Che cosa è un festival? Che cosa è un museo? Che cosa è un club? Sebbene queste “istituzioni” – o forse sarebbe meglio dire, questi canoni sensoriali, sociali ed estetici – si parlino da tempo e abbiano molteplici punti di contatto, anche grazie a quel diluitore universale che è la rete, raramente sono oggetto di riflessione, soprattutto di riflessione reciproca: gli uni con le lenti degli altri.
Un’occasione per portare avanti questa indagine – teorica sì, ma senza dimenticare la pratica – sarà la terza edizione de IL PIANETA XL, collaborazione tra il museo MACRO di Roma e il festival Terraforma di Milano. Quest’anno sarà proprio il club il centro gravitazionale dell’intero progetto, con la dimensione musicale e corporale del ballo indiscutibile protagonista.
Quest’ultimo aspetto sarà completamente affidato a una delle etichette più interessanti e di ricerca del panorama mondiale: la berlinese PAN di Bill Kouligas, che proprio nel 2023 festeggerà i 15 anni. Bill sarà in prima linea con uno dei suoi classici dj set, ma attenzione anche agli altri invitati alla festa: Heith, aka Daniele Guerrini, che presenterà dal vivo il suo nuovo e bellissimo album “X” assieme a Jacopo Battaglia e Leonardo Rubboli; HONOUR, che proporrà brani dal suo debutto “BEG 4 MERCY”; dalla Francia i ritmi queer-afro-caraibici di Low Jack x Le Diouck e i bassi spediti di Crystalmess. Apertura della serata in terrazza con il billboard di Katja Novitskova “Pattern of Activation (VIBE SHIFT)”, un lavoro che indaga l’artificialità algoritmica, frutto dell’indagine dell’artista sulle relazioni tra corpo e tecnologia. Ne abbiamo parlato in questa intervista con Luca Lo Pinto (direttore artistico del MACRO) e Ruggero Pietromarchi (co-fondatore e direttore artistico di Threes Productions e curatore e project manager di Terraforma).
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Cosa rappresenta il club? Perché si trova al centro di questo progetto comune?
Ruggero Pietromarchi: Faccio una premessa. IL PIANETA XL è una progettualità, un’estensione di Terraforma nata durante la pandemia, nel 2020, con l’idea di sviluppare un format che, partendo dal linguaggio del festival – quindi, nello specifico, musica e temi ecologici – potesse ibridare altri contesti oltre Villa Arconati, sede storica di Terraforma. Di recente IL PIANETA XL è stato ospitato a Parigi, mentre al MACRO quella di sabato sarà già la terza edizione. L’obiettivo che ci ha portato ad attivare questa collaborazione è stato – ed è tutt’ora – quello di ribaltare gli spazi museali, di alterarne la percezione attraverso i nostri contenuti. Nella prima edizione del 2021 lo abbiamo fatto attraverso le “Vexations” di Erik Satie e una maratona pianistica in cui abbiamo invitato la gente addirittura a vivere il Museo nell’arco di ventiquattro ore. In questa edizione l’idea è stata di rovesciare gli spazi trasformandoli in quelli di un club.
Luca Lo Pinto: La club culture, in particolare l’immaginario della cultura rave, è diventata un fenomeno di tendenza nel mondo dell’arte e della moda, oggetto di molteplici libri, magazine, opere e mostre. Personalmente noto della problematicità quando la dimensione politica si svuota a favore di un’appropriazione superficiale di segni e costumi. In ogni caso, la trasversalità dei linguaggi e dei pubblici è una specificità tanto del MACRO quanto di Terraforma. Quest’anno il focus sarà su un’etichetta che a sua volta ben rappresenta questo approccio espanso. PAN, infatti, porta avanti l’eredità delle label nate a metà degli anni Novanta (come Mego, Mille Plateaux, Raster-Noton, Kompakt) proiettandosi nel futuro con lo spirito del presente.
Come avete provato a costruire la dimensione club all'interno del Museo, come vi state preparando a questo scambio?
LLP: L’idea non è tanto di portare il club in un museo quanto di stimolare il pubblico a ragionare sulle dinamiche che si attivano da uno spostamento di contesto, con uno sguardo insieme analitico ed empatico.
