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Antonello Fusè

L'avanguardia di domani passa per la futuribilità dei makers

quartiere Bovisa

Scritto da Emilio Lonardo il 3 aprile 2022
Aggiornato il 8 aprile 2022

Foto di Glauco Canalis

Antonello è il fondatore di Makers Hub, una delle realtà di riferimento nel panorama milanese per chi si muove con disinvoltura tra design e nuovo artigianato. Imprenditore, designer e maker, anche se rifiuta le etichette, sia per lui che per la professione, con Antonello abbiamo parlato della commistione dei sapere e di come il quartiere Bovisa si configura sempre più come avamposto per la sperimentazione e l’innovazione.

«Ad oggi ci sentiamo di aver vinto quella scommessa e di aver dato il nostro contributo affinché la nostra fosse una profezia auto-avverante.»

© AGNEMAG
© AGNEMAG

Ciao Antonello, cosa fa oggi un designer e cosa fa oggi un maker? E tu ti senti più un designer, un maker, o una figura ibrida tra le due?

Io credo che le etichette e le definizioni siano poco “contemporanee”, difficile tracciare una linea di confine netta tra le due figure. Guardando gli annunci di lavoro ormai ai designers vengono chieste richieste competenze proprie dei makers e viceversa. Entrambi lavorano nel mondo del progetto, i designers si occupano di forma, funzione, scelta dei materiali, i makers hanno molteplici campi d’azione, per cercare una sintesi potremmo dire che trovano soluzioni tecniche e tecnologiche per poter realizzare oggetti statici o interattivi. Sono due figure che ambiscono a generare qualcosa di nuovo, dovendo tenere conto della contemporaneità, nel gusto, negli usi , nei costumi e negli strumenti di produzione a disposizione.

La più grande differenza la vedo nel mercato di riferimento che hanno queste due figure, sicuramente il sistema design è più solido, più affermato e con maggiori disponibilità economiche rispetto al mondo makers, che vede ancora pochi professionisti tra le sue fila.  I makers professionalmente hanno ancora pochi punti fissi, a mio parere questo rende il loro lavoro più interessante e anche divertente rispetto a quello del designer, hanno più possibilità di essere dei game changer; tuttavia non è facile seguire una strada ancora così incerta. Io sento di essere partito dal design, essermi trasformato in un maker ed ora interpreto il ruolo di imprenditore. Non è stato un percorso pianificato, la formazione accademica nell’ambito del design mi ha permesso di diventare un buon problem solver e di saper gestire progetti di varia natura, questo è stato fondamentale per poter evolvere e cambiare ruolo successivamente.  Un cambiamento dettato da necessità e che non aveva avuto alcuna pianificazione precedente.

Quanto la possibilità di realizzare oggetti concretamente può aiutare la pratica del buon design?

Io credo che l’esperienza della materializzazione della propria idea sia fondamentale per ogni designer, l’impatto che avrà un oggetto/progetto dal vivo la si può solo ipotizzare attraverso un render; materiali, finiture e dettagli hanno un grande impatto emozionale sul fruitore e quindi sulla resa finale del progetto. Un “esercizio” che ho ripetuto più volte in gioventù è stato quello di (ri)costruirmi alcuni arredi di design che mi piacevano molto, ma che non potevo permettermi; è stato uno dei migliori metodi di studio che abbia applicato. Inoltre materializzare il progetto ci rende più consci dei processi produttivi, della manutenzione e usabilità che avrà l’oggetto nel tempo, tutte tematiche fondamentali per il buon design.

Sei il fondatore di Makers Hub, ci racconti brevemente di cosa si tratta?

Makers Hub è un laboratorio creativo artigiano, dove si progetta, si costruisce e si impara. Qui le tecnologie analogiche e digitali favoriscono lo sviluppo di progetti innovativi e la costruzione di prodotti personalizzati. Makers Hub nasce appunto dal nostro essere makers, ovvero inventori 4.0, siamo un laboratorio che realizza oggetti custom e mobili su misura, siamo uno spazio di coworking per artigiani e makers, siamo un centro di formazione sulle nuove tecnologie. Queste tre attività possono sembrare distinte e distanti ma in realtà vivono della stessa linfa e si contaminano. Il nostro spazio è di circa 1000 metri quadri, all’interno vi sono i laboratori di falegnameria, lavorazione del ferro, pelletteria, stampa tipografica ed il fab lab: il laboratorio dedicato alle nuove tecnologie come taglio laser e stampa 3D. I laboratori sono usati dai nostri artigiani e sono a disposizione dei coworker, affittiamo spazi di lavoro privati che diventano sede produttiva e di progetto di makers, progettisti, artigiani, artisti e start up. La possibilità di utilizzare la strumentazione presente a Makers Hub da modo ai coworker di sperimentare e proporre nuove soluzioni al mercato senza dover affrontare un investimento ad ogni nuova idea da testare. I nostri progetti formativi ci vengono richiesti da scuole, istituti tecnici e fondazioni, insegnamo robotica, stampa 3D, taglio laser, coding e molto altro.

Quali sono i punti di forza attuali di una realtà di questo tipo e cosa invece ti piacerebbe implementare?

I nostri punti di forza sono sicuramente la duttilità, la creatività e la futuribilità della nostra proposta di servizi, oltre al modo stesso in cui li proponiamo. I nostri laboratori sono sempre molto impegnati nella produzione di arredi su misura e oggetti per allestimenti, riuscire a dialogare in una maniera rapida e fresca con i clienti velocizza di molto i loro tempi decisionali e la nostra produttività. La nostra proposta di spazi di coworking dedicati ad  artigiani e makers ha visto aumentare nel tempo le richieste, ormai siamo fully booked per il 90% del tempo. Il nostro sogno attuale è di poter far crescere Makers Hub e di poter proporre i nostri servizi sempre a più persone, per fare questo ci serve uno spazio più grande dei nostri attuali 1000mq ed anche ulteriori capitali che ci permetterebbero di crescere alla velocità che il mercato ci richiede.

Recentemente è stato realizzato, per l’iniziativa “Un nome in ogni quartiere”, un murale che identifica la Bovisa come quartiere dei makers. Quanto e come essere in Bovisa facilita il tuo lavoro?

Essere in Bovisa ci rende parte di un’area dove il progetto e la creatività sono di casa, ci sentiamo di essere all’interno della sala macchine del design e del making  milanese, il luogo un po’ disordinato e poco visibile dove si genera la spinta propulsiva futura. Inoltre la Bovisa è strategica da un punto di vista logistico e ricca di servizi fondamentali per il nostro settore.

Ti senti appartenente al territorio di Bovisa? Perchè? Ci racconti la tua Bovisa?

Sì, assolutamente mi sento di appartenere alla Bovisa, ci siamo insediati in Via Cosenz, nella deep Bovisa, ormai sette anni fa, scommettendo fortemente sul quartiere. Ad oggi ci sentiamo di aver vinto quella scommessa e di aver dato il nostro contributo affinché la nostra fosse una profezia auto-avverante. Bovisa ha molti tratti della periferia, nel poter riconoscere le facce del quartiere, nella moltitudine di piccole attività che ospita, nella storicità di alcuni luoghi ed anche dal percepirsi una realtà distinta dai quartieri limitrofi. Questi tratti creano un senso di appartenenza e sono anche ironicamente in contrasto con l’anima più innovativa della Bovisa, quella generata dagli studenti, ricercatori, ingegneri, professori che arrivano nel quartiere per lavoro o studio e vi si insediano anche con il loro progetto di vita o danno vita a nuovi percorsi professionali.