Il primo tempo è dedicato all’attacco. La Luz alza un bagherone e cerca il punto sulla Nene. Forzano per cercare di sorprendere il muro avversario, ed ecco la Nene che posa bene le mani e organizza il colpo, ecco! Regala il punto del vantaggio e apre il muro in due, Antonio crolla. Si riparte con la Nene ancora in battuta, con quel lancio preciso, lungo e profondo, e… ancora! Signorə, ha proprio il pannolino pieno, e ora glielo fanno cambiare con un timeout. Bravə così, spavaldə! Siamo sul 5-6. Cercano di mantenere le distanze. Ecco cosa vuol dire mettere pressione, ma c’è un muro solido e altissimo, Frida è in forma strepitosa. Pareggio, si gioca di nuovo in battuta. Tranquilla Luz, conta che il tempo c’è, rilassati, prendi il pallone, sentilo e lancialo, aggredis… e ancora!, ecco il vantaggio, così ti voglio Luz così aggressivə sfrontatə spensieratə schiacciante palloni autodeformanti!
Questo è un esempio di quello che potreste trovare oggi, o ieri insomma, in un giorno qualunque tipo un giovedì pomeriggio di qualche anno fa al Trotter. Che ha una storia incredibile e continua ad averla. Per chi non l’avesse capito questa è la cronaca immaginaria di una partita di pallavolo, in una giornata mite sui campetti nuovi di pacca, tinteggiati degli stessi colori di piazzetta Arcobalena. Tanti ci hanno raccontato la storia di queste partite in cui partecipavano proprio tuttə, senza distinzioni di sorta. Partite amatoriali, certo, ma decisamente significative tra le mura del parco.
Un futuro che, guarda un po’, parte da un ippodromo: prima la gente che prima grida e si esalta nelle corse e poi le nuove generazioni piene di sogni dai toni libertari.
Perché? Chiunque conosca bene o male la sua storia, capirà da subito. Per gli altri, cominciamo col dire che Trotter è “trotto”, e quindi sì: era un ippodromo. E se guardaste bene, il circuito si vede ancora. Ma ciò che ne ha fatto la storia è la scuola: fondata intorno agli anni Venti, la Casa del Sole accoglieva principalmente bambini d’estrazione povera, quelli più esposti all’epidemia di tubercolosi. Sulla scia di un pensiero moderno ma avverso all’industrialismo, la scuola impronta un progetto pedagogico che vuole il bimbo attivo e partecipe, attraverso il recupero del rapporto con la natura in attività manuali e agricole, ponendo accenti sulla liberazione delle capacità espressive. Ok, piano. Immaginatevi il convitto: padiglioni diffusi che sembrano baite, un parco come cortile, fuori le stalle, gli orti, i frutteti. E una piscina all’aperto. Insomma, il parco era la scuola. E tutt’ora, seppure con possibilità diverse, la scuola del Trotter continua ad attingere a quella storia, quella dell’imparare attraverso l’esperienza e di puntare alla socialità.
Facciamo un punto. Cos’hanno a che fare dirigibili, cavalli, bambini, scuole, pedagogia libertaria, aggregazione sociale, orti e piscine? Non lo sappiamo nemmeno noi, ma bisogna ammettere che c’è un qualche esubero di sinergie tra quei vecchi circuiti. Immaginiamo quel tracciato anulare come un acceleratore di particelle dove i quanti trotterellano tra gli eventi e li fanno accadere qua e là: felici azioni a distanza. Questa immagine perché, bene o male, quello che succede in zona NoLo ha risonanze dirette nelle atmosfere del Trotter e viceversa. Magia o correlazione, il fatto è che abbiamo associazioni, progetti e futuri hub di comunità che stanno prendendo il parco come punto focale per modulare la rigenerazione urbana del quartiere. Pensatelo come un cuore, un attrattore, un’altra piazza popolare, ma che stavolta punta direttamente a fare cerniera con i due lati di Viale Monza. Per dirvela fattivamente: lì sopra partirà il progetto di Tunnel Boulevard; lì sotto ci sono gli Orti di via Padova e la bocciofila; di fianco via Crespi e da lì dritti fino al Mercato Coperto. Insomma, il Parco Trotter ha tutte le carte in regola per essere una iperstizione: a partire da una visione di quartiere, da un futuro immaginato, orienta il presente di conseguenza.