RP: Abbiamo cercato di farlo a modo nostro e il nostro punto di partenza è sempre il tentativo di dare spazio ad artisti che fanno parte della scena elettronica o d’avanguardia, sperimentando. Quando con Luca abbiamo ragionato sul modo in cui trasformare il MACRO in un club mi è venuta in mente subito la PAN, perché è un’etichetta di riferimento e perché, secondo me, rappresenta un punto di incontro ideale tra sperimentazione sonora e derivazioni club. In generale poi, è un’etichetta i cui artisti si muovono anche in altri ambiti quali arte contemporanea, ecologia, socialità. Il nostro approccio è esattamente questo: portare avanti un discorso che ha al centro il suono, ma che poi tocca tanti altri contesti, come architettura, arti visive/performative etc.
Come avete lavorato sugli spazi del MACRO? In che modo li avete "reinterpretati" e decodificati?
RP: Cerchiamo sempre di creare percorsi ed esperienze immersive, all’interno delle quali il pubblico possa scoprire e un po’ perdersi, piuttosto che proporre una visione “frontale” delle performance. Il concerto “frontalone” o la dimensione clubbing più classica, per intenderci. Al MACRO partiremo dalla terrazza con un lavoro site-specific commissionato a Katja Novitskova. Poi ci si sposterà all’interno degli spazi del Museo, a cominciare dal tetto dell’Auditorium, per una chiacchierata tra Bill Kouligas, il fondatore della PAN, e Federico Sargentone, editor in chief del Terraforma Journal. Un confronto che ripercorrerà i quindici anni della label e presenterà la nuova edizione del giornale appena uscito. Poi andremo al piano di sotto con la presentazione dell’ultimo album di Daniele Guerrini, aka Heith, in collaborazione con due musicisti. Heit è uno dei pochi artisti italiani usciti su PAN, per altro di recente, quindi ci sembrava molto interessante portarlo per la prima volta a Roma. Subito dopo ospiteremo uno dei progetti più misteriosi usciti per l’etichetta: HONOUR, artista di base a Londra che presenterà sotto forma installativa “BEG 4 MERCY” un disco uscito di recente. Non so bene neanche io cosa aspettarmi da lui, so solo che sarà uno show A/V e che l’idea di base è quella di una performance che andrà avanti dalle 21:00/22:00 fino alle 04:00. Successivamente, porteremo nel foyer un sound system molto particolare che si chiama Prince Healer e viene da Bergamo – siamo sempre molto attenti al suono e alle modalità d’ascolto del pubblico. Su questo sound suoneranno Bill, Low Jack x Le Diouck e Crystallmess, che all’ultimo Terraforma ha fatto il panico! Insomma, vari contributi che possano dialogare e allo stesso tempo ribaltare lo spazio museale.
Una domanda sul pubblico, visto che potenzialmente se ne mescoleranno tre differenti: quello di un festival, di un museo e di un club. Come immaginate possano interagire?
RP: Questo aspetto rientra nella dimensione sperimentale del progetto. L’obbiettivo per me non deve essere mai quello di sedersi sugli allori, continuando a riferirsi a un target ben definito, ma cercare di provocare un corto circuito mettendo insieme pubblici diversi. È una sfida che non sempre viene vinta, ma è comunque assolutamente doverosa. Terraforma nasce dieci anni fa proprio da una dialettica simile: portare un festival con campeggio a Milano, con un certo tipo di contesto e musica. Qui si tratta di portare artisti che solitamente si trovano al Panorama Bar in un museo di Roma. Siamo consci che è una bella sfida e anche un rischio, visto che un museo ha tutta una serie di limitazioni, perché non è uno spazio adibito per il pubblico spettacolo: non ci può essere fumo, i volumi non devono superare certi livelli, ci devono essere sempre le luci di emergenza. Però secondo noi è fondamentale caricarsi sulle spalle tutte le sfide possibili in termini di sperimentazione.
