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Elasi

Elastica, Estatica, Elasi: l'icona del chic-pop-up-beat terapeutico

quartiere Chinatown

Scritto da Federica Amoruso il 1 ottobre 2021
Aggiornato il 7 ottobre 2021

Foto di Carolina Lòpez Bohòrquez

Oltre ad essere la nuova icona del pop caleidoscopico up-beat del momento, Elasi si è conquistata a pieno diritto la cittadinanza onoraria di Chinatown. L’autrice di Cocoricò, Valanghe, Esplodigodi mi racconta il suo quartiere e me ne parla da innamorata, mi sento come se Fatalina della Melevisione (iconic) mi raccontasse una favola del suo regno. Quando ci sentiamo, Elisa si è appena risvegliata dopo una notte semi insonne nella sua casa in Liguria. Nella sua voce leggo una sfumatura di dolce timidezza che non mi sarei aspettata, commista a una lignea e lucida professionalità.

«In Sarpi c’è una super scena creativa e artistica. A questo quartiere mi ci sono attaccata con affetto fin da subito. Poi, come sempre, ci si abitua e non ci si sposta più.»

 

Ciao Elisa, come stai? Dove sei?

Bene, non ho fatto follie ieri sera eppure ho dormito pochissimo, sarà stata la luna? Mi trovo nella casa al mare della mia famiglia. Sono alessandrina d’origine ma in realtà vivo a Milano davvero da tanto, mi ci sono trasferita per l’università. Ma ho vissuto un po’ fuori: l’Olanda, l’America poi Roma.

Sei super proud del tuo quartiere, ormai i sinogrammi delle insegne al neon e la palette di colori di queste vie sono entrate a far parte del tuo immaginario..

Si, ho davvero trovato il “mio” posto. C’è una super scena creativa e artistica qui. A questo quartiere mi ci sono attaccata con affetto fin da subito, poi come sempre ci si abitua e non ci si sposta più.

Ho due anime: quella festaiola e quella casalinga, ma non son mai da sola: mi chiamano l’”oste”, le porte di casa mia son sempre aperte e alla fine ho sempre casa piena.

Costanza e perfezionismo: ne abbiamo? Come è stato passare dalla passione al lavoro?

Sono abbastanza organizzata, ho le mie schedule mega precise, nonostante alcuni giorni non ci stia davvero dentro come tutti. Adesso ho la mia piccola squadra che mi supporta e ciò mi aiuta ad avere una programmazione costante. Anche se certi giorni fa tutto schifo e non riesci ad uscire dalla tua testa. Io sono anche dj e sound designer e il poter indagare i paesaggi sonori e giocare con i suoni è una grossa spinta propulsiva, comporre e fare ricerca per i set mi aiuta a spaziare.

 

Quando hai capito che suonare stava davvero diventando la tua professione?

Sai, l’ho sempre tenuto come piano B perchè non ho mai creduto abbastanza in me stessa. E quello di crederci è tutt’ora un lavoro in costante divenire che non smetto mai di fare. Tant’è vero che il mio percorso formativo è stato tutt’altro: ho studiato economia e poi sono diventata consulente finanziario. E nel frattempo ho sempre continuato a studiare musica, la studiavo fin da quando son minuscola, avevo 6 anni. Questa passione artistica esplosiva e questa tendenza alla creazione sono state sempre una costante in me, ma io come Elisa non pensavo di poter essere la protagonista di questa storia. Sognavo con moderazione. Continuavo a ripetermi che magari sto dietro le quinte, magari faccio la manager, magari lavoro in un’etichetta, magari organizzo la produzione. Magari. 

Finchè la vena artistica non è rimasta completamente scoperta e sono rientrata in contatto con quella me piccolina che già aveva quel modo unico di vestirsi e esprimersi e muoversi.

E le strade della vita, alla fine, mi hanno portata qui. 

Ho capito che era davvero un mestiere, il mio mestiere, quando ho firmato il mio primo contratto discografico due anni fa.

Chissà che emozione..

Molta emozione ma tantissima paura, in realtà. Sono cose belle perché ufficializzano agli occhi del mondo la tua qualifica di artista ma pesano come macigni. Quello che fa paura è assistere alla tua passione che si trasforma in un lavoro a tutti gli effetti, perché corre il rischio di diventare un lavoro come un altro. Pezzi di carta, persone, accordi, equilibri.

I tuoi pezzi trasudano una positività esplosiva. Ti immagino mentre ci osservi dal tuo universo parallelo fantasy, nei tuoi abiti dalla capricciosa vivacità. Cosa rappresenta per te questa spensieratezza?

