Dal 21 al 23 febbraio al Palazzo del Ghiaccio di Milano andrà in scena Live Wine, Salone internazionale del vino artigianale con piccoli e grandi vignaioli italiani e europei. Ma che cos’è un vino artigianale? Abbiamo deciso di chiederlo direttamente ad alcuni dei produttori coinvolti, in una serie di interviste che vi accompagneranno da qui all’evento. Dopo Fabio Montrasi e Alessandro Dettori, vediamo come la pensa Elisabetta Foradori (Mezzolombardo TN, 1965) dell’Azienda Agricola omonima.
Hai un ricordo d’infanzia legato al vino?
Dalla cucina, sopra la parte di cantina adibita a fermentazione, salivano sempre profumi ed era il segnale che la vendemmia era incominciata.
Puoi presentare la tua azienda? L’hai ereditata dai tuoi genitori?
L’azienda fu acquistata dal nonno negli anni 30, poi condotta da mio padre fino al 1976, da me dal 1984. Dalla morte di mio padre al mio ingresso se ne occupò mia madre. In origine non si coltivava solo la vite, ma ci si occupava di mele, mucche, mais e verdure per il bisogno familiare (fino alla fine degli anni 70).
Hai apportato delle modifiche sostanziali nel modo di fare il vino?
Credo di aver seguito il mio istinto e cambiato in due fasi diverse molte cose: dal 1984 a fine anni 90 ho introdotto uno stile che mi permettesse di uscire dalla buia (per quei tempi) regionalità del Teroldego e quindi di far vivere l’azienda, dal 2000 a oggi l’avvicinamento e la pratica della biodinamica per dare il vero sapore della mia terra ai miei vini.
Che uve coltivate, che vini producete, in che quantità?
Coltiviamo soprattutto Teroldego, ma anche Nosiola e Manzoni Bianco su una superficie totale di 24 ettari.
Quante persone lavorano da voi? Accogliete richieste di giovani che vorrebbero lavorare in un’azienda vinicola? Ne ricevete molte?
Siamo in 8 fra campagna, cantinae ufficio compresi me e mio figlio. Accogliamo per periodi diversi giovani di varie nazionalità, soprattutto durante la vendemmia ma anche in estate. È un piacere e una gioia averli.
Naturale, biologico, biodinamico, artigianale… Le definizioni sui vini si sprecano, e il consumatore è sempre più confuso. Voi come definireste il vostro vino?
Un prodotto sano e vitale che esprime il sapore della terra da cui proviene e l’intenzione di chi lo produce.
Il tuo vino contiene solfiti aggiunti? Se sì, perché?
Lavoriamo con uve vitali e quindi non aggiungiamo solfiti fino alla messa in bottiglia. Il vino viaggia e attraversa i mari, se fosse bevuto a casa non avrebbe bisogno di un granché. In ogni caso i livelli di solfiti sono molto bassi, esiste una sorta di autoproduzione legata alla vitalità delle uve e del vino.
Live Wine 2015 si definisce “Salone Internazionale del Vino Artigianale”. Che cos’è un vino artigianale per te?
Artigianale è un aggettivo che evoca la presenza dell’uomo in prima persona in tutte le fasi che portano alla creazione di un qualcosa. È l’uomo che concepisce e attua gli atti agricoli, che crea e quindi non ripete azioni o gesti ma interpreta di volta in volta.
Ma un vino artigianale è migliore a prescindere da uno industriale? O è solo più sano? E poi, sei sicuro che zolfo e rame sono più sani per l’organismo?
Che cosa vuol dire migliore? Ognuno ha una propria concezione di gusto: il vino artigianale dovrebbe vibrare, dare emozioni, arrivare a salire in alto oltre la parte materiale per dare benessere e piacere, digeribilità e sostegno al cibo. Il vino artigianale dovrebbe dare sensazioni di vitalità, non essere mai uguale, evolversi e cambiare come la vita. Se la pianta e il suolo vitale sono in equilibrio, la sua capacità di autoguarigione è notevole e quindi gli interventi con rame e zolfo si dovrebbero ridurre a dosi omeopatiche.
La maggior parte dei vini sul mercato sono prodotti con diserbanti, concimi di sintesi, pesticidi, ingredienti di originale animale… Sei favorevole a una normativa che costringa i vignaioli a scrivere tutto quello che c’è nelle bottiglie e come viene ottenuto il vino?
Sono favorevole e lo auspico anche se temo che i tempi di realizzazione siano lunghissimi perché chi ha fatto e fa le leggi sul vino è l’industria e non l’artigiano.
3 bottiglie che porteresti sulla Luna.
Jura Trousseau di Pierre Overnoy, Alicante nero Ampeleia, Domaine Chamonard Morgon.
Cosa bevi a parte il vino?
Tè verde.
Cosa significa per te bere responsabilmente? Bevi tutti i giorni?
Non tutti i giorni, ma con piacere assieme alle persone che amo o che condividono la mia stessa visione della vita.
E se ti è capitato di non bere responsabilmente, qual è il rimedio per una sbronza?
Una lunga passeggiata all’aria fresca.