Per la quinta estate si rinnova Case Sparse, un progetto ideato da Monica Carrera e Francesca Damiano nel pieno della Valle Camonica, in una casa cinquescentesca in mezzo al bosco. Chiuso un ciclo di quattro anni dedicato al paesaggio e agli spazi esterni, questa quinta edizione si concentra sulla casa: Ripartiamo dal privato coinvolge, oltre a Francesca e Monica, Fatima Bianchi, Elisabetta Falanga, Giuseppe Fanizza, Marta Ferretti, Luisa Littarru, Francesca Longhini, Saul Marcadent, Gaia Martino, Giulia Restifo, Stefano Serretta e Rossella Farinotti come curatrice della mostra finale. Con quali mezzi ed energie si mette in piedi un progetto del genere? Chi sono le persone che lo fanno? Qui un ritratto di queste due artiste che non abusano della retorica partecipativa, che non smettono mai di girare come trottole impazzite e a cui interessa fare e scambiare arte, senza orpelli.
ZERO: Monica e Francesca, raccontateci chi siete e come è nato il vostro sodalizio
Monica Carrera: sono un’artista che ha deciso di mettersi in gioco (con Francesca e con gli artisti e curatori che di volta in volta invitiamo) in un progetto come Case Sparse, ma amo condurre la mia ricerca anche in proprio.
In particolare mi interessa molto esplorare il rapporto tra la dimensione privata dell’individuo e quella pubblica, legata soprattutto all’interazione e alla relazione. Non da ultimo mi intriga indagare il ruolo della regola, della norma, in una parola del potere, sulla vita quotidiana e sulle relazioni con persone e spazi. Tra le altre cose, insegno educazione artistica alle scuole medie, ed è un’attività curiosa, poiché mi offre un punto di vista privilegiato sul presente e sul futuro. Con Francesca ci siamo incontrate all’Accademia di Belle Arti NABA quando ha avuto una breve parentesi a Brescia e lì abbiamo iniziato a lavorare anche insieme, in un collettivo che esplorava lo spazio pubblico e le dinamiche ad esso sottese. Dopo una parentesi di silenzio, seguita alla fine di questa esperienza, abbiamo ideato Case Sparse, che in realtà, non è altro che l’unione delle nostre tesi di laurea, da cui sono partite poi le relative ricerche. A grandi linee, diciamo che nella costruzione di Case Sparse hanno influito molto sia la scultura sociale di Beuys, che l’estetica relazionale di Bourriaud.
Francesca Damiano: La mia ricerca personale come artista predilige la fotografia e l’istallazione, che utilizzo a seconda dell’approccio che scelgo. Ondeggio dalle cose e dalle persone a volte rimanendo più vicino e a volte più lontano. L’arte per me ha come fine imparare ad essere uomini e donne. Nient’altro. Per questo motivo il concetto di natura umana è sempre molto importante nel mio lavoro.
Da molti anni io e Monica lavoriamo insieme; prima in un collettivo formatosi nel 2001 in accademia e successivamente creando Case Sparse nel 2012.
Da sempre però il nostro lavoro anche personale è a stretto confronto, un dialogo costante che prende strade separate per descrivere la propria individualità. Da anni pensiamo ad un lavoro che descriva questa “danza” perchè è davvero particolare come riusciamo a restare “mescolate” e “separate” allo stesso tempo.
Il mio essere artista però non mi permette di mantenermi, quindi parallelamente mi occupo di didattica museale, progettando laboratori per bambini e ragazzi. Non che questo mi dispiaccia! Adoro lavorare con i bambini e soprattutto cercare di mantenere vivo il loro già naturale pensiero creativo.
Come funziona e come è cambiato nel tempo Case Sparse? perché questo nome?
Case Sparse è una Residenza per artisti che si svolge in una casa privata, mantenendone le caratteristiche e le dinamiche, e che si misura con il territorio, producendo opere ad esso correlate. Invitiamo degli artisti ed un curatore che non si conoscono tra di loro a lasciare il proprio contesto e a recarsi in uno spazio sconosciuto ma denso e stratificato, che va indagato, scoperto, interpretato, vissuto, fagocitato e infine restituito.
Abbiamo da poco concluso il primo ciclo (2012-2015) racchiuso in un catalogo edito da Fortino Edition.
In questi anni, abbiamo lavorato esclusivamente sul territorio di Malonno, chiedendo agli artisti di confrontarsi con ambienti che lo caratterizzano: Il Bosco, Il Cento Storico, Il Fiume. Di anno in anno sono state create installazioni site-specific relative a questi tre ambienti, che ora costituiscono un parco di arte natura che si dipana dal centro storico alle zone selvatiche dell’abitato.
Un altro aspetto importante che ha caratterizzato quest’edizione è stato il processo di amplificazione: agli artisti era chiesto di inviare tracce del loro processo creativo e di indagine ad uno spazio in città che lo avrebbe reso visibile, intervallandolo con collegamenti Skype muti che mostravano, come una finestra aperta, il contesto.
Quest’anno si è chiusa la convenzione che ci legava al comune, partner e committente del parco stesso. Questo ci ha permesso di ripensare la residenza, partendo dagli aspetti che riteniamo essere sostanziali: la creazione di una comunità temporanea aperta, la produzione di opere da parte degli artisti e la produzione di una mostra finale ad opera del curatore.
