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Alla fine del Cocorico, ciò che importa è la memoria: intervista a Cirillo

L'opinione dello storico dj del locale romagnolo attraverso racconti, aneddoti e visioni future.

Scritto da Salvatore Papa il 18 giugno 2019

Data di nascita

4 novembre 1965 (58 anni)

Luogo di nascita

Rimini

Luogo di residenza

Rimini

Attività

Dj

Di cose sulla chiusura del Cocorico in questi giorni ne abbiamo lette tante. Ognuno ha giustamente provato a dare la sua lettura di una faccenda che contiene molte verità e rappresenta bene il momento di passaggio e la confusione che tutti stiamo vivendo. Una cosa è certa: non è solo clubbing, ma molto di più, poiché riguarda l’evoluzione della società e della cultura del Paese. Qualcosa che probabilmente capiremo meglio tra molti anni, ma che al momento possiamo provare a ricomporre attraverso i racconti di chi ne ha vissuto l’intera storia. Cirillo è uno di quelli, presente sin da quando Osvaldo Barbieri e Bruno Palazzi decisere di costruire una piramide su modello di quella del Louvre. Abbiamo, quindi, approfittato del suo dj set allo Chalet dei Giardini Margherita organizzato dal Link per fargli qualche domanda.

 

Cosa hai pensato quando hai saputo del fallimento del Cocorico?

Diciamo che è stata una lunga agonia che ha visto un susseguirsi di notizie continue e che quindi un po’ la cosa l’avevo metabolizzata. Poi, quando la sentenza del tribunale ha certificato la fine di questa esperienza, la sorpresa è stata relativa. Più che altro è stato interessante vedere le reazioni che la cosa ha suscitato a livello globale, soprattutto tra il pubblico e tra chi il Cocco lo ha vissuto in questi anni. Mi sono sentito parte di un grande gruppo e certe testimonianze mi hanno fatto piacere.

Come giudichi gli ultimi anni del club e quali sono stati gli errori?

Con l’avvento del gruppo guidato Da Meis molte cose sono cambiate, ed era inevitabile che cambiassero. Probabilmente il Cocorico non poteva più essere condotto con gli stessi criteri degli anni 90. Occorreva percorrere un’altra strada. Era l’inizio del periodo del Dj star, con i conseguenti esborsi economici che ciò comportava. La proprietà del Cocco è stata sempre molto attenta a ciò. Da parte mia ho portato avanti il discorso Memorabilia che negli anni si è consolidato ed ha espresso sempre un certo numero di pubblico. Il contorno però era desolante. Agenzie e booker che calavano come cavallette da tutte le parti pronti a rifilarti l’ultima star a peso d’oro. Abbiamo visto personaggi che al massimo avevano fatto qualche festa messi lì a dirigere l’intera baracca. Rispetto a questa gente devo dire che chi ha creato il Cocco si sarebbe rivoltato nella tomba.

Tu come arrivasti al Cocorico? E prima di arrivare lì cosa facevi?

Io lavoravo al Peter Pan dove suonavo la prima House, oltre ad avere fatto la prima estate del 1990 all’Amnesia di Ibiza. Prima ancora avevo fatto sempre il dj dalle feste private nel mio garage, al Carnaby di Rivazzurra, alla Villa delle Rose. Al Cocco arrivai grazie a Davide Nicolò che mi fece fare un provino davanti a Osvaldo Barbieri uno dei due soci di allora. Parliamo del 1990. Allora si facevano i provini per i dj, come per i pizzaioli. Se facevi la pizza buona venivi assunto, se no tornavi a casa.

Si racconta che Davide Nicolò ti chiese di “fare del cinema” la prima volta e tu screcciasti anche coi piedi. È vero?

Sì certo, la cosa fu molto divertente. L’obbiettivo era fare colpo e per fortuna andò tutto bene.

Come nacque la collaborazione con Ricci?

Ricci venne al Cocco un po’ dopo di me. Era una persona che aveva una grande cultura musicale a livello underground e soprattutto una grande energia. Insieme creammo il sound della Piramide in ogni sua forma. Collaborammo a diversi progetti tra tutti Datura, che scalò le classifiche mondiali e andò oltre il normale circuito dance. Ricci è stato un grande ed è stata una grave perdita quando è venuto a mancare.

Potresti raccontarci a modo tuo le varie gestioni che hai incontrato? Cosa distingueva l’una dall’altra e quale ricordi con più nostalgia?

