Se esistessero dei crediti formativi per la schiscia più arrangiata e miserabile, credo che la mia carriera universitaria non avrebbe mai visto un solo anno di fuoricorso. Parlo di lei, la compagna leale che ogni giorno dimora nella totebag dello studente, pronta per essere sfoderata all’ora di pranzo, creando quel mix di odori nelle aule, che quasi riesco a ricordare ancora oggi. Il contenitore per alimenti, dalle mie parti, è diventato uno di quei divertenti casi in cui il nome del brand seppellisce il nome in sé dell’oggetto, diventando un “marchionimo”: Tupperware.
La schiscetta, così la chiamano a Milano, è qualcosa che accomuna gli studenti di tutto il mondo, e le ragioni sono chiare. Primo: tra lo slot di lezioni della mattina e quello pomeridiano non intercorre abbastanza tempo. Secondo: se sei fuori sede e ti ritrovi a dover compiere scelte in economia di crisi, dove solitamente la decisione è se bere il venerdì sera e soltanto dopo fare una spesa degna di questo nome, ecco che l’idea di cucinare quei broccoli che da giorni stazionano nel frigo e metterli nella schiscetta assieme a del riso in bianco, sembra meno malsana.
Quindi eccoci al nostro primo Tour Amarcord del pranzo studentesco, a Bovisa. Partiremo dalla schiscetta per arrivare ai posti di ristoro dove il pranzo non costa mai più di qualche euro, con il menu completo e gestori da leggende d’osteria.
L’impressione iniziale è che il banco delle offerte del supermercato abbia figliato con il reparto dei prodotti in scatola.
Cominciamo dal Campus Durando, dal grande prato con i tavoli in legno dove i ragazzi trascorrono la pausa pranzo. Ecco subito le prime schiscette. L’impressione è che il banco delle offerte del supermercato abbia figliato con il reparto dei prodotti in scatola. Riso, orzo, farro, conditi a piacere con tonno in scatola, mais, ceci, zucchine, mozzarella (testualmente: “quello che avevo in frigo”). Questo all’esterno. Ma è dentro che si incontra una specie più rara, nel reparto con i microonde. Insospettita dal profumo, chiedo a un ragazzo che attende lì davanti che cosa stia aspettando di scaldare. La confessione è candida: “il ragù di mammà”.
Altre storie arrivano da questa terra di mezzo: l’ex cisterna, la torretta al centro della goccia che smista i flussi di questo piccolo microcosmo. Qui come in tutti gli edifici, racconta Edi, corrente e acqua sono assenti. A La Goccia i vestiti non si cambiano, si buttano nelle voragini dei capannoni, aspettando che li digeriscano. L’acqua, invece, arriva dai supermercati su turbo-carrelli, trasportati dai cittadini dell’archeologia industriale. Di questi abitanti ne senti parlare quando attraversi le botteghe e i bocciodromi di Bovisa ma, guarda caso, non li vedi mai. Di A. si dice che sia un pittore che ha smesso di dipingere e che spera di trasferirsi il prima possibile, portandosi dietro la tribù di cani che lo accompagnano. Di L. le informazioni sono più visive: spaghi e mollette di legno, una scopa di saggina e altri ephemera che ha lasciato come tracce del suo passaggio.
Se usciamo dal Campus, tra via Andreoli e via Candiani si trovano invece i posti dell’affezione. Lo si capisce dalla calca degli studenti fuori dai locali, dalla varietà dell’offerta e dai riti alimentari che si rincorrono negli anni. Cominciamo con il forno che fa angolo con via Pantaleo, celebre per le ottime focacce fatte in casa che impregnano l’aria della via, ma ancor più desiderato per i panini con gocce di cioccolato. A seguire, la rosticceria cinese su via Andreoli: c’è sempre molta fila ed effettua solamente asporto, ma ne vale la pena perché i prezzi sono ottimi, i menu validi e i profumi decisamente invitanti. Poco più avanti c’è “Misunchì” – cucina naturale, una rosticceria vegetariana e vegana che offre una varietà di prodotti home-made per soddisfare le più moderne abitudini alimentari degli studenti politecnici. Qui il prezzo dei prodotti va a peso e anche in questo caso, un’ottima proposta di pranzo da asporto. E non si tratta nemmeno lontanamente di insalatone.
Sei euro per un carrotrattore di pasta, e una domanda legittima: com’è possibile tornare in aula dopo un piatto così?
