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Angelica Baldan

Drink(h)er: la rubrica di ZERO sulle donne del beverage. Oggi conosciamo Angelica, bartender del Camparino in Galleria, 27° locale al mondo secondo la World's 50 Best Bars.

Scritto da Martina Di Iorio il 22 marzo 2022

Drink(h)er è il viaggio di ZERO tra le donne del mondo del beverage. Di bancone in bancone, andiamo alla ricerca di quelle storie che finiscono con un drink in mano ma partono da molto lontano. Comun denominatore l’essere intraprendenti, coraggiose, e pronte a sfatare e dimostrare che il mondo del beverage non è e non deve essere esclusivamente maschile. Sempre più donne si approcciano a questo lavoro, scegliendo con passione e determinazione una professione che non è sempre facile e non sempre supera il gender gap.  Qui capiamo insieme le loro storie direttamente dalla loro voce.

Angelica Baldan è una giovane bartender e la potete trovare al Camparino in Galleria. Lavora nel mondo hospitality più o meno da quando è nata, grazie alle attività di famiglia, e approda definitivamente al mondo mixology a 19 anni. Del suo lavoro ama il contatto con il pubblico, le relazioni e le connessioni che si vanno a creare e pensa, soprattutto, che ormai non ci sia più nessuna distinzione tra uomine e donne in questo settore. E meno male. Qui capiamo insieme a lei il perché.

Sono molto contenta di vedere che la femminilità in questo settore inizia a farsi sentire

 

Chi sei ti puoi presentare? Cosa fai nella vita?

Ciao, sono Angelica, ho 24 anni e provengo da Padova. Attualmente lavoro come bartender al Camparino in Galleria di Milano, il 27esimo locale nella classifica dei 50 World’s Best Bars. Entrambi i miei genitori sono ristoratori, quindi sin da piccola ho avuto la fortuna e la possibilità di stare dietro al bancone e imparare così l’arte del mestiere. Fin dalla tenera età aiutavo in qualche modo i miei genitori al bar e ho imparato così ad apprezzare e ad innamorarmi di questo lavoro.

Come sei arrivata a fare il tuo lavoro di oggi? Da che percorso vieni? Hai sempre lavorato nel mondo del beverage?

Nel periodo adolescenziale, come tutti, non sapevo che cosa volessi fare da grande. Non ho mai smesso di lavorare al bar e ho sempre aiutato nei locali di famiglia, in pasticceria e in altre caffetterie. Ho svolto anche altri lavori differenti, come la parrucchiera o la segretaria, ma ho capito che non era la mia strada. Dentro me sapevo che lavorare dietro al bancone era la scelta giusta, sarà forse che ce l’ho nel sangue – grazie soprattutto a mio padre – ma ancora dovevo prenderne coscienza.

 

A 19 anni, in un periodo particolare della mia vita, mio padre aprì il suo primo cocktail bar in centro a Padova. Mi chiese di andare a lavorare per lui e così mi misi in gioco. Avevo sempre lavorato in bar diurni o in pasticceria, mai in un cocktail bar, pensate addirittura che non sapevo nemmeno cosa fosse un Daiquiri! Mio padre mi insegnò tutto quello che sapeva del mestiere e mi fece fare un corso per bartender, dove imparai un po’ di merceologia e capì meglio anche il metodo di miscelazione. Mi impegnai moltissimo, capì sin da subito che la mia vocazione era quella di interpretare e tradurre le esigenze e i desideri dei clienti in cocktail: mi piaceva dialogare con loro, capire se avessero voglia di parlare o semplicemente di rilassarsi e soprattutto amavo consigliare drink.

 

Mi innamorai totalmente di questo lavoro, iniziai a studiare libri su libri e a provare cose nuove e ancora ora non ho mai smesso di imparare e continuare ad aggiornarmi. Scoperta questa passione a 21 anni decisi di partire per Milano per arrivare oggi a lavorare in un locale di cui vado molto fiera di farne parte: il Camparino in Galleria.

Come riesci a coniugare vita privata e lavoro? Quanto del tuo lavoro è ibridato nel tuo privato?

Devo dire che all’inizio ho sofferto un po’, come tutti credo.
Le mie amiche ancora studentesse o non lavoratrici si organizzavano sempre per uscire quando io ero di servizio. Tuttavia, non mi sono mai abbattuta, e finito il servizio alle 2:30 del mattino prendevo la macchina e le raggiungevo. Addirittura, una volta sono arrivata anche a Jesolo per andare a ballare insieme a loro!

