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Un nuovo Museo della Cultura Italiana in Bolognina: cosa e, soprattutto, perché?

Scritto da Salvatore Papa il 26 febbraio 2024
Aggiornato il 1 marzo 2024

Venerdì 23 febbraio scorso è stato presentato a Bologna il progetto per la realizzazione di un Museo della Cultura Italiana in Bolognina. La conferenza stampa si è svolta presso la sede della società dell’energia Illumia alla presenza del Ministro alla Cultura Sangiuliano, del Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, del Sindaco di Bologna Matteo Lepore, del Presidente di Tremagi Holding, Francesco Bernardi, del Sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni e del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Galeazzo Bignami. Il progetto ha ricevuto apprezzamenti bipartisan, fondamentalmente perché sarà finanziato esclusivamente con i fondi privati (tra i 50 e i 100 milioni) di Tremagi Holding, proprietaria di Illumia e dei terreni (vicini alla stessa) sul quale sorgerà in pochi anni l’edificio, per una superficie complessiva di 12mila metri quadri.

Il nuovo museo – citiamo – ha come scopo principale “quello di far vivere agli Italiani, specialmente alle giovani generazioni, il loro Paese, di valorizzare quello che esso ha rappresentato storicamente in modo così peculiare, il suo contributo al mondo. Gli Italiani però non saranno gli unici destinatari di questa iniziativa, il turismo internazionale è infatti un altro interlocutore privilegiato che potrà qui conoscerci al di là dei soliti stereotipi. Si tratta dunque di costruire un “luogo” in cui il visitatore possa fare esperienza della civiltà italiana“.

In altre parole, un’esaltazione musealizzata dell’italianità e del Made in Italy. Per il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, è “geniale”: “Il Made in Italy è sinonimo in tutto il mondo di eccellenza e creatività – ha commentato. Rappresenta il valore aggiunto delle nostre produzioni e una garanzia di competitività per il nostro Paese a livello internazionale, consentendoci di gareggiare e spesso di vincere sul piano della qualità. È dunque significativo che questo progetto nasca in questa regione”.

Ma che cos’è l’italianità nel 2024? È una domanda su cui molti si interrogano. La risposta non è semplice, forse non esiste, ed è facile cadere in trappole e retoriche identitarie. Ad esempio: fanno parte dell’italianità solo le cose “belle” o anche quelle cattive?

Sono cinque i fondamenti e le aree di questo “teatro vivente del genio italiano”, ha raccontato Tremagi al Corriere di Bologna: “la localizzazione dell’Italia, «la sua centralità e la sua qualità naturalistica»; «la miscellanea di popoli che hanno attraversato il nostro Paese» e hanno contribuito a svilupparne l’identità; il Cristianesimo, «vera scuola di umanità»; la lingua italiana, «elemento che ha unito quando ancora l’Italia non era una nazione»; i tanti personaggi significativi che hanno portato il nostro Paese nel mondo.

Ancora non si sa a chi toccherà il difficile compito di selezionare tutti questi elementi in termini di “video, tecnologie interattive, testi grafici, ologrammi, diagrammi, giochi didattici, scenografie” e opere (alcune in prestito dal patrimonio pubblico: “Abbiamo 5 milioni di opere e ne esponiamo soltanto 480mila”, ha affermato Sangiuliano), ma la nomina del direttore/trice (?) spetterà a una Fondazione appositamente costituita per gestire il museo e composta, oltre che da Tremagi, dal Ministero della Cultura, dalla Regione Emilia-Romagna, dal Comune di Bologna e da altri soggetti, pubblici e privati, che vogliano aderire all’impresa.

E qui sorge una domanda: perché il Comune, la Regione e addirittura il Ministero hanno scelto di imbarcarsi in un’iniziativa privata il cui valore culturale è ancora tutto da dimostrare, considerando quanto invece può già raccontare da solo il nostro enorme patrimonio pubblico? Ogni riferimento a FICO è puramente casuale.
Il neonato museo si troverà, peraltro, in una posizione di competizione con i musei civici di Bologna e, quindi, se tutto va bene, rischia addirittura di erodere pubblico e, quindi, risorse alle stesse casse comunali.

Parlare di museo, inoltre, non rende bene l’idea di ciò che sarà nel complesso: l’edificio, per il quale è stato indetto un concorso internazionale di architettura, conterrà, infatti, anche ristoranti, bar, bookshop, uffici, depositi, parcheggi e una foresteria.

Come modello il Presidente di Tremagi Holding ha citato la Fondazione Prada e ha aggiunto: “Questo polo deve attrarre dalle mille alle duemila persone al giorno: in un anno, dai 300mila ai 600mila visitatori, per arrivare ambiziosamente al milione dei visitatori. Ci vogliono degli spazi e dei parcheggi, una costruzione totalmente nuova”.

Inutile dirlo, perciò, che la Holding proverà innanzitutto a rientrare dall’investimento raggiungendo il numero di visitatori sperati e/o sfruttando i servizi accessori. Ma il modello Prada ci insegna anche altro: certe operazioni “culturali” hanno come effetto collaterale la valorizzazione immobiliare delle aree in cui si collocano. Così anche nella Bolognina, sulla quale insistono da tempo gli interessi di molti attratti dalla sua posizione strategica davanti alla stazione dell’alta velocità e collegata direttamente con l’aeroporto tramite il People Mover. Bolognina dove sorgeranno, come se non bastasse, il Polo della Memoria Democratica e il Museo della Casa Popolare.

“Un nuovo spazio per la cultura e l’innovazione nel cuore di Bologna – ha commentato il Sindaco di Bologna Matteo Lepore, riferendosi al Museo della Cultura Italiana. Si arricchisce il recupero della Bolognina sempre più centro della nostra città, grazie alla rigenerazione urbana, la partecipazione delle persone e gli investimenti delle imprese”.

Cultura, innovazione, rigenerazione, partecipazione, investimenti, imprese: trova l’intruso.

“Nel nostro degradato lessico contemporaneo – scrive Sharon Zukin nel suo The Cultures of Cities – la parola cultura è diventata un’astrazione che rappresenta qualsiasi attività economica che non crea prodotti materiali come acciaio, auto o computer”.