Su via Candiani invece, si trova uno dei luoghi più iconici della pausa pranzo, di quelli di cui ne parla praticamente chiunque: “125”. Se il giudizio deve partire dalla fila e dal quantitativo di condimento, questo è il paradiso. 125 apre soltanto all’ora di pranzo e ha una selezione di 5/6 primi piatti al giorno. Sotto consiglio di un ragazzo che mi precede, ordino i “paccheri 125” con zafferano e pomodorini. Sei euro per un carrotrattore di pasta, e una domanda legittima: com’è possibile tornare in aula dopo un piatto così?
Risalendo via Candiani verso la mia prossima meta, c’è un altro posto che con i primi va fortissimo: PastaMi. Nonostante la pasta allo zafferano sfianchi, mi fermo a guardare la vetrina. Ha una proposta molto simile a 125. Vorrei mangiare, ma dovrei avere quattro stomaci, come minimo. Proseguo, e incontro una facciata in mattoncini con un’insegna rossa fatta a mano. È il “Bar Conny & hamburger” aka “Conny-burger”, uno di quei posti sinceri che si apprezzano di buon grado, dove vengo accolta come un cliente abituale. Appena entrata, il mio sguardo si posa, inevitabilmente e malauguratamente, sul menù a 10 euro che comprende: hamburger, patatine e spritz. Farò i conti più tardi con questa scelta.
Pance piene. Satolli. Rallentati. Forse questo è il segreto per studiare meglio.
Con la mente offuscata dallo spritz – un remainder di quanto non abbia più il fisico da studente, capace di ingurgitare qualsiasi genere di bevanda e alimento prima di tornare sui libri e a lezione – riparto in direzione della “Latteria Maffucci“. E qui parliamo di storia: una trattoria dallo stile retrò, con un menù di piatti della tradizione sarda, improvvisato di giorno in giorno, secondo la disponibilità delle materie sempre freschissime. Camminando leggo qualche recensione sul locale e mi accorgo che si sta avvicinando l’orario di chiusura. Nonostante l’ora, Nunzia e Silvio – i gestori, mi accolgono con il sorriso e mi fanno accomodare in uno dei venti posti a sedere del locale. Accanto a me siedono due ragazzi stranieri con cui l’oste conversa animatamente, mi chiedono di tradurre qualcosa per loro e in quel preciso istante mi rendo conto che in realtà i ragazzi non stiano capendo assolutamente nulla di quanto stia dicendo Silvio sulla sua cucina. I ragazzi, probabilmente in Erasmus, sono di Manchester, a giudicare dalle battute sul calcio – unica cosa compresa da Silvio – e sono venuti alla Latteria Maffucci su consiglio di amici. Ci sono bellissimi bavagli ricamati, indosso immediatamente il mio e ordino una seada – un dolce fritto della cucina sarda a base di pasta di semola, farcito con formaggio dolce e guarnito con zucchero e miele. L’atmosfera è deliziosa e conviviale. Poi il vecchio telefono a filo della parete squilla. Fino a quel momento pensavo si trattasse di parte dell’arredo, e assistiamo tutti a uno dei rinomati show di Silvio. Sembra di essere di famiglia, i proprietari mi mostrano le foto di tutto il parentado alle pareti e mi invitano a cercare gli autografi di persone famose, lasciati sulle grandi abat-jour che arredano il locale (spritz e vino non me li fanno trovare). Prima di uscire, mi sento talmente in confidenza che gli confesso del mio Tour Amarcord. Loro mi disarmano chiedendomi: “Quindi l’articolo lo possiamo trovare su YouTube?”.
Decisa ad avviarmi finalmente verso casa, dopo questo pranzo di ore, ricevo un messaggio vocale da un’amica, ex studentessa del politecnico: “Se fai il tour dei posti dove mangiano gli studenti, non puoi non passare da TodoModo”. E chi sono io per non andarci. Già che ci siamo, faccio una breve tappa al “Centro Carni Bovisa”, che ha un’insegna verde con un font pazzesco. Si tratta di una macelleria/salumeria che prepara al momento degli ottimi panini per soli 2,50€. I signori al banco sono molto simpatici e scambiamo qualche gag, come di consueto. Ritorno su via Andreoli, questa volta verso la stazione, ed entro da TodoModo. Il locale creperia ha un arredo mix&match sui toni del viola e diversi tavoli dotati di prese per i portatili. È l’unico posto incontrato finora a presentare un’offerta per stanziare più a lungo. Nel locale c’è qualcuno che si è fermato a studiare dopo pranzo, ordino un frullato e mi godo lo spettacolo degli studenti della facoltà di design che parlano, a fatica, di un progetto da presentare al prossimo esame. Pance piene. Satolli. Rallentati. Forse questo è il segreto per studiare meglio.