Ad could not be loaded.

Fabrizio Arcuri

Intervista con il direttore artistico di Short Theatre, in occasione del decennale della rassegna

Scritto da Nicola Gerundino il 28 agosto 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

A Roma i teatri sono una specie in via d’estinzione e se si considerano quelli che promuovono la novità e la ricerca, parliamo di pochissimi esemplari che ancora sopravvivono. All’interno di questo ecosistema allo sbando, c’è una rassegna che, in contro tendenza, raggiunge quest’anno il suo decimo anno di età, facendo registrare sempre un’affluenza più che ragguardevole. Per l’occasione, abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con il suo direttore artistico, partendo dalla sua genesi fino a parlare dell’edizione 2015 e dei possibili spiragli per il teatro capitolino.

Zero: Iniziamo dalle presentazioni

Fabrizio Arcuri: Mi chiamo Fabrizio Arcuri e sono nato nel dicembre del 1968.

Ti ricordi quando e come hai iniziato ad appassionarti al teatro: c’è stato uno spettacolo, un regista o una compagnia che ti ha avvicinato a questo mondo?

Andavo a teatro da piccolo, mi ci portavano i miei genitori. Il primo spettacolo che ho visto, avrò avuto 4 o 5 anni, è stato Aggiungi un posto a tavola con Johnny Dorelli. Ma la passione è scattata verso i 14 anni vedendo gli spettacoli di Memè Perlini, dei Magazzini Criminali e della Socìetas Raffaello Sanzio.

magazzini-criminali-crollo-nervoso
Magazzini criminali -Crollo nervoso

Ti ricordi la tua prima regia in assoluto e come andò?

Avevo 17 anni e si chiamava Flux Reflux Deflux, una sorta di Medea rivisitata e non so come andò… Però fu sufficiente per creare un gruppo e far venire la voglia a un po’ di persone di iniziare un percorso teatrale/performativo insieme. Così nacque Accademia degli artefatti.

Il tuo primo spettacolo che ebbe una certa eco, invece?

Fu un Beckett nel 1994. Uscirono le prime recensioni e i teatri si cominciarono a interessare a noi.

Così come per Accademia degli artefatti, sei legato a doppia mandata anche a Short Theatre: puoi raccontarci come e perché è nata questa rassegna?

Short Theatre è nato da un mio desiderio di creare uno spazio di confronto per un tipo di creazione alternativa e per spettacoli di formati diversi (brevi o molto lunghi) e dalla necessità di un’attenzione verso la nuova drammaturgia, ossia il teatro scritto per una forma teatrale contemporanea. Quello che oggi definiremmo post-drammatico e di cui in Italia non si sapeva nulla. Così, con Roberta Scaglione abbiamo costruito un progetto e siamo andati a conoscere l’allora direttore artistico del Teatro di Roma, Giorgio Albertazzi, che lo accettò subito e lo produsse.

Della prima edizione cosa ricordi?

Il ricordo più potente e positivo, credo, sia l’affluenza di pubblico e non solo agli spettacoli, ma anche agli incontri. Mi ricordo che quell’anno avevamo invitato Rodrigo Garcia, Martin Crimp e Juan Mayorga. Durante lo spettacolo dei Motus, verso mezzanotte della prima serata, continuava a scattare la luce. Hanno ricominciato tre volte, ma fu una serata fantastica. Tutt’oggi ci chiediamo se si troverà il modo di fare la prossima edizione.

martin-crimp
Martin Crimp

E di questa, che sarà la decima, cosa si può dire?

Questa edizione è un po’ una summa. Abbiamo deciso di far tornare una serie di formazioni che sono state negli anni con noi e che hanno contribuito a costruire la fortuna del festival – persone a cui siamo legate non solo professionalmente, come Virgilio Sieni, Motus, Masque, Tetaro sotterraneo, Roberto Castello – insieme a quello che è un po’ il senso di Short Theatre: nuove formazioni italiane e straniere che ci indicano lo stato della creazione contemporanea. Il tema ha a che fare con il periodo storico in cui viviamo, anni in cui la parola “futuro” sembra programmaticamente cancellata da ogni discorso: siamo continuamente spinti a guardare al passato e ad affrontare il presente e per noi che siamo di una generazione in cui l’idea di futuro e di prospettiva era il motore di tutto quello che facevamo, tutto ciò ci fa piombare in uno strano stato di nostalgia verso qualcosa che non c’è, se non nell’ipotesi. Ipotesi, però, fondamento e benzina per ogni attività.

Tra i tanti in programma, ci sono alcuni spettacoli che consigli particolarmente?

