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Ettore Favini

Un'intervista sospesa tra viaggio e immobilità, o un intreccio tra il Mediterraneo e il cotechino

Scritto da Marco Scotti il 8 febbraio 2018

Luogo di residenza

Cremona

Attività

Artista

È un periodo particolarmente frenetico per Ettore Favini. Reduce da residenze e progetti intorno al Mediterraneo, tra la Costa Azzurra – al Port Tonic Art Center di Roquebrune-Sur Argens – e l’Atlante Marocchino – con atla(S)now a Oukaïmeden. Dopo aver messo in scena mostre dal MAN di Nuoro e all’Istituto di Cultura Italiana a Tirana passando per Villa Croce a Genova, ora è in procinto di approdare a Parma per il progetto Nouvelles Flâneries, dove la residenza sarà funzionale alla creazione di una nuova mappatura e nuovi percorsi nella città a partire da ricerche di archivio e workshop aperti al pubblico, attraverso collaborazioni con l’Università, il Comune e la Fondazione Cariparma. A Cremona, sua città natale, ha appena inaugurato la mostra collettiva Il paradigma di Kuhn, che riunisce su due sedi i lavori di 19 artisti, Marco Basta, Thomas Berra, Alessandro Biggio, Andrea Bocca, Pamela Diamante, Antonio Fiorentino, Mafalda Galessi, Corinna Gosmaro, Helena Hladilovà, Vincenzo Napolitano, Dario Pecoraro, Alessandro Polo, Gianni Politi, Agne Raceviciute, Stefano Serretta, Namsal Siedlecki, Luca Trevisani, Serena Vestrucci, Mauro Vignando. Noi di Zero l’abbiamo incontrato qui, e ovviamente siamo finiti a parlare del fiume Po e di cotechini.

Port Tonic, installation
Au Revoir, cotone, lana, dimensioni ambientali 2017, installation view at PTAC, Les Issambres (F)

Come prima cosa ti chiederei di raccontarci la mostra appena inaugurata, Il Paradigma di Kuhn, tra Siena e Cremona. Una mostra in cui non sei né artista né curatore.
La mostra nasce dall’esigenza di mostrare un panorama di artisti che in qualche modo rappresentano una trasformazione che credo stia avvenendo all’interno del mondo dell’arte. Per la maggior parte sono artisti molto giovani, delle ultimissime generazioni, oppure artisti leggermente defilati rispetto al tema che però conservano all’interno del loro lavoro un nucleo forte che riguarda la trasformazione, del pensiero oppure dei materiali come metafora del pensiero. Abbiamo cercato di lasciare la scena completamente a loro: in tutti i comunicati stampa io figuro solo come organizzatore del progetto, mai come curatore. Anche perché per formazione non lo sono, poi ho cercato di dare attenzione a ogni lavoro di ogni singolo artista, sempre cercando di fare in modo che raccontasse qualcosa. Le scelte sono state fatte in base alla sensibilità degli artisti, anche quando alcuni lavori erano magari lontani dal mio gusto personale: su questo non mi sono mai basato lavorando a questa mostra, e credo che sia una cosa importante.

Il paradigma di Kuhn

Il paradigma di Kuhn, 2018, installation view at Studio O2, Cremona

Come mai avete scelto di articolarla su due sedi, StudioO2 a Cremona e la Galleria FuoriCampo a Siena?
C’è un rapporto di stima ed amicizia con Esther Biancotti e Jacopo Figura della galleria FuoriCampo, che conosco da lungo tempo e con cui avevo già collaborato per una mostra nel 2013 realizzata all’interno di case private, RSVP. L’idea quindi per Il paradigma di Kuhn è stata quella di fare un progetto bipartito, che unisse due piccole città ripartendo non dal centro ma dalla provincia per focalizzare poi l’attenzione sugli artisti. E il pubblico infatti ha risposto benissimo in entrambe le sedi, pur essendo città relativamente piccole.

Il paradigma di Kuhn

Il paradigma di Kuhn, 2018, installation view at Studio O2, Cremona

L’altro progetto su cui stai attualmente lavorando è Nouvelles Flâneries.
La residenza che farò a Parma è nata da una richiesta specifica della curatrice Valentina Rossi, per poter pensare un nuovo percorso culturale all’interno della città. Il progetto poi sarà realizzato quando sarò effettivamente a Parma, tra poche settimane: l’idea è quella di far attraversare e scoprire lo spazio urbano alle persone attraverso nuovi itinerari, secondo il principio della flânerie. L’interesse è quello di cercare storie e arrivare a una sorta di racconto.