Io sono sempre rimasto legato a Bruno Palazzi, Osvaldo scomparve qualche anno dopo. Con Bruno c’è sempre stato un gran feeling, lui ti lasciava sempre libero di fare quello che volevi. Ma non solo con me, anche con Loris e con Ricci e con altri che ebbero ruoli importanti al Cocco. E questo senso di libertà lo sentivi. Credo che Bruno, oltre che ad essere un imprenditore, aveva pienamente compreso che per fare andare avanti un club come quello occorreva scegliere le persone con criteri diversi di quelli di una normale azienda. Col passare degli anni questo aspetto è venuto totalmente a mancare.

Cos’è stato Loris Ricciardi per te?

È stato quello che ha per certi versi reso la nostra musica e lo stare insieme in uno spazio un’esperienza unica. A lui dobbiamo la creazione di qualcosa che probabilmente noi, come dj, non avremmo neanche immaginato in un club. Devo dire che certe situazioni che si sono create al Cocco grazie a Loris non le ho viste in nessuna parte del mondo, Ibiza e Londra in primis. Anche se a volte gli investimenti fatti nelle varie serate per scenografie e performer prosciugavano le casse del locale tanto che a noi rimaneva ben poco. Ma poi ripensavi alla sua follia e ti mettevi il cuore in pace.

All’epoca al Cocorico si incontravano diversi pubblici (nella Piramide technomani, Titilla gli housomani e Morphine gli alternativi). Pensi oggi sia ancora possibile creare una cosa del genere? Esiste da qualche parte?

Non lo so. Il Cocco è stato e rimarrà qualcosa di unico nel panorama del clubbing mondiale. Ogni suo spazio aveva una particolarità . Al Morphine con la Nico e David sembrava veramente di entrare in un’altra dimensione. Credo sia qualcosa di veramente irripetibile. Io prima di suonare andavo al fare i giri di tutte le situazioni, Titilla, Morphine e anche il Ciao Sex per sentire l’atmosfera del club in tutta la sua dimensione.

 

Questa chiusura è forse uno di quei momenti di svolta che la scena clubbing ha vissuto dalla sua nascita. Ma qual è stato il momento che più di tutti secondo te ha scritto la storia della notte italiana segnando un prima e un dopo?

Gli anni 90 sono stati per l’Italia l’apoteosi del clubbing. Il prima e dopo è tutto qui. Negli anni 80 vivevamo ancora questa dimensione underground. Con gli anni 90 arriviamo ad una vera e autentica esplosione di stili, musiche, colori incredibile. Il 2000 sancisce la parabola discendente che attualmente relega il nostro Paese ai margini di una scena internazionale.

Cos’è oggi la Riviera?

La Riviera e i suoi personaggi, parlo dalla nascita della Baia degli Angeli nel 1975, sono stati gli artefici della nascita del clubbing in Italia. La Riviera dei locali non esiste più, ormai quelli che hanno fatto storia tipo Ethos e Echoes sono stati rasi al suolo mentre altri come Prince, Pascià e ora anche il Cocorico sono chiusi e marciscono in attesa di chissà quale destino. Esiste una memoria storica che contamina diversi ragazzi e anima qualche festa. Spero che da qui si possa ripartire.

Com’è cambiata invece la tua musica e la tua carriera?

La mia musica si è sempre evoluta dagli anni 80 ad oggi. Dopo il primo grande momento del Cocco mi sono trasferito a Ibiza e mi sono completamente reinventato creando il Circoloco con Andrea Pelino e Antonio Carbonaro proponendo un sound completamente diverso. Poi ho seguito i vari input che arrivavano cercando di rimanere legato alla mia storia. Oggi vediamo riproporre con sempre più frequenza tracce e sonorità degli anni 80 e 90. Segno che quell’epoca ha segnato i gusti musicali in maniera indelebile.

Da espressione di libertà e modello di vita fuori dagli schemi, il clubbing si è massificato inglobando diversi fenomeni. Quanto è rimasto di quell'idea di clubbing? E quanto il panorama attuale fa bene al clubbing?

Ormai possiamo considerare il clubbing un fenomeno a livello globale con tutto ciò che questo ne comporta. È impossibile porre dei freni a questo soprattutto in epoca social. Probabilmente sarebbe importante ritrovarsi in spazi dove la prima cosa da fare è abbinare il divertimento alla qualità e cercare di trasmettere ciò al pubblico. Chi riuscirà in questa formula saprà dare dignità alla parola clubbing. Diversamente il discorso verterà unicamente sul mainstream.

Ci dai un pezzo da ascoltare quest’estate?

È fatica consigliare qualcosa che si elevi sopra alla media. C’è molta roba, ma sinceramente la hit per l’estate manca.