LLP: Negli ultimi anni credo siano radicalmente cambiati i riti e i codici del museo e del club. L’underground è diventato overground rendendo i confini sempre più labili. La programmazione musicale e di performance live di istituzioni culturali del contemporaneo sono pari a quelle di un club. È cambiata anche la fruizione che oggi abbiamo della musica. C’è una dispersione che ha prodotto una frammentazione di comunità che ad esempio 20/30 anni fa si raccoglievano nei centri sociali o nei club sperimentali. Allo stesso tempo, il modello del museo è cambiato e la dimensione espositiva è solo un elemento di un puzzle più ampio. In un certo senso i musei oggi sono dei festival permanenti e, soprattutto, i luoghi che più organicamente sono in grado di accogliere input ed esperienze da altri mondi (musica, cinema, teatro, danza). Le conseguenze di tali sconfinamenti sono positive, ma spesso anche contraddittorie. La vera sfida è riuscire a creare un’interazione autentica sia a livello di contenuti che di pubblico. IL PIANETA XL ambisce a creare una comunità effimera popolata da una generazione che è a cresciuta a metà tra questi momenti.
Una domanda per Ruggero. Visto che IL PIANETA XL al MACRO è arrivato alla terza edizione, ti chiediamo se questa esperienza prolungata con un museo ha cambiato in qualche modo Terraforma.
RP: Onestamente, non tanto. La conseguenza più pratica è che abbiamo tanti progetti su cui mettere la testa: è più una questione di risorse umane e di economie di tempo quindi. Diverso è il discorso se parliamo di Threes, che sta emergendo sempre di più come un’impresa culturale che ormai non organizza solo Terraforma, ma porta avanti una serie di progettualità e diverse altre produzioni collettivo-curatoriali. Questo forse è l’aspetto più interessante: non abbiamo più a che fare “solo” con l’organizzazione di un festival, ma con un’impresa che porta avanti un certo tipo di discorso culturale in Italia.
Una domanda per Luca. Il MACRO in questi anni ha dedicato una delle sue rubriche alla musica, trasformando uno dei suoi spazi in una sala d'ascolto, quasi come se fosse un club per una persona sola. Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza? Oltretutto la PAN sarebbe potuta tranquillamente essere tra le protagoniste di #Musica da Camera.
LLP: Nella mia storia personale la musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale e negli anni ho collaborato sempre di più con musicisti nella realizzazione di mostre. Quando ho ragionato su possibili rubriche in cui articolare la programmazione del Museo, quella della musica è stata la prima. Dare la possibilità a un pubblico trasversale (come quello che frequenta un museo) di ascoltare musica sperimentale in una condizione qualitativa assolutamente unica, ha un valore quasi politico. Inoltre, nella programmazione cerchiamo sempre di associare periodi e mondi diversi, da etichette come Mego, Sublime Frequencies, Presto?! a musicisti storicizzati come Franca Sacchi, Egisto Macchi, Pauline Oliveros, o del presente, come Fatima Al Qadiri.
Ruggero, ti è mai capitato di provare a leggere Roma attraverso la lente di Terraforma e, viceversa, tu Luca hai provato a leggere Milano attraverso la lente del MACRO?
RP: Certo. Questo è assolutamente uno degli obbiettivi alla base della collaborazione con il MACRO. Capire, stimolare, immaginare progettualità che possano sempre più atterrare su Roma. Non è di dominio pubblico, ma questo sabato, prima dell’inizio ufficiale de IL PIANETA XL, ci sarà un workshop nell’ambito del progetto europeo “ReseT”, che ci vede partecipare come Terraforma: è una piattaforma nata proprio per creare delle tavole rotonde, momenti di confronto e discussione con attori locali su tematiche a noi vicine. Abbiamo fatto una piccola chiamata a raccolta delle organizzazioni che lavorano sul clubbing – ad esempio ci sarà Miniera – per avere un momento di confronto e discussione. Non solo “pour parler”, ma anche per carpire informazioni e sviluppare progetti sempre più radicati e sensati per il territorio. La dimensione territoriale per noi rimane fondamentale.
LLL: Se dovessi leggere il museo attraverso questo binomio direi che nella sua identità combina il rigore e il design tipicamente milanese all’improvvisazione e all’indisciplinarietà romana. Per il futuro il mio desiderio è di riuscire a tenere il museo aperto di notte per un mese intero. Vedere le mostre di notte cambia la percezione quanto lasciare il centro di Parigi in treno e ritrovarsi a Londra dopo aver attraversato un tunnel.