Concretamente cosa farai quindi durante questa residenza, e che ruolo avrai?
Rimarrò a Parma quasi due settimane, durante le quali camminerò molto, farò una serie di ricerche all’interno degli archivi e dell’Università per trovare materiale utile a creare questa mia storia, e quindi terrò un workshop in marzo – aperto agli studenti e non solo – in cui voglio far fare ai partecipanti dei percorsi personali nella città. Farò installare a tutti una app sullo smartphone che registrerà i loro spostamenti e alla fine avremo un percorso per ogni partecipante: l’idea è quella di farli perdere, di focalizzare poi i punti storici e di interesse. Sovrapponendoli avremo tanti percorsi possibili.

Nouvelle Flanerie
Alla ricerca di un personaggio, immagine digitale, 2018

Un altro progetto che possiamo definire ancora in progress e che vorrei ci raccontassi è Arrivederci.
Arrivederci è nato da un incontro con Lorenzo Giusti: c’era la possibilità di fare una mia personale all’interno della project room del museo MAN di Nuoro, e lui aveva l’esigenza che io partissi da qualcosa di legato al territorio. Io stavo già lavorando sull’idea di tessitura intesa come metafora della vita, trama e ordito all’interno del quale si incrociano storie, per questo ho deciso di realizzare lì una sorta di ritratto corale della Sardegna attraverso le storie raccontate sui tappeti e sui tessuti. A prescindere anche dalla metafora, il tessuto è per sua natura portatore di storie, quando è indossato, quando va a comporre le federe dei cuscini su cui noi dormiamo ogni giorno… L’idea di raccogliere queste storie mi piaceva, e alla fine è stata realizzata anche una grande vela a Genova che rappresentava la Sardegna, la voglia di viaggiare e l’immobilità. Questo ha portato all’idea di ragionare sul bacino del Mediterraneo, storicamente un luogo di scambio, di ibridazione di linguaggi e di cultura, e quindi di percorrere tutti i paesi che si affacciano su questo mare per creare alla fine un linguaggio comune ibrido, fatto di simboli.

Arrivederci
Genova, lana, lino, cotone, seta, rame, paillettes, 2016
dx: Arazzo (Rosa sardo), lana, lino, cotone, pigmenti naturali, Portland, ossido di zinco, silicato di sodio, 2016
installation view at MAN Museum, Nuoro (I)

La tua città invece è Cremona. Che rapporto hai con il luogo dove vivi?
La scelta di vivere qui è nata da un’esigenza comune, mia e di mia moglie: ci siamo conosciuti quando abitavamo e lavoravamo entrambi a Milano, ma a un certo punto siamo voluti rientrare in provincia, per una qualità della vita più alta, per la tranquillità di una città piccola. Però siamo rimasti molto vicini a Milano, io stesso sono spesso lì per lavoro, mi muovo tanto e velocemente e alla fine rimango in città solo il fine settimana. Cremona, anche se “addormentata”, è una città molto accogliente, che mi piace come base. Ed è molto vicino al Po!

La tua Milano invece oggi qual è?
Milano è una città che mi è molto cara, i miei colleghi sono spesso anche amici a cui tengo particolarmente, quindi la frequento sempre volentieri. Da un punto di vista culturale i luoghi in cui vado sono tanti: come preferiti scelgo l’HangarBicocca, dove torno molto spesso, la Triennale e diverse gallerie. Se devo sceglierne una, vado di frequente da Paolo Zani, Galleria Zero…, mentre tra gli spazi no-profit sicuramente Mega e Current.

Per mangiare e bere tra Cremona e Milano, quali sono i tuoi riferimenti?
A Milano vado a bere al Bar Basso, per salutare Maurizio e perché è un grande classico, e al Pravda, perché sono un patito della vodka, e inoltre ho una profonda stima per il lavoro di Frog che avevo coinvolto anche qualche anno fa in una performance da Marsèlleria. Per mangiare invece vado a Cremona, da La Malintesa negozio agricolo con ristoro, per i cotechini del mio amico Renato. Non sono mai stato un amante del cotechino, è vero che del maiale non si butta via niente, ma mi appassiono di più di altre sue parti. Il cotechino, per me è più un’idea, una suggestione. Mi riporta all’idea della bassa, della nebbia e del suo freddo appiccicoso, dove solo una tazza di brodo e una ruota di cotechino possono scaldarti il cuore.

Tirana
Mirupafshim, cotone tinto, 400 x 700 cm, 2017, installation view at IIC Tirana