Dal 27 al 29 novembre torna al Leoncavallo La terra trema, l’appuntamento dedicato a “vini e vignaioli autentici e indipendenti, agricolture periurbane, cibo e poesia dalla terra”. Uno degli eventi più importanti dello spazio pubblico autogestito milanese, come ci hanno raccontato i ragazzi del Leo nell’intervista che abbiamo fatto loro in occasione dei 40 anni del Leo.
Ma cos’è La terra trema? Abbiamo fatto una chiacchierata con gli organizzatori per saperne di più.
ZERO – Chi siete?
LA TERRA TREMA – La terra trema si svolge tra le vite di alcune persone, per lo più trentenni e quarantenni, di diversa provenienza, geografica, esperienziale, di pratiche e mestiere. Abbiategrasso, Albairate, Milano, Catania, ad esempio. Ci accomuna una formazione ormai più o meno solida nelle storie degli spazi occupati, dell’autogestione e in tutto quel che ne consegue.
Che cos’è La terra trema? Potete raccontarci la sua nascita e il suo sviluppo? Dagli inizi a oggi, cos’è cambiato e cosa no, l’importanza di Veronelli, il vostro rapporto con il Leoncavallo, come vedete La terra trema tra dieci anni, varie ed eventuali.
La terra trema esordisce al pubblico ad Abbiategrasso nel febbraio 2005 tra le vecchie mura del Circolo dei Contadini, organizzata dal Folletto25603, spazio occupato del sudovest milanese. Nasce dall’incontro in militanza tra agricoltori e quel piccolo spazio occupato uniti nel contrasto ad una tangenziale che avrebbe dovuto cementificare Parco del Ticino e Parco Agricolo Sud Milano. Oggi è un progetto stratificato e complesso, ideato e realizzato dal Folletto25603 e Leoncavallo, insieme ad agricoltori, vignaioli, scrittori, enogastronomi, appassionati, cuori partigiani, cittadinanza. È il 2007 quando l’evento si insinua al Leo di fatto succedendo al Critical Wine di Veronelli. C’era stata quell’esperienza fortissima, c’era stato Veronelli, certo e soprattutto la lettura dei suoi testi (ma anche di Camporesi, qualcosa di Soldati, Clément). C’era stato soprattutto il confronto con le donne e gli uomini che animavano gli spazi su cui CW si era costruita, il Leo, il Forte Prenestino, La Chimica, il Magazzino 47. L’intuizione propulsiva di unire mondi mai visti insieme prima. Negli anni LTT ha preso forma e fatto grosse le spalle, ha portato avanti le sue progettualità e ha cominciato a guardare i frutti di quanto seminato: una cultura del vino e del cibo che le cambiava intorno, che si faceva più consapevole e politica, se vogliamo. L’esempio più forte è l’evoluzione negli anni della Cucina Pop del Leo, una filiera di qualità, che garantisce reddito ai piccoli produttori oltre che piacevolezza a chi la frequenta. Filiera di qualità significa che gli stessi piccoli produttori, i vignaioli, quei nomi li trovi, guarda caso, tali e quali anche nelle forniture dell’alta cucina, della ristorazione d’élite. E questo val pure per le Carte dei vini. Poi ci sono le miriadi di enoteche nate sulla spinta dell’evento, le manifestazioni alla maniera di.. La forza de La terra trema è forse nella capacità di innescare mille altre cose anche indipendenti dal progetto stesso, nel far scoccare quella scintilla. Ci chiedi tra dieci anni… Ma la facciamo l’anno prossimo La terra trema?
Speriamo di sì… Anzi, ne siamo sicuri. Tra i vari viticoltori e contadini coinvolti, ce n’è qualcuno che ha partecipato a tutte le edizioni e rappresenta lo spirito di La terra trema? Perché?
Ce ne sono più e più, quello che portiamo sul palmo della mano e sul cuore è Claudio Solito de La Viranda. Un’adozione reciproca, la sua casa è un approdo per noi, il Folletto25603 e il Leo lo sono per lui. Per un rito propiziatorio e collettivo, per ritrovarci tra noi e con altri contadini, ogni anno ci rechiamo da lui per la festa contadina. Claudio è un pilastro, una colonna portante de LTT. Innumerevoli volte ci ha ascoltato, supportato, si è lasciato incantare. È una presenza attiva, un contadino, un vignaiolo di resistenza.
Se ci è concessa una critica, l’unico problema di La terra trema è la temperatura dei vini rossi e dei cibi. Purtroppo a novembre fa freddo al Leoncavallo, e la temperatura è fondamentale per i vini e i cibi. Avete in mente qualcosa? O è solo una menata da fighetti?
