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It’s

Nel 2017 è nato a Roma un HUB d'innovazione. Lo ha realizzato It's, società d'architettura che si muove tra Roma, Ginevra e Parigi. Lo ha realizzato a Tiburtina, ci credereste? Le risposte in questa intervista.

Scritto da Nicola Gerundino il 20 giugno 2018
Aggiornato il 7 febbraio 2019

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Luogo di nascita

Roma

Luogo di residenza

Roma

Attività

Architetto

Parlare d’innovazione a Roma significa spesso riferirsi a nuove modalità e angolature di parcheggio, che permettono di lasciare in sosta la macchina dove o come nessuno aveva mai pensato prima. L’innovazione, quella che parla di futuro e cambiamento, è ancora un embrione all’interno di un corpo lento e affaticato ed è difficile da riconoscere per un occhio poco esperto e poco allenato. Questo, però, non vuol dire che non ci sia, anzi. Bisogna semplicemente andare un po’ più a fondo per trovarla. Ad esempio, percorrendo la Tangenziale in direzione Tiburtina, potreste soffermarvi sui palazzoni che incorniciano la consolare oppure notare un nuovo edificio in cui l’innovazione è la parole d’ordine. Si stratta di HUB ed è stato realizzato da It’s, società d’architettura che si muove tra Roma, Ginevra e Parigi. Di cosa si tratta e cosa c’è dentro ve lo raccontano in questa intervista Paolo Mezzalama e Alessandro Cambi, fondatori insieme a Francesco Marinelli dello studio It’s.

HUB

ZERO: Iniziamo questa intervista parlando dell’area nella quale HUB nasce: Tiburtina. Dal vostro punto di vista doppio, di architetti e investitori, che zona è?
Paolo Mezzalama e Alessandro Cambi: L’area della Tiburtina è un’area strategica per Roma, sin dai tempi dello S.D.O. (Sistema Direzionale Orientale). A oggi, non essendo stata attuata una strategia in modo continuo e coerente, possiamo dire che è un “terrain vague” tra la città consolidata e la prima periferia di Roma, un ambito che accoglie elementi eterogenei che ne determinano un‘identità “multicolor” in cui convivono la stazione ferroviaria, spazi industriali, la casa del sole di Sabatini o le residenze anni 50 di Ridolfi, la nuova sede BNP e case popolari.

Come si colloca Tiburtina rispetto al resto di Roma? Quale potrebbe essere la sua specificità?
Tiburtina è una parte di città molto densa e attiva anche se in modo scomposto, un punto di intersezione di realtà molto diverse, dove si gioca la cronaca del quotidiano. Rispetto a Roma è un’area senza un’identità chiara e per questo crediamo possa essere luogo di sperimentazione urbana. La presenza della stazione dell’alta velocità e della metropolitana, della Tangenziale e di un tessuto artigianale in dismissione, la rendono un luogo che potrebbe porsi come uno dei principali HUB romani.

La nuova sede BNP di Tiburtina.
La nuova sede BNP di Tiburtina.

Cosa vi ha portato a sceglierla?
Ci abbiamo visto una potenziale Lambrate – un quartiere di Milano che ha subito un grande cambiamento – ma più strategica e centrale. Nel 2004, quando siamo arrivati, stavano succedendo cose interessanti. C’era La Palma per il jazz, il Qube, il Morpurgo Roof. Poi, nel tempo, è arrivata Radio Rock, il Monk, e alcuni spazi sono stati colonizzati da giovani artisti. C’era potenziale, c’erano le basi per un’evoluzione, un cambiamento. Oggi il potenziale lo vediamo ancora, così come la possibilità che il quartiere si trasformi in un HUB urbano, ma l’amministrazione deve aiutare a costruire una road map per il cambiamento, cosa che non è mai avvenuta e che non sta avvenendo.

In questa zona ci sono stati due interventi architettonici importanti e recenti, che abbiamo gitato in precedenza, la stazione dell’alta velocità e la nuova sede della BNP. Come li giudicate? Soprattutto la stazione assomiglia a un gigante nel deserto, sproporzionato e avulso rispetto al quartiere e alla città.
Innanzitutto c’è da dire che, oltre a questi, ci sono altri interventi contemporanei notevoli come la Città del Sole di Labics. Il deserto di cui parli è determinato dalla mancanza di uno spazio pubblico in grado di far dialogare le emergenze e attivare la socialità e lo scambio necessari. La città contemporanea è prevalentemente legata ai flussi e al movimento: se manca questa rete gli edifici sono corpi isolati. Purtroppo anche qui il grande assente è l’amministrazione comunale. I singoli edifici non fanno una città.

Se doveste descrivere l’HUB in termini di affinità e diversità rispetto a questi due interventi?
C’è la volontà di essere generativi, anche se su scale diverse. Sono tutti interventi in grado di innescare una dinamica evolutiva e di rinnovamento verso il contesto.

HUB e il tessuto urbano di Tiburtina.
HUB e il tessuto urbano di Tiburtina.

Andiamo indietro di qualche anno, come nasce It’s? Raccontate la vostra storia.
It’s raccoglie la nostra esperienza passata e la trasforma in qualcosa di diverso: è una realtà orientata all’innovazione e alla ricerca. Operiamo principalmente da Roma, Milano e Parigi e il nostro obiettivo è quello di far evolvere la nostra professione di architetti ibridandola con altri settori come quello dell’IT, del visual design, dell’economia.

