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Antonia Conte

Drink(h)er: la rubrica di ZERO sulle donne del beverage. Oggi conosciamo Antonia, una vita tra giri di shot, orari dilatati e una dichiarazione d'amore per il bancone del bar

quartiere NoLo

Scritto da Martina Di Iorio il 14 marzo 2022

Drink(h)er è il viaggio di ZERO tra le donne del mondo del beverage. Di bancone in bancone, andiamo alla ricerca di quelle storie che finiscono con un drink in mano ma partono da molto lontano. Comun denominatore l’essere intraprendenti, coraggiose, e pronte a sfatare e dimostrare che il mondo del beverage non è e non deve essere esclusivamente maschile. Sempre più donne si approcciano a questo lavoro, scegliendo con passione e determinazione una professione che non è sempre facile e non sempre supera il gender gap.  Qui capiamo insieme le loro storie direttamente dalla loro voce.

In questa prima intervista abbiamo fatto due chiacchiere con Antonia Conte, consumer & trade experience specialist di Pernod Ricard, grande azienda di distribuzione francese, con sede anche a Milano. Antonia la si incontra non di rado in giro per i bar di Milano, segni particolari un gran sorriso e una passione smodata per il suo lavoro, che svolge più come una missione. Instancabile, determinata, Antonia ci racconta in questa intervista qualcosa di più del mondo e del suo lavoro: come concilia la sua vita privata, svolgendo un lavoro che molto spesso fagocita anche il resto, e cosa vuol dire essere donna in un mondo prettamente maschile. Ma forse non più.

Essere una donna nel mondo del beverage significa non aver paura di essere sé stessa, significa fare squadra con donne come te

 

Chi sei ti puoi presentare? Cosa fai nella vita?

Sono Antonia Conte, bilancia, 31 anni, abbraccio gli alberi e in realtà sono una pantofolaia. Trasferita a Milano dal piccolo Cilento, in Campania, a 19 anni. Sono Consumer & trade experience specialist presso Pernod Ricard, multinazionale di spirits francese. In pratica mi occupo di tutto quello che succede al bar, organizzazione eventi, guest, fiere di settore. Insomma i bartender sono il mio pane quotidiano.

Come sei arrivata a fare il tuo lavoro di oggi? Da che percorso vieni?

E’ stato inaspettato, ma da fatalista sono sicura ‘fosse già destinato’. Nel 2014, faccio domanda all’università per concludere la magistrale all’estero, sarei andata ovunque pur di staccare da Milano. In quel momento non mi sentivo nel posto giusto e volevo cambiare. Quell’ovunque è diventato Dublino, in Irlanda, città e paese che fino a quel momento non avevo mai preso in considerazione. Dovevo rimanere solo tre mesi ma sono rimasta esattamente 1316 giorni. Mi ha conquistata, sapevo che c’era qualcosa per me lì e dovevo rimanere.

 

Ovviamente per poter vivere dovevo rimboccarmi le maniche, quindi inizio a lavorare per un servizio di catering. Orari  assurdi, posti bellissimi, ecco i primi approcci al bancone. Tra un bancone e l’altro, cerco e trovo uno stage che rispecchi il mio percorso di studi. Io ho studiato pubbliche relazioni all’Università e prima della mia parentesi irlandese ho avuto esperienze nel mondo della moda. Pensavo fosse quello il mio mondo.Trovo uno stage che poi si trasforma nel mio primo lavoro a tempo indeterminato in un’agenzia di Pubbliche Relazioni Corporate nel centro di Dublino. Uno dei nostri clienti era Irish Distillers, uno dei miei primi eventi è stato proprio nella distilleria di Bow St.

 

Io sono sempre stata ‘un animale da bar’ ma l’ho sempre vissuta da consumatore curioso ma in disparte. Dublino è magica sotto questo punto di vista, mi ha fatto capire e vivere esperienze al bar che non dimenticherò mai. Le chiacchiere con gli sconosciuti, lo shot al bancone, il bancone, le prime domande a quelle figure mitologiche che sono i bartender, insomma la vera convivialità accompagnata sempre da bellissima musica di sottofondo.

E come sei arrivata a fare quello che fai oggi?

