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Felice e Carmen

50 anni del Bar Picchio raccontati da chi sta sempre dietro al bancone

quartiere Porta-Venezia

Scritto da Martina Di Iorio il 25 novembre 2019
Aggiornato il 14 giugno 2021

Foto di Marta Blue

Felice e Carmen prima ci chiedono cosa vogliamo da bere, poi ci salutano. Al Bar Picchio funziona così, da oltre 50 anni. Prendiamo due spritz Campari, abbondanti, colmi di liquido rosso che straborda e ci sporca le mani e il cappotto già bagnato perché tanto fuori piove. Felice e Carmen ci rassicurano, tra poco arrivano pizzette, pasta al forno e il famoso polpettone vegetariano: la ricetta è segreta, non ce la dicono, inutile che insistiamo.

Felice e Carmen, sempre dietro al bancone, sono i figli di Paolo e Caterina. Lei la troviamo alla cassa, batte scontrini e dà le sigarette al popolo del Picchio, Paolo ancora spesso al bancone, nonostante l’età che avanza. Sono la famiglia che trovate dietro la storica insegna luminosa di via Melzo, in Porta Venezia. Il quartiere cambia, si infighetta, arrivano i fashionisti, le ragazze di Miss Keta, arrivano i prezzi furibondi dei real estater e il Picchio in tutto ciò sta a guardare. Calmo, pacifico, con le birrette e i negroni a 3,50 €. Fedele a se stesso, resiste agli urti degli anni perché ha un fisico bestiale. Ce l’ha dimostrato.

Abbiamo deciso di intervistarli, di omaggiare questo baluardo di milanesità ed espressione verace, per questo reale e umana, dell’aperitivo in città. In attesa della loro festa il 12 dicembre, vi raccontiamo qualcosa di più sul bar di tutti noi.

 

50 anni sono un traguardo notevole per un locale. Come si sente a questa età il Picchio?

Direi come il primo giorno. Se è pur vero che sono passati 50 anni, non ce la sentiamo di parlare di traguardo. Quello non è determinato dalla conta degli anni, ma dalla consapevolezza adogni fine giornata di aver fatto del nostro meglio. Questo è il nostro vero traguardo.

Ma partiamo dall'inizio. Come nasce il Picchio?

Il Picchio nasce dalla determinazione e dall’amore per questo lavoro dei miei genitori, Caterina e Paolo. In quegli anni lavoravano entrambi nel bar di un nostro parente. Hanno sempre vissuto in questo mondo. Dopo varie ricerche trovarono il Bar Picchio. E non l’hanno più lasciato.

Ci potete descrivere il Picchio e la sua atmosfera per ogni decade trascorsa?

L’atmosfera viene sempre creata da una sinergia di elementi, quindi non mi sento di dare un aggettivo per ogni decade. Amicizia, unione, fratellanza, aggregazione, globalizzazione. Tutto questo conduce ad un’unica atmosfera che si respira da sempre al Picchio e ne sottolinea la sua vera essenza: accoglienza e cordialità.

Che clientela avevate all'epoca e che clientela avete oggi?

Da sempre il Picchio ha una matrice che si fonde con una clientela eterogenea, credo che questo si possa definire il denominatore comune di questo posto negli anni. Famiglie, studenti, operai tutti trovano da noi un momento di pausa senza pensieri.

Cosa si beveva? E come è cambiato il rito dell'aperitivo?

Sicuramente il rito dell’happy hour non esisteva ma si viveva in maniera altrettanto importante questo momento, come mezzo di incontro per amici e famiglie. Chi non ricorda la classica acqua e menta, il chinotto, la spuma, la gassosa e la limonata. Negli anni 60 erano molto in voga, oggi invece ci sono più cocktail, credo che questa sia l’unica differenza. Era molto interessante vedere però come all’epoca i momenti fossero diversamente scanditi: la domenica c’era il rito dell’aperitivo dopo la messa. E dopo le partite a San Siro.

Quali erano i bar di quell'epoca?

Siamo cresciuti con il Savini, Camparino, Cova finché alla fine degli anni 60 il Bar Basso introdusse l’aperitivo al grande pubblico, fino ad allora prerogativa di una sola cerchia di persone.

Milano e Porta Venezia in quegli anni, sicuramente molto diverse da oggi. Ce le descrivete?

Di sicuro dal punto di vista urbanistico Milano e dunque Porta Venezia sono mutate in maniera esponenziale rispetto al lasso di tempo di cui stiamo parlando. Parlerei di maturità anche per le persone che la vivono. Sicuramente Porta Venezia oggi può considerarsi come una fotografia vivente dei nostri tempi, con i suoi limiti ma anche con le sue infinite possibilità.

Come si fa a sopravvivere negli anni?

Non c’è un segreto o un metodo. Posso dirvi che abbiamo avuto la lungimiranza, la voglia e la capacità di adeguarci al cambiamento, senza però snaturare il Bar Picchio. Solo questo.

Perché piace il Bar Picchio anche ai giovanissimi, oggi?

Credo che sia la semplicità di fare un aperitivo senza pensarci troppo.

Come nasce l'idea delle fototessere che collezionate dietro il bancone?

L’idea nasce banalmente per rendere reale quello che di solito avviene sui social. Ogni fototessera è l’immagine di una persona che, essendo stata nel nostro locale, ha voglia di testimoniare la sua presenza e mettersi in collegamento con gli altri. Inoltre non ci sono mai brutte sorprese…  i profili sono tutti veri!

Sono nate anche delle storie al Bar Picchio. Funziona così: ci lasciate le vostra fototessera e un numero di telefono o una mail, noi la mettiamo in bacheca. Se qualcuno la nota e vi vuole conoscere, noi vi matchiamo. Alcuni ancora ci ringraziano, sono nati dei bambini e delle splendide famiglie.

In 50 anni sono passati tanti clienti. Quali vi sono rimasti nel cuore?

È vero in 50 anni sono passati tanti clienti, tanta gente normale e tanti volti noti. Nel cuore resta chiunque ti sorrida prima di andar via.

Uno straniero entrando per la prima volta al Picchio cosa si deve aspettare?

Essere trattato come uno di famiglia, un drink al bar e buon cibo.

Sappiamo che gli altri bar e locali della zona si lamentano della folla che radunate ogni sera. Volete dirgli qualcosa?

Personalmente non amo le polemiche, sono per un dialogo costruttivo. Non posso però considerare la folla un elemento di disturbo per gli altri bar e locali, in quanto questo è contrario a ogni legge di mercato.
La folla rappresenta una vetrina di persone che non essendo statiche ma dinamiche diventano bacino economico per tutti. Quindi l’unica cosa che mi sento di dire è: buon lavoro a tutti.

Se il Picchio fosse un cocktail quale sarebbe? Perché?

Mi piace pensare al mojito perché è un classico che racchiude un sapore fresco ed intramontabile. Ma mi ispira anche il ChuPicchio, il nostro chupito. Dentro ci metti quello che vuoi per brindare insieme a noi.

Cosa succederà per i 50 anni? Ci date una preview della festa?

Lo dico con la mia parola preferita: sorpresa.

Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2019-12-01