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Carlo Pastore

Poche presentazione per chi ha fatto RockIt, Mi Ami e un pezzo di storia della musica degli ultimi vent'anni

quartiere Navigli

Scritto da Piergiorgio Caserini il 26 maggio 2021

Foto di Marco P. Valli

Tutti lo conoscono, c’è poco altro da dire. A me ricorda un’amica, al Mi Ami Festival, che vedendolo di scorcio durante una ballata si mise a gridare a squarciagola il suo nome, in toni impossibili, d’istinto e pure sgranando gli occhi. Che bene. Questo, per me è Carlo Pastore. Un grido amorevole ed eccitata in una serata pazza che ha fatto la storia della scena musicale in città. Insomma Carlo è stato dei nostri, è un amico, e ha sempre bazzicato le correnti dei Navigli.

Carlo @ Liveahead
Foto di Davide Di Ninno

Cominciamo, raccontaci un po’ le vibes dei Navigli, che dici?

Intanto, io abito a Conca del Naviglio, appena sopra Milano Sud. E secondo me questa zona ha uno spirito diverso, da quartiere, anzi ti dirò di più da blocco. Per la prima volta nella mia vita mi sento di vivere in un blocco, ma non è tanto l’idea parigina della città a quindici minuti di distanza, quanto un’idea che è propriamente di quartiere, che qui si sente ed è molto concreta, con una storia radicata.

Per esempio, la settimana scorsa è uscito su Rolling Stone un articolo su uno dei protagonisti di SanPa, Fabio, il filosofo magrolino. Succede che dopo trent’anni lo riportano a Milano, che è la città dove lui ha vissuto, dove si è fatto le scuole superiori e delle gran pere, le prime pere. Raccontava che la maniera che aveva di procacciarsi i soldi era quella di rubare vestiti in via Torino, per andare a rivenderli in via Gaudenzio Ferrari, qui dove abito io, che all’epoca era la “via dei trans”. E questa è una cosa ho scoperto tornando a casa in taxi, una volta, con il tassista che mi dice: «ma certo, io non vengo qui da 25 anni, questa era la via dei trans» [in marcatissimo accento meneghino]. Devo dire che questo restituisce un po’ di senso a questo quartiere, a questo blocco tra via Ferrari, Alessi, Marco d’Oggiono, Cesare da Sesto, che ha una personalità piuttosto marcata dal punto di vista della city life. C’è tutto a portata di mano: se scendo di casa trovo due enoteche, la merceria, il tabacchino multifunzione, due bangla, due ristoranti di pesce ottimi, il supermercato, il parchetto Conca del Naviglio, che seppur piccolo è molto interessante per il clash fortissimo fra famiglie e fattoni, che quasi sembrano rimanere lì giusto per tenere la memoria del Sert che una volta si trovava nei pressi del parco.

Insomma, ho sempre girato attorno e dentro ai Navigli, ma la Conca è il posto che più mi piace, forse proprio perché appena dietro c’è la Milano Sud, quella che viene descritta da tutti e a cui non sento di avere granché di interessante da aggiungere, e che però ha una sua piccola dimensione che trovo molto umana.

Un po’ tutta Milano alla fine ha i suoi spot, spazi in cui rimane quel senso di quartiere, solidale, di paese, e ti dirò, è anche la cosa di cui alla fine tutti vogliono parlare.

Beh, quella roba lì è fondamentale, è il motivo per cui a me architettonicamente mi ha sempre affascinato tantissimo Bovisa o Bicocca, ma poi quando vado lì faccio fatica a starci. Troppe macchine parcheggiate, troppe residenze… avrei bisogno di starci anni per capirci qualcosa e orientarmi. Qui invece è stato abbastanza immediato, forse perché è un blocco estremamente piccolo ed è rodato da tanti anni. Non è come a NoLo, per esempio, dove tutto è nuovo, giovane, dove chi si è trasferito lì dieci anni fa ha contribuito a trasformare il quartiere in quello che è oggi. Qui si tratta piuttosto di spazi che hanno tante storie da raccontare, basti pensare che le gestioni degli esercizi sono di gente più adulta, per esempio. Devo dire che avevo bisogno di qualcosa di questo tipo, qui a Milano. È proprio vero quello che avevo letto su un libro di Aldo Nove, quando fece una guida sulla città: che Milano è un iceberg, e se ne vede soltanto la punta; ma se appena giri l’angolo, annusando e cercando un po’ come si deve, entrando nelle case e nei palazzi, dove si nascondono le cose, ecco, è lì che trovi le sorprese.

 

Beh, Milano è tutta interna, come dire, sono gli interiour, i cortili, le ringhiere, e tutto in qualche modo sopravvive. Sono mille città in una. Bisogna dire poi che, comunque, uno degli aspetti più riconosciuti dei Navigli è quella patina da factory, di creativi a cielo aperto, al punto che c’è chi ci ha parlato di “carta blu” del creativo, il marchio dei Navigli.