Dopo circa tre anni in agenzia, mi rendo conto che ero entrata in una comfort zone e dovevo uscirne. Il caso vuole che una mia ex collega mi mandi un’offerta di lavoro. Cercavano un brand ambassador per Jameson con base a Milano. Ricordo ancora le sue parole ‘Antonia you’d be perfect for this role’.

 

Non nego che i primi periodi come Brand Ambassador non sono stati proprio in discesa, il mercato italiano da questo punto di vista è abbastanza difficoltoso, soprattutto se non sei un bartender e figuriamoci se non sei neanche conosciuto. Ma è stata una sfida meravigliosa che rifarei mille volte perché oggi non solo ho girato l’Italia, ma posso dire di avere amici da qualsiasi parte.

 

Quindi ecco, ci sono arrivata per caso, ma era scritto da qualche parte. Dopo tre anni di Ambassador, tra alti e bassi e ricordi meravigliosi, sono stata assunta da Pernod Ricard Italia, nel Trade Marketing Team.

Raccontaci una giornata tipo del tuo lavoro.

Sembrerà scontato ma non ho una giornata tipo. Ci sono molte variabili che possono cambiare la mia giornata/settimana. Direi che un 60% di quello che faccio é sul field, credo che sia molto importante andare in giro, osservare, conoscere, sperimentare per chi lavora nel nostro settore. L’altro 40% é amministrativo, a volte non ci si rende conto quanto lavoro c’è dietro a un semplice evento, ma soprattutto quante altre cose ci sono da fare.

 

Però la cosa che mi motiva di più di questo ultima parte è che alla fine c’è sempre il bar. Tutto il tempo passato al pc poi servirà per qualcosa che accadrà dietro quel bancone, in quel bar a quella fiera.Almeno due volte a settimana vado in ufficio, cosa che adoro perché è fondamentale per me condividere momenti con i miei colleghi (che in realtà definisco amici).

 

Quando non sono in ufficio di solito sono in giro per l’Italia, oltre ad organizzare eventi/guest mi piace parteciparvi attivamente, perché solo in quei momenti istauri dei rapporti e delle connessioni che servono tantissimo. Ah sì ecco sicuramente la mia giornata tipo include parlare con tante persone al telefono e non, tutti i giorni.

Andiamo oltre: non fai un lavoro canonico, molto spesso si lavora la notte, quando gli altri si divertono. Come riesci a coniugare vita privata e lavoro?

Diciamo che dal mio punto di vista (non bartender), che è sempre dall’altro lato del bancone, in realtà è come se non si smettesse mai di lavorare. Anche se esci con gli amici il fine settimana, è proprio intrinseco in te il dover conoscere il posto, dire ciao al bartender, capire, osservare. Anzi magari ne approfitti proprio per andare a vedere bar appena aperti o salutare degli amici.

 

Questo lavoro, soprattutto se sei appassionato (ma se non lo sei non potresti farlo) ti risucchia completamente perché non dorme mai e tu non dormi mai con lui. C’è sempre qualcosa da fare, un posto da vedere, un evento da organizzare, una chiacchiera in amicizia o di lavoro.

Quanto del tuo lavoro è ibridato nel tuo privato? E come fai a mettere dei paletti?

Coniugare la vita privata non è facilissimo, io quest’anno mi sono ripromessa di ritagliarmi dei giorni per staccare e fare cose  completamente diverse. Non posso dire di aver raggiunto un equilibrio in questo oggi, ma il mondo è ripartito così velocemente e io insieme a lui. Diciamo che non ho ancora imparato a dire no, ma intanto evito di uscire nel fine settimana e provo a prendermi del tempo per me stessa e condividerlo con i miei coinquilini/amici.

Il mondo del beverage è un mondo molto maschile, quasi esclusivo. Cosa significa essere una donna nel tuo mondo?

E’ un mondo quasi esclusivo è vero, ma aperto. Essere una donna nel mondo del beverage significa non aver paura di essere sé stessa, significa fare squadra con donne come te, significa stare attente perché ogni gesto o parola può essere frainteso. Significa farsi spazio piano piano, con costanza e determinazione. Significa crederci, non aver paura, non abbattersi, ma cosa più importante è essere unite, sorridersi a vicenda perché d’avvero l’unione fa la forza. Ho conosciuto delle donne meravigliose dietro e avanti al bancone e una parola carina o un abbraccio sincero fa sempre bene. Noi abbiamo quello sguardo secondo me quando ci guardiamo che dice senza dirlo veramente ‘hey, you rock girl i am with you!’.