Il pop per me non è nato come un lavoro, era un modo di darmi una pacca sulla spalla, per tirarmi su, essere l’amica di me stessa che mi diceva come uscirne: un momento terapeutico di rinascita, soprattutto per quanto riguarda i testi. Mi piace creare musica up beat, musica che fa ballare, perché per me è tutto connesso: così come il beat, anche i movimenti del corpo sono essi stessi suoni. Una componente fondamentale della mia ricerca artistica è arrivare a quel punto di fusione perfetta tra performance, musica, immagine e anche outfit.

 

Effettivamente hai anche un armadio pazzesco. Dove prendi questi pezzi?

Nel magico mondo dell’internet! Spesso si tratta di designer di nicchia oppure emergenti underground che sperimentano coi materiali, con le forme, col design. Ho frequenti scambi con alcuni designer visionari che mi mandano vestiti per i miei video e le mie performance. Uno dei designer del cuore con cui collaboro spesso è Amorphose, con base in Svizzera. Molto presto sarò a Zurigo alla sua prossima sfilata, sarò la sua sound designer vestita da cybermamacita. Giancarlo (il founder) fa cose pazzesche, piene di anima, vive. Anche nel video del mio ultimo pezzo, Cocoricò, indosso una sua creazione. In Cocoricò parlo di ecologia e di ambiente indossando un vestito bianco che è in realtà tutto fatto di sacchetti di plastica.

Ah, pensavo parlassi del Cocoricò di Riccione...

Era un gioco di parole, m’è venuto in mente solo a posteriori che potesse ricordarlo, mi è piaciuto e l’ho tenuto così. In realtà deriva da “corri corri corri”, è una parabola ecologica. Un’esortazione tradotta in musica, dovremmo darci una benedetta mossa rispetto al countdown del disastro ecologico verso cui stiamo andando a schiantarci.

 

 

 

 

Un’immaginario solare con un deciso spessore di contenuti..

Apparentemente è tutto avvolto in un involucro solare, se invece spezzetti musica e testi dentro ci trovi tanta rabbia, sofferenza, che sfogo nella musica. A me piace il funk, la disco. Insomma, un connubio dicotomico tra sonorità e tematiche.

Si è formato in modo naturale nel tempo questo stile? Qual è il tuo cocktail di ispirazioni?

Sono partita dalla musica classica appresa in conservatorio ma di nascosto suonavo in una band pop-punk. Poi ho scoperto la musica afro, la bossa (suonando la chitarra classica) quindi le sonorità del Sud America e infine la musica elettronica in America, dove ho imparato a produrre. Un bel cocktail di ispirazioni che mi hanno portata fin qui. Anche tornando al nostro discorso di usare testi tosti con musica leggera, ripenso a Virtual Insanity dei Jamiroquai: testi che parlano di tecnologia e inquinamento che ti balli alla grande.

Un pomeriggio in giro con Elasi nei posti del cuore di Chinatown?

Adoro prendermi da mangiare alla Ravioleria Sarpi, i posti intorni sono pazzeschi: spesso la gente in Sarpi va sempre negli stessi posti, siamo veramente abitudinari invece basta provare il locale a fianco per scoprire cibo ottimo. Una volta preso da mangiare, mi piace gustarmelo ai Giardini Lea Garofalo, ai limiti del quartiere e all’ombra della Fondazione Feltrinelli. La gente del quartiere ha portato qui sedie e tavoli ed è davvero come stare nel giardino di casa tua ma tutti assieme. E lì a fianco c’è il Circolo dei Combattenti col suo cortile magico.

Momento marzulliano: tu che sei la queen del dream pop, cosa sogni?

I sogni sono fondamentali: sogno spesso la musica. A volte mi ritrovo a sognare di essere ad una festa o un live e la soundtrack è tutto frutto della mia testa: quando riesco mi sveglio di notte per registrarla. Questo è il mio modo preferito di comporre musica: selvaggio, spontaneo, onirico. Ovviamente devi trovarti in quello stadio liminale di coscienza in cui ti rendi conto di essere a metà tra sogno e realtà. 

Oltre ai sogni musicati, adoro il surrealismo e sono fan del Codex Seraphinianus, un’enciclopedia illustrata di un mondo inventato. Amo disegnare e spesso creo le mie personalissime e libere creature utopiche. Ho ritrovato da poco dei quaderni d’infanzia con tutta la flotta di disegnetti dei miei mostriciattoli buoni, partoriti dalla mia fervida mente di bambina. Magari un adulto vedendoli avrebbe pensato “forse sta bambina ha bisogno d’aiuto”..in realtà no, anzi: magari ne farò un libro.