Chi parla di certificazione della creatività mi lascia sempre perplesso. Questa la prendo con le pinze. Diciamo che purtroppo e per fortuna i Navigli sono un luogo estremamente turistico, che accoglie e attrae chi arriva da fuori, ed è vero che spesso si viene a qui per fare lavori “creativi”. Milano ha bisogno di quartieri così, transitori, di movimento, e i Navigli sono questo. Anche se devo dire che NoLo, magari su un target un po’ più giovane, sta racimolando. Il fatto è che in zona Navigli ormai le case costano molto, per tutta una serie di ragioni. Ci puoi trovare gli studenti delle università private, certo, che hanno un potere d’acquisto più alto in fondo, mentre gli altri si spostano da un’altra parte. L’agente immobiliare che mi affittò casa dove abito mi disse : «non si capisce perché la gente vuole prendere casa qui piuttosto che dove vivo io (zona Piola); qui sono tutte brutte, vecchie e      costano un sacco di soldi» [di nuovo in accento meneghino forte]. Ed è così davvero, alcune sono messe male. Ma anche questo è il bello, no? Per certi versi è coerente, se pensi che c’erano i trans, le case di ringhiera, le case popolari… Avere un respiro così cambia completamente le vibes del quartiere.

Da direttore artistico del MI AMI, che ci dici della sua nascita e della scena musicale qui, sulle sponde dei Navigli?

Ti posso raccontare questo. Noi avevamo la prima sede di Rockit in via Pestalozzi, ed eravamo ospitati da Jungle Sound, uno storico studio di registrazione di Milano che adesso non c’è più. Fu un posto veramente importante per la musica della città e per la musica italiana in generale tra la seconda metà dei Novanta e i primi Duemila. Avevamo una scrivania in condivisione perché il proprietario, Fabrizio, si era innamorato del progetto e ci aveva dato questo posto. Eravamo in due: io e il mio socio Fiz (che per altro fu art-director di Zero). Il MI AMI comincia lì, su quella piccola scrivania condivisa. Quando uscivamo da via Pestalozzi prendevamo il 2 per tornare appunto sui Navigli (quando ancora non c’era la Darsena) e andavamo sempre, tutte le sere, da Peppuccio, bar noto per avere sempre una selecta musicale pazzesca. Ecco, ti posso dire di essere stato forse il primo promoter ad aver fatto suonare Peppuccio come dj ad un evento. Prima e unica volta: per me è una medaglia appuntata sul petto. Era il 2006, accadde durante una epica serata al fu Rainbow Club in cui suonarono Offlaga Disco Pax e Baustelle. Perché comunque Prima fu titubante, poi accettò. Decise di chiamarsi PEPPUCCIO DJ MASTER OF UNIVERSE. Venne con il suo povero figlio, che gli diede una mano con i cdj. Mise la sigla di Jeeg Robot per tre o quattro volte, passaggi non troppo fluidi ma… insomma, la scena di vedere il Corbetta e tutti gli altri aficionados del Bar Tabacchi in fila insieme agli indies fu senza prezzo. Insomma, lui volle un buon cachet… ma fu bellissimo: un clash incredibile. Questa scena racconta il radicamento profondo che MI AMI ha sulla città. Perché noi abbiamo respirato assieme a Milano, e anche se la prima edizione fu all’ex ospedale psichiatrico Pini e poi al Magnolia, MI AMI è in fondo nato nei pressi e dentro ai Navigli. E si vede, si sente.

 

La locandina con Peppuccio Master of Universe

Incredibile, devo vedere Peppuccio Master of Universe sulla locandina. È storia. Il passaggio da ieri a oggi, tra i simboli viventi del quartiere, un po’ come l’Angelique del Johan Sebastian Bar.

Angelique e JeanPaul sono tanta roba! Ecco, capisci? La cosa bellissima dei Navigli, i loro posti di culto, sono alla fine quelli che ti raccontano di quando questo era un luogo di delinquenza, spaccio, immersi in atmosfere completamente diverse, eppure sempre autentiche. Penso che tutti quanti noi in questi anni abbiamo cercato esperienze così. Nel marasma dei bar fotocopia per turisti, Peppuccio lo percepisci come un essere umano vero, genuino, a trecentosessanta gradi: è un’istituzione del posto che hai scelto come casa. Può essere complottista o esagerare con le battute ai propri clienti, ma gli vuoi bene. Stessa cosa per JeanPaul e Angelique, ma anche per Massi Rocket e Barbarella. Hanno lo stesso valore. Perché quello che emerge tra il tessuto dei locali è la socialità che caratterizza il fondo di Milano. Lo stesso Sabbia d’Oro, o il Woodstock, il Cape Town, sono posti che obiettivamente hanno un valore che va al di là del drink buono, o della cucina di un certo tipo. Quando si parla di questi posti si racconta di Milano e dei Navigli.