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Sulla delicatezza della cucina di Hong Kong, la trattoria cinese di mamma Aiping e Sonia

Scritto da Francesco Pattacini il 10 maggio 2023
Aggiornato il 11 maggio 2023

Sembra nascondersi l’ingresso del ristorante Hong Kong, appena fuori porta Lame, lì dove comincia il vialone Zanardi e in maniera soffusa due lanterne rosse annunciano la sua presenza. Ci devi capitare ma, poi, cerchi di incontrare di nuovo uno (tendenzialmente molti di più) dei suoi piatti.

Non c’è la trama rossa e dorata nell’arredamento, o uno squadrone di Maneki Neko che ti scrutano sornioni. Non i piatti piccanti del Sichuan o i quinti quarti più estremi, ma un menù breve su quattro pagine, ravioli e involtini su cui ritrovare le mani che li preparano ogni giorno, una serena carnosità dell’anatra alle spezie e i gusti delicati come le maniere di Sonia e mamma Aiping. Oltre le mura, Hong Kong ravviva una stagione, segna un continuo con l’immaginario di trattoria. Prima dei prezzi e dei piatti popolari a resistere, qui, è il senso di ospitalità, da un lato all’altro del tavolo.

Le radici di Hong Kong trovano spazio in cui attecchire nel maggio del ’94, quando Aiping e Jiang arrivati dal distretto di Yuhu qualche anno prima, rilevano la gestione dell’osteria Vecchia Velocità. Me lo racconta Sonia che, da qualche anno, ha preso in mano l’attività di famiglia insieme alla madre: «Mia madre mi racconta sempre dei momenti in cui erano appena arrivati. Vennero qui perché alcuni parenti avevano già avviato i propri ristoranti, quelli storici, della prima stagione orientale in città diciamo, come La Rosa di via Mentana. Mio padre era in cucina e lei serviva ai tavoli, cercando con le poche parole di italiano che conosceva di far sentire tutti benvenuti, come in Cina».

Della vecchia osteria rimangono alcuni degli storici clienti e le persone del quartiere ed è fra loro, nella sala dai soffitti alti, i tavoli e la cucina in cui Sonia e il fratello crescono: «Crescere qui ha avuto i suoi pregi e i suoi difetti. È stato bello, da un lato, avere intorno i clienti di lunga data che ancora oggi mi ricordano di quando mi vedevano fare i compiti da bambina. Il ristorante è piccolo e quindi è probabilmente più facile che si crei questo clima famigliare ma si tratta di un lavoro totalizzante, che riempiva le giornate dei miei genitori e comportava dei sacrifici e delle rinunce anche da parte nostra. Oggi, che li vivo io stessa, sono in grado di comprendere meglio quello che facevano, come dovessero essere sempre qui per preparare, pulire, accogliere le persone e farle sentire bene».

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Nel 2015 Hong Kong attraversa una ristrutturazione che porta alla trasformazione completa del locale in quello che è adesso. Anche se l’ambiente non è più carico degli elementi classici della sua fondazione e, anzi, va a rivisitare in chiave moderna gli spazi, la tradizione è rimasta il nucleo di Hong Kong: «Ho poche foto del ristorante nel periodo pre-ristrutturazione, prima aveva tutti gli elementi del classico ristorante cinese, molto scuro e di legno, carico di cose, di vasi, vasetti, Buddha e altri elementi caratteristici. Quando decidemmo di cambiare ovviamente per alcuni clienti fu abbastanza scioccante [ride], e non nego che ci siano state anche delle critiche negative che mi hanno ferito un pochino, questo perché anche se non è soltanto il mio ristorante, lo è e rispecchia anche me. Ci sono nata e cresciuta, racconta la mia famiglia, ed è per questo che sento personalmente certe cose. Credo che sia un mestiere bello ma complicato, si tratta di mettersi in gioco e, per questo, c’è sempre un po’ di timore».