Questa forse fa un po’ il gioco di chi alimenta leggende metropolitane intorno al Leoncavallo. Le temperature di questi ultimi anni dentro il Salone del Vino sono piacevoli, c’è un riscaldamento che pompa dentro, e fuori la stagione è più mite, possiamo dire che il riscaldamento globale viene in nostro soccorso; e alimentare qualche nuova leggenda sul nostro conto? Anni fa sì, successe di un novembre glaciale, ma la città intera era sotto scacco di metri di neve, non solo le nostre bottiglie…
Naturale, biologico, biodinamico, artigianale… Le definizioni sui vini si sprecano, e il consumatore è sempre più confuso. Voi come la vedete? Che cos’è un vino artigianale per voi?
La terra trema non è manifestazione del vino biologico, biodinamico, naturale. Non assecondiamo mode o etichette, tendiamo a sconsacrarle perché lavoriamo su un altro fronte, lavoriamo sui vini di territorio, sulle storie delle persone, del loro lavoro, delle aziende, dei vini. L’artigianalità è una cosa scontata a questo punto, stiamo parlando di vini che sono frutto di lavoro materiale (di qualità e non di sfruttamento) di persone, ma questo rimane solo una parte di ciò che rappresentano i vini di territorio de La terra trema.
Ma un vino artigianale è migliore a prescindere da uno industriale? O è solo più sano? E poi, zolfo e rame sono più sani per l’organismo?
È risaputo, Veronelli amava dire: “Il peggior vino del contadino è migliore del miglior vino d’industria“, e noi quotiamo, è sicuramente vero, lasciando fuori gli stregoni, gli archibugi, i tradizionalisti; per il territorio, per la qualità della vita delle persone, e per l’ambiente il vino del piccolo produttore è sicuramente la cosa migliore che può capitare, anzi è una presenza custode, un indice di benessere diffuso di uno luogo geografico. Poi certo, ogni cosa è potenzialmente nociva, che sia zolfo o rame o qualche trattamento, se usata in modo smoderato. Agroindustria e agricoltura tradizionale fanno grossi danni coi trattamenti perché agiscono su categorie diverse: prevenzione e quantità.
La maggior parte dei vini sul mercato è prodotta con diserbanti, concimi di sintesi, pesticidi, ingredienti di originale animale… Siete favorevoli a una normativa che costringa i vignaioli a scrivere tutto quello che c’è nelle bottiglie e come viene ottenuto il vino? Perché? In caso affermativo, pensate sia un traguardo raggiungibile in tempi brevi?
Seguendo l’esempio della prima CW, per partecipare a La terra trema chiediamo ai produttori che venga compilata la nostra autocertificazione. In quelle pagine ogni produttore descrive nel dettaglio il proprio lavoro, la propria azienda e il personalissimo modo di produrre. Questo permette di conoscere più da vicino queste singole storie di produzione, di instaurare un rapporto di fiducia reciproco tra produttore e consumatore, in una sorta di autocontrollo. Altrove facciamo fatica a dare fiducia ad entità dedicate al controllo e al rispetto delle normative.
Vi siete fatti un’idea sulla presenza del mondo del vino a Expo 2015? Avete visitato il Padiglione Vini?
Chi può permettersi di pagare le cifre richieste per essere dentro al Padiglione Vini di Expo 2015 certo non rientra tra i nostri criteri di produzione, è un mondo del vino che non ci riguarda, fatto di agroindustria o star del vino.
E sul cibo a Expo? Cosa ne pensate?
Expo è stata prima esproprio di vite e di territorio, una colata di cemento, una bomba d’acqua che ha spazzato via storie di quartiere, relazioni, campi, orizzonti, poi è diventata cappello da prestigiatore, conigli e mazzette, poi ancora è stata grande pacificazione, francescana e vessillo legalitario, poi carosello gigante, sponsor monumentale, oggi è Il Gran Carrozzone, come quello puntuale portava tutti al Paese dei Balocchi, grandi divertimenti (pare) se entri, altrimenti una serie di nuche in fila, una dopo l’altra. Se mai c’è stata una aspirazione sociale è finita a fette in un panino tra zebra, astice, baobab e coccodrillo. Un’esplosione barocca.
3 bottiglie che portereste sulla Luna.
Il Dolcetto di Pino Ratto, il Prosecco di Eris Spagnol, il chiaretto di Elena Parona de La Basia. Solo questi.
Cosa bevete a parte il vino?
Di tutto. Acqua inclusa.
Quali sono i vostri bar preferiti di Milano?
Il bar pasticceria Fugazza in via Vigevano, il Love di via Melzo, qualunque piccolo bar di quartiere compresi quelli gestiti da cinesi.
E i vostri ristoranti?
L’Albero Fiorito, la Cucina Pop del Leoncavallo, Aimo e Nadia.
Cosa significa per voi bere responsabilmente? Bevete tutti i giorni?
Significa godersi una bevuta e con controllo e consapevolezza: bere bene e capire quando si può esagerare e quando no.
Beviamo frequentemente, qualche vignaiolo ci ha insegnato che il vino è da considerarsi un alimento, per cui di vino, anche, ci nutriamo.
E se vi è capitato di non bere responsabilmente, qual è il rimedio per una sbronza?
Il Bustreng di Daniele Marziali, pizza e focaccia, pane e salame, una dormita, una bella musichetta o quiete.