 

Ora ho 24 anni, mi sento più cresciuta e consapevole. Durante la mia giornata cerco sempre di ritagliarmi degli spazi quando ne ho bisogno. So che questo non è facile da fare e soprattutto da organizzare, specialmente in molti locali, per questo mi ritengo molto fortunata. Lavorando col tempo e aumentando sempre di più la mia esperienza, ho capito che è necessario sempre battersi per i propri diritti e spazi, altrimenti questo lavoro si impossessa anche della tua vita personale.

Cosa significa essere una donna nel tuo mondo?

Ammetto che essere quasi sempre l’unica donna a lavorare in un locale non mi ha mai dato grosse difficoltà. Sono una persona forte e che non si fa mettere i piedi in testa. Ho sempre avuto la fortuna di lavorare con uomini che mi hanno sempre trattata come una sorella e nel momento del bisogno mi hanno sempre fatto da spalla. Sono molto contenta di vedere che la femminilità in questo settore inizia a farsi sentire.

 

In questo ultimo anno, soprattutto, ho conosciuto delle ragazze davvero talentuose e dalle forti personalità e questo credo sia molto importante per andare avanti e farsi sentire in questo settore. Non credo comunque ci sia più bisogno di distinguere uomo e donna in questo lavoro. Come in ogni situazione lavorativa, ci vogliono determinate skills e chi le ha, non ha niente a cui invidiare ad alcun bartender uomo.

Ti sono mai capitate alcune situazioni difficili in quanto donna? Fa più fatica una donna in questo ruolo rispetto a un uomo?

Non ho mai vissuto situazioni spiacevoli con i miei colleghi; tuttavia, ammetto che con alcuni clienti è capitato. È necessario mantenere il sangue freddo ed agire e rispondere sempre con educazione, e se non basta, bisogna subito avvertire i superiori che sicuramente sapranno come gestire il tutto. L’unico contesto in cui da donna mi sento penalizzata è purtroppo il ritorno a casa tutte le notti da sola.
Milano la notte si trasforma e bisogna stare davvero attenti…

Perché ami il tuo lavoro? E che consiglio daresti a chi vuole approcciarsi a questo mondo?

Per me, non c’è cosa più bella nel sapere che in quel momento hai fatto stare bene una persona, che l’hai fatta sentire a casa e hai capito davvero cosa volesse. Il consiglio che posso dare e che vedo mancare ogni tanto quando ho modo di uscire e visitare altri locali da
cliente è proprio l’ospitalità, la gentilezza e la voglia di aiutare a capire che cosa può davvero gradire un cliente che non fa parte del settore.

Vedo molta concentrazione a fare cocktail super elaborati, con ingredienti sconosciuti, magari anche molto buoni. Ma se il cliente non capisce nulla della drink list, come fa a decidere? Deve essere guidato e bisogna invogliarlo a provare cose nuove. Secondo me sta proprio lì la bravura del bartender. Bisogna essere pazienti al punto giusto anche in un momento caotico e frenetico di un cocktail bar.

E invece l'aspetto più duro?

L’aspetto più duro secondo me è sicuramente tenere a bada la parte emotiva. Forse non sembra, ma sono una persona estremamente sensibile e credo sia anche grazie a questo tratto se sono molto empatica con le persone e riesco a comprendere a pieno le esigenze dei clienti.
Ma come tutto, però, è necessario tenere conto anche del rovescio della medaglia e in questo caso bisogna lasciare fuori dall’ambiente lavorativo qualsiasi problema personale. È un lavoro che bisogna fare su sé stessi ogni giorno.

Se andassimo a bere insieme dove ci porteresti? E cosa ci faresti bere?

Vi porterei in un qualsiasi locale di Milano dove i requisiti chiave sono necessariamente: mangiare bene, bere bene e soprattutto stare bene! Fortunatamente a Milano ce ne sono davvero tantissimi di posti così. Mi viene in mente, ad esempio, Vinoir – l’enoteca naturale con cucina. Il personale in sala è super preparato e accogliente e le ragazze in cucina preparano davvero dei piatti deliziosi!

Poi il Cocktail bar Tiki Room, per un’atmosfera super divertente, o il Norah Was Drunk, dal nome curioso e con degli ottimi oyster martini cocktail. Le Cantine Isola, un’enoteca storica con personale giovane, preparato e super simpatico ed infine Kanpai per un buon sakè di cui io vado pazza!