Rinnovarsi per noi è sostanziale, non amiamo gli automatismi. Avere ogni anni nuovi ospiti richiede di volta in volta nuove pratiche e nuove approcci. Da noi gli artisti non sono semplici ospiti ma vivono con noi, contribuendo a definire, ogni anno, il “colore” della singola edizione.
Per tornare alla tua domanda, “Case Sparse” prende il nome dalla località in cui è inserita la residenza; abbiamo scelto di mantenere questo nome anche perché ci rappresenta molto per via del riferimento alla casa e al suo calore ma anche per quel senso di movimento casuale che contiene l’aggettivo “sparse”.
Qual è stata la parte più difficile? e gli episodi più entusiasmanti?
Non è una domanda facile, a dire la verità, in quattro anni di attività condotta tra Malonno, Milano e Berlino, diversi sono stati i momenti di scoraggiamento e altrettanti quelli entusiasmanti. Indubbiamente uno dei momenti più difficili è stato quando alcune delle opere realizzate sul territorio hanno subito delle azioni vandaliche. Questo ci ha fatto riflettere sul rapporto con la comunità di Malonno e sul fatto che forse, a nostra insaputa, stavamo camminando su un terreno minato o toccando nervi scoperti. Anche questo ci ha portato ad agire con maggior cautela e a “ripartire dal privato”.
I momenti più entusiasmanti sono stati davvero tanti, a partire dalla vincita del creative camp nel 2013 con il conseguente periodo di incubazione e tutoraggio al Politecnico di Milano, ai finissage e mostre finali. Tutte queste esperienze ci hanno permesso di allargare i nostri confini, stringere legami, avviare collaborazioni stabili.
Oltre che di entusiasmo, possiamo polare di grandi soddisfazioni, non da ultimo la produzione della bellissima pubblicazione “Maybe web arte The Waves” nel 2015 e l’uscita del catalogo.
Come avete scelto di anno in anno gli artisti da coinvolgere? e quali sono state le interazioni più memorabili?
La residenza fino ad oggi è stata su invito e non su bando, poiché è importante sia la qualità della ricerca degli artisti invitati, ma anche la persona. Incontriamo sempre prima gli artisti che decidiamo di coinvolgere, e valutiamo con attenzione se sono adatti a questa esperienza, che non è sempre facile.
Per quanto riguarda le relazioni memorabili, diremmo: tutte, nel bene e nel male.
Ci interessa molto il vostro nomadismo: based in Brescia, lavorate molto su Milano e su Berlino, costruite reti in varie direzioni. Qual è la prossima?
Una delle nostre caratteristiche principali è la costruzione di reti e proprio in questi giorni ci ha proposto di fare rete PAS_ un progetto di residenze in Sardegna, che vorrebbe creare una rete di residenze in Italia e all’estero.
Come avete imparato a districarvi nella burocrazia dei bandi?
Senza dubbio il tutoraggio del Politecnico è stato importantissimo: ci ha insegnato a elaborare un progetto flessibile, sviscerarlo, presentarlo ed elaborare un business plan. Poi li impari facendo, per uno vinto ce ne sono almeno tre persi. Un nostro caro amico dice che “chi realizza i propri sogni, ha sempre il 250% di frustrazioni in più”.
Come descrivereste il vostro rapporto con le comunità e i territori della val Camonica?
Fino ad ora abbiamo avuto il sostegno delle istituzioni territoriali che sono gestite da persone intelligenti e competenti, che amano e lavorano per valorizzare e innovare la Valle Camonica. Nonostante siamo state accolte con calore e sostegno dai singoli, la comunità ospitante nel suo complesso si è dimostrata a volte piuttosto difficile e refrattaria alle incursioni esterne.
Quali sono gli spazi e le persone del mondo dell’arte cui siete più legate a Milano, sia istituzionali che indipendenti?
Non abbiamo precisi legami con spazi istituzionali (non per scelta, ovviamente) anche se abbiamo i nostri preferiti: HangarBicocca, Fondazione Prada, Care Of.
Il legame più stretto e duraturo che abbiamo a Milano è con O’ residenza e spazio di ricerca visivo e sonoro, che da anni è attivo a quartiere Isola. Conosciamo Sara Serighelli da molto tempo ed è stata la prima persona a cui ci siamo rivolte quando abbiamo ideato Case Sparse. Ci ha sostenuto sin dall’inizio, con idee e consigli. È inoltre uno spazio partner con cui co-creiamo situazioni per noi significative, che non sono mai meramente espositive ma momenti di condivisione e scambio aperti al pubblico. Non possiamo dimenticare Giulia Restifo e That’s Contemporary. In ultima abbiamo mantenuto rapporti stabili con gli artisti e i curatori ospiti da noi nei diversi anni.
Dove andate a bere e mangiare quando venite qua?
Molte volte siamo così di corsa che ci portiamo appresso dei panini, la classica “schiscetta”! Quando ci possiamo fermare, mangiamo o facciamo spuntini a quartiere Isola, alla ex mensa della ferrovia oppure beviamo un caffè da Les Pommes.
Che ne pensate della trasformazione dell’Isola, voi che avete un occhio esterno ma continuo negli anni?
Proprio perché esterno, temo che il nostro sguardo sia superficiale. Abbiamo seguito la questione Isola ai tempi della stecca degli artigiani, ora però vediamo un luogo che può apparire bello, ma per alcuni versi artificiale ed elitario