altra. Al Pub sta suonando a una mano il nostro Dj Tennis, causa braccio sinistro fasciato in convalescenza da un’operazione, che come se nulla fosse governa la consolle con un mixato costellato di gemme electro e house con vene psycho. Dall’eccitazione Manfredi continua a mettere e togliere gli occhiali da sole rossi sulla sua faccia fino a che non decide, in chiusura del set, di mettersi a ballare davanti alle apparecchiature per salutare il pubblico in delirio. Dalle retrovie spunta uno spilungone tedesco con la frangetta e un paio di chiavette usb in tasca, chissà cosa conterranno? Pura magia che Dixon divulgherà per le successive due ore e mezza. Le mie lenti scure sono sul mio naso da un tot e non credo sia bene toglierle. Lo stage chiude in bellezza ad alba inoltrata con mille coriandoli e una bella scrittona sui led. Thank you! See you at Sonar2020.
Assolutamente ci rivediamo quest’anno, più esperto e pronto al festival, ma sempre curioso di apprendere nuove cose. Si perché a mio parere quando si parla di Sónar, si parla di cultura. È come un master in scienze applicate alla musica. Nel corso del 2020 gli insegnanti saranno come sempre a migliaia: creativi, fonici, registi, designer, pensatori, promoter, scienziati, imprenditori, produttori e tutto lo staff che crea questa magnificenza e permette agli artisti di esibirsi sui palchi. Musicisti, cantanti, performer e dj che trovate nella line up completa qui di seguito. A presto!