Magia o correlazione, il fatto è che abbiamo associazioni, progetti e futuri hub di comunità che stanno prendendo il parco come punto focale per modulare la rigenerazione urbana del quartiere.
Continuiamo. Intanto che qualcuno googla “iperstizione”, qualcun altro riflette sulle implicazioni di un quartiere che in quasi ogni aspetto è desiderato dal basso, qualcun altro ancora si chiede chi siamo noi e per quale folle ragione parliamo di pallavolo, cavalli, pedagogia e futuri, ecco un frrrrrrrr che vi distrae e vi fa tornare sul pezzo.
Passa un baluginio, a una velocità immonda. L’avete già perso. È tardi quando vi redente conto che è un volano, e che ormai, un magico bop-frrrrr-bop di racchette vi ha trasportato in piazza Durante. Non si sa se qui siamo a NoLo. C’è chi dice sì c’è chi dice no. Sta il fatto che piazza Durante la troverete anche in Casoretto.
Qui la comunità pakistana si sfida a colpi di Badminton, che per i novizi è il volano, la palletta che vi ha portati qui in un battito di ciglia. Detto questo, avrei tanto voluto farvi un resoconto immaginifico come quello in apertura, resocontarvi una partita incredibile perché il badminton è incredibile davvero, ma vi giuro che se mai provaste a cercare su internet, come ho fatto io, qualche commento appassionato ai mondiali o alle partite in genere, giusto per capire come la gente assiste agli indubitabili miracoli dei riflessi umani, non ce n’è. Zero, la gente tace. Tesa per la maggior parte del tempo. In compenso fanno versi. Circa gli stessi che ricorderete da qualche anime d’arti marziali e che vi riporto qui: HU! HA! HUOOU-HA!, intanto che quelle piccole racchette si materializzano una volta qui e una volta là, sfidando le leggi anatomiche dell’animale umano. Anche i nomi dei “colpi” non arretrano dal paragone: Kill, Smash, ed è quasi subito Tekken.
Pensatelo come un cuore, un attrattore, un’altra piazza popolare, ma che stavolta punta direttamente a fare cerniera con i due lati di Viale Monza.
Ecco, queste pallette piumate smashate a velocità siderali sfrecciano nei cieli tersi delle piazzette e poi si materializzano all’improvviso a palombella, eclissando il sole e ciecandovi se solo provate a rivolgergli uno sguardo. Ma non è finita, perché intanto che vi strofinate gli occhi, ecco finalmente un suono familiare: è il calcio sul cuoio e il fruscio del pallone sull’erba. Siamo di nuovo al Trotter, in estate, e davanti a voi c’è forse uno degli esempi di educazione ludica più importanti della zona. È Bimbe nel Pallone, la scuola di calcio femminile di Joanna Borella, o Mister. Jo, che è un’istituzione tra i nolers, per chi non lo sapesse. Qua più che la descrizione delle partite in sé (tanto il calcio lo guardate tuttə), è importante dire che a parteciparvi sono bambine, ragazze e donne. E non è che si gioca e basta qua. Si fa scuola, e la si fa al di fuori dei risultati agonistici. Rigori, punizioni, fuorigioco diventano il lessico per una socialità inclusiva, e ad andare in rete è l’opportunità di tuttə.
Insomma, in questo vagare e vagheggiare tra sport, convivialità, futuri e storie di comunità l’una legata all’altra, abbiamo capito che il Trotter dispensa in continuazione energie importanti. Sarà perché è figurativamente al centro del quartiere, perché nei suoi cent’anni di storia c’è la Milano di un futuro prossimo, o perché strani salti quantici s’irradiano in tutto il quartiere. È tutto chiaro? Sinceramente: questo viaggio pazzerello non lo è nemmeno a noi, ma è certo che il cuore e il futuro del quartiere stia dentro a queste storie.