Ti sono mai capitate alcune situazioni difficili in quanto donna? Fa più fatica una donna in questo ruolo rispetto a un uomo?

Mi è capitato di entrare, soprattutto all’inizio della mia carriera da Brand Ambassador in un bar e ritrovarmi circondata solo da volti maschili e chiedermi e ora che faccio? Come mi pongo? Mi prenderanno sul serio? Poi tra le mille porte in faccia, tante persone diverse, tanti sorrisi e accoglienza ho capito che l’unico modo è essere sé stesse, e lo sono stata.

Le situazioni “strane” soprattutto quando c’è di mezzo l’alcool è inevitabile che si creino, ma non appena ti fai conoscere e fai capire che tipo di persona sei, impari a gestire ogni singolo caso e ogni situazione.

Ci sono pregiudizi da superare in un mondo così a senso unico?

I pregiudizi ci sono sempre, ma fortunatamente non credo siano legati al genere, sono legati ad un mondo che forse oggi si prende troppo sul serio. Io ho avuto tantissimi bartender e colleghi maschili che sono diventati i miei mentori e mi hanno aiutato a crescere e a farmi spazio in un mondo che poi è piccolo.

Perché ami il tuo lavoro? E che consiglio daresti a chi vuole approcciarsi a questo mondo?

Amo il mio lavoro per quel pezzo di bar che si chiama bancone. Ho scritto una lettera d’amore al bancone del bar durante il primo lockdown, perché ho capito che se oggi mi guardo indietro e sono veramente felice è grazie a lui. Al bar succedono tante cose, vai li dopo una brutta giornata al lavoro, per festeggiare qualcosa, o semplicemente per andarci. Ma soprattutto oggi ho veramente tantissimi amici in giro per i bar d’Italia e le persone per me sono come benzina, indispensabili.

 

Il consiglio che mi sento di dare a chi vuole approcciarsi a questo mondo è di buttarsi, di non perdere mai stimoli, di avere tanta passione, e non aver paura di essere sé stessi, perché è la nostra unicità nel modo di fare le cose che ci rende speciali anche agli occhi degli altri.

E invece l'aspetto più duro?

Prendersi cura di sé stessi è importante, riuscire a trovare l’equilibrio, è un mondo che ti risucchia facilmente, imparare a dire no è molto importante. No all’ultimo shot se non ti senti di farlo, ascoltare il proprio corpo è indispensabile.

Cosa cambieresti di questo sistema e cosa invece è perfetto così.

Spero che si torni un po’ più alla cura del cliente e un po’ meno alla cura della drink list. E’ tutto importante ma il cliente che va via contento e soddisfatto ritornerà e porterà sempre più gente. Il bar deve essere un posto sicuro dove sentirsi a casa anche quando si è soli. E poi ovviamente più ragazze perché dietro un grande bar c’è sempre una grande donna. Non era così il detto?

Se andassimo a bere insieme dove ci porteresti? E cosa ci faresti bere?

Io ho diversi posti del cuore, dipende tantissimo da come mi sento. Vi farei fare un giro prima al Ghe Pensi Mi in piazza Morbegno, per un aperitivo con vinyl set. Un luogo semplice, accogliente, felice. Qui berrei un JPensiMi o un Bloody Mary base tequila! Ma Stefano Santa è bravissimo a giocare e capire i gusti delle persone. Poi farei un salto a Lambrate, da Milo Occhipinti, il bar si chiama Unseen, un luogo unico nel suo genere, il bancone è un tavolo conviviale e Milo è il padrone di casa che si prende cura uno ad uno dei suoi ospiti. Cocktail che vi farei bere se vi piace il gusto smokey e il mezcal è il supreme connection! Ultima tappa per il ‘martini della buonanotte’ è al Nik’s & Co, zona stazione centrale. Dal proprietario ai ragazzi, è davvero il mio posto per rilassarmi, per chiacchierare per stare bene prima di tornare a casa.