I dubbi, o i timori di cui mi parla Sonia, svaniscono una volta che ci sediamo al tavolo. È da qui, quindi, che bisogna guardare per comprendere le anime di questa trattoria cinese, nell’imperfezione delle forme di ravioli, involtini e baozi in cui i segni dell’autenticità diventano antipasto per la freschezza e la delicatezza dei suoi primi, con quella punta di curry balsamico negli spaghetti di riso alle verdure, o nella voracità in cui si assaltano i secondi, per la morbidezza delle carni, per la consistenza dei condimenti.

Sono i sapori e le ricette semplici, le mani sicure che spadellano, accompagnano e farciscono a guidare la proposta di Hong Kong, che riportano quel mondo casalingo, lontano migliaia chilometri eppure qui, alla portata di tutti e tutte: «Non abbiamo, da sempre, una cucina volontariamente complessa. È una nostra scelta, ci piace pensare che questo possa essere un luogo in cui ci si possa sentire a proprio agio, per il cibo che offriamo, per l’esperienza che vogliamo dare alle persone che vengono qui», racconta Sonia. Il riferimento è anche all’attenzione per la dieta vegana e vegetariana che, ad Hong Kong, ha una parte dedicata: «L’idea della proposta vegana si concretizza dopo la ristrutturazione. Avevamo già da tempo delle richieste e proponevo io stessa le varianti vegane dei nostri piatti. È qualcosa che c’è già dentro la cultura cinese ma che a volte non ha abbastanza spazio, vuoi perché siamo la seconda generazione e magari siamo più vicini a queste esigenze, vuoi perché a volte ci sono difficoltà nel capirsi».

Ma, ancor di più dei piatti è il senso di appartenenza, che collega Yuhu e Bologna, i ravioli alla trattoria, qualcosa di simile a quello che avvertì, negli anni ‘90, il regista e scrittore Cheuk Kwan decidendo di raccontare la diaspora cinese attraverso i ristoranti sparsi nel mondo. Ciò che comprese, e di cui lascia traccia nei 15 documentari e nel libro Have you Eaten Yet?, è, soprattutto, la capacità di queste persone di incontrare la cultura ospitante, di creare un indissolubile rapporto di continuità fra le proprie origini e il nuovo contesto, dando vita a nuovi piatti come il Chop Suey della cucina cino-statunitense o armonizzando i grandi classici asiatici ai gusti del luogo. Quando si parla di adattamento nella cucina asiatica, tuttavia, si tende a non valutare come questo abbia coinvolto le persone stesse e come si riversi nelle sue modalità di servizio e accoglienza. A volte misteriosa ed estremamente riservata, nel caso di Hong Kong aperta e calorosa, che arriva, ti riempie e restituisci: «Come vedo il ristorante oggi, da Sonia adulta? Credo che gran parte della soddisfazione provenga dal rapporto umano, dalla cura che vogliamo dare ai clienti e dal ritorno che riceviamo, in sorrisi e apprezzamento ed è più del semplice fatto economico. Non solo dal punto di vista della cucina, preparando praticamente tutto da zero, dalla verdura per i ripieni agli impasti, ma anche da come vogliamo che si sentano i nostri ospiti. Non so se sia un connubio fra questi elementi, se sia fortuna ma ne parlavo ieri con mia madre. I nostri clienti sono particolarmente gentili, sembra una stupidaggine magari, o solo una sensazione, ma quello che ricevi anche dalle persone che vengono per la prima volta è un responso positivo e sereno e ci aiuta a capire che la nostra proposta sia compresa e apprezzata».

Insieme a Sonia e Aiping abbiamo cucinato i Baozi un lunedì di questo maggio insolito, la ricetta e la giornata di preparazione li trovi su Grūmi (https://grumi.substack.com/), la mia newsletter gratuita in cui parlo di cibo, preparazioni e le piccole storie che li circondano.