Farei un torto se ne scegliessi solo alcuni. In realtà, come sempre, ci sono diversi percorsi e performance per ogni palato.

Parlando delle location – il Teatro India e La Pelanda – possiamo dire che si sia stabilita una certa continuità: è perché sono particolarmente congeniali alla formula Short Theatre? Mai pensato di spostare tutto altrove?

La cosa fondamentale per Short Theatre è che si svolga in un luogo che abbia la possibilità di essere vissuto a tutte le ore della giornata e che presenti sale teatrali e spazi all’aperto per l’intrattenimento e i momenti più ricreativi o ludici. Certamente, in entrambi i casi, siamo in spazi importanti per la città e in zone di archeologia contemporanea. Spazi anonimi in grado di essere abitati da diverse identità. Prerogativa direi fondamentale per la creazione contemporanea.

Nel nostro articolo abbiamo scritto che, in Italia e a Roma, un qualsiasi festival (anche di musica o di cinema) difficilmente arriva ai 10 anni di vita. Avresti immaginato che ci sarebbe arrivato Short Theatre, un festival di teatro? Che significato ha per te questa longevità?

Il significato di questa longevità ha due motivi fondamentali: 1) il pubblico sempre numeroso che ci frequenta e che ci motiva; 2) la nostra caparbietà.

Ci sono festival che per te sono stati – o sono tuttora – un riferimento, sia in assoluto, sia come fonte d’ispirazione per Short Theatre?

Ce ne sono molti, ma in realtà Short Theatre fa tesoro del territorio, cioè cerca in qualche modo di sopperire a quelle che sono le domande inevase del pubblico romano. Da sempre Short Theatre ha una identità e quindi un campo d’indagine. Un tema sociale su cui riflettere, non solo con i contenuti degli spettacoli, ma anche con gli incontri e con le attività extra; e poi cerca di rispondere alle carenze del territorio costruendo, lentamente e con grande cura, una comunità.

Allargando la prospettiva alla città: qual’è il tuo rapporto con Roma? Pochi mesi fa è andato in scena al Teatro Argentina un tuo spettacolo-fiume, Ritratto di una Capitale: sembrava che tu e Roma aveste parecchio da dirvi…

Ritratto di una Capitale è un progetto del direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi, che ho condiviso volentieri. Abbiamo scelto 24 autori – tra drammaturghi, narratori, poeti e scrittori – e gli abbiamo chiesto di scrivere un pezzo di venti minuti che parlasse di un quartiere e di un’ora della Roma di oggi. Credo ne sia venuto fuori un mosaico interessante e poliedrico di che cosa è Roma oggi, in tutte le sue contraddizioni e le sue difficoltà.

ritratto-di-una-capitale-roma-teatro-india
Ritratto di una Capitale – episodio “Orfanelli” di Eraldo Affinati, con Claudio Angelini e Simon Makonnen

Roma è ancora terreno fertile per la cultura e per il teatro?

Roma non è un terreno fertile. In questi anni è diventata un campo arido e secco, bisognerebbe fare come fanno i contadini.

Quali sono i teatri di Roma che frequenti solitamente?

Li frequento un po’ tutti… Purtroppo adesso è facile visto che ne sono rimasti davvero pochi.

Le compagnie di Roma che preferisci e quelle emergenti su cui scommetteresti?

Faccio parte della commissione zonale di Scenario, che è un ottima palestra per conoscere nuove realtà del territorio ma anche del paese e per fortuna ogni due/tre anni c’è sempre qualcosa su cui scommettere.

Se dovessi associare la tua idea di teatro a un luogo di Roma, quale sceglieresti?

Sceglierei il Teatro India. Martone e Borgna fecero davvero una cosa importante.

roma-short-theatre-teatro-india
Il Teatro India

Un angolo della città, un bar e un ristorante dove ti piace passare il tempo quando non lavori?

A casa. Lavoro spesso fuori e quando posso stare a casa è sempre un bel momento.

Una libreria dove ti capita di andare spesso per prendere testi teatrali (e non)?

Li ordino on line perché le librerie non sono fornite. La libreria Fahrenheit 451 a Campo de’ Fiori rimane comunque un posto dove si trovano cose interessanti. Ma se stai cercando qualcosa in particolare Amazon è ormai l’unica risorsa.

Un luogo di Roma dove ti piacerebbe mettere in scena uno spettacolo?

Lo spazio è una conseguenza dello spettacolo, per me, non un punto di partenza. Quindi la fantasia sugli spazi adeguati è sempre dipendente dallo spettacolo. In assoluto non saprei, mi verrebbe da dire ovunque…