Il primo progetto a firma It’s qual è stato?
Non ce n’è stato uno in particolare, ma vari: una riflessione sull’abitare commissionata da Bang & Olufsen, una strategia per integrare la mobilità a vari livelli della Regione Lombardia, un concept di co-living orientato al millenial, il nostro logo dinamico sviluppato con il grafico Leonardo Sonnoli.

L’ultimo portato a termine?
Il progetto per la nuova sede nazionale di Confcooper, una sfida importante. Abbiamo cercato di proporre un’immagine contemporanea che tenesse conto della tradizione del mondo delle cooperative. In più, il progetto è stato sviluppato con metodologie molto innovative, come il rilievo di un edificio del centro di Roma eseguito con una nuvola di punti.

I progetti su cui state lavorando ora e quelli a cui lavorerete nel prossimo futuro?
Uno studio sul futuro delle stazioni per le ferrovie francesi, un edificio residenziale all’Eur che sarà il primo edificio con certificato Active House di Roma. Siamo inoltre stati invitati a partecipare a un concorso a Bordeaux per progettare un incubatore d’impresa legato all’aerospaziale.

Quando e come nasce HUB?
Nasce contestualmente alla fondazione di It’s, di cui HUB vuole essere un manifesto fisico. L’idea di ibridazione e di scambio continuo per alimentare di contenuti il nostro lavoro e quello degli altri: questo è quello che cerchiamo di fare con HUB. Non avendo trovato delle realtà esistenti che ci convincessero, abbiamo deciso di crearla.

L'interno di HUB.
L’interno di HUB.

Riguardo ad HUB avete scritto che: «Il progetto è stato utilizzato da It’s come case study sia per la gestione del processo, full BIM, che per l’uso della prefabbricazione». Quali sono le specificità che l’hanno reso un case study?
Non è facile trovare un edificio che integri da subito BIM (Building Information Modeling, nda) e prefabbricazione e che venga completato in tempi rapidissimi. Non a caso il progetto è stato premiato con il BIM&DIGITAL Award 2017.

Con quali tecniche e quali materiali è stato realizzato?
Il progetto è in legno. È realizzato con pannelli prefabbricati in xlam assemblati in cantiere. Grazie a questa scelta abbiamo ottenuto un edificio con prestazioni energetiche molto elevate e che con il fotovoltaico diventa totalmente autosufficiente. Il legno è poi riciclabile e questo fa sì che l’edificio si integri perfettamente in un’idea di circolarità delle costruzioni. Fra l’altro, Casal Bertone era stato individuato come parte del progetto Cat Med, che aveva lo scopo di individuare soluzioni operative adatte a ridurre l’impatto ambientale dell’urbanizzazione, cercando così di dare un taglio netto alle emissioni di gas e dell’effetto serra. Un lavoro ampio che, coinvolgendo 11 città del Mediterraneo, cercherà di promuovere la convergenza degli atteggiamenti verso un modello di comportamento urbano e sostenibile.

Sempre nella vostra presentazione di difficoltà dovute all’interferenza di grotte sottostanti. Cosa avete trovato quando avete messo le fondamenta?
Un paesaggio nascosto, sotterraneo, fatto di cunicoli lunghissimi e stanze di tufo, una città sotterranea affascinante e con un grande potenziale. Cercheremo di raccontarlo con istallazioni che stiamo pensando con alcuni artisti, finalizzate a indagare questo tema e queste potenzialità.

HUB.
HUB.

È questo il problema di Roma: un sottosuolo che riserva continuamente interferenze e sorprese? Com’è possibile convivere con un’eredità del genere senza paralizzarsi?
Non vederla come un vincolo, ma come una possibilità, non un blocco intoccabile, ma qualcosa con cui dialogare e convivere. Legare il sottosuolo alle dinamiche della città potrebbe contribuire a conferire nuovi impulsi.

Da chi sarà abitato HUB?
L’idea è animarlo attraverso un’ecosistema di imprese innovative. La call che abbiamo lanciato recentemente intende intercettare le migliori startup innovative per allargare questo ecosistema. Stiamo inoltre lavorando perché diventi uno spazio dedicato a eventi e talk legati alla cultura dell’innovazione.

Al momento attuale che società lavorano al suo interno?
Ulis, una startup che lavora per l’innovazione sociale, il laboratorio Coder360, finalizzato a formare nuove professioni in grado di legare formazioni umanistiche coder, e Parallel Digital, società parte di It’s attiva nella ricerca e nell’innovazione nel mondo BIM.

Parlando sempre delle funzioni che HUB andrà a svolgere, credete che la condivisione – degli spazi, delle idee, delle risorse, etc. – sarà il modello vincente dei prossimi anni? Lo sarà anche per Roma?
Dal nostro punto di vista lo è già. A Parigi abbiamo scelto di stabilire la nostra sede nel coworking WeWork, con l’obiettivo di ibridare le nostre conoscenze. Stiamo lavorando a un nuovo progetto, Hyb, finalizzato a costruire un ecosistema stabile di società operative nell’ambito del digitale, dei visual data, dei metodi innovativi in grado di poter operare su diverse frontiere dell’innovazione.

HUB.
HUB.

Oltre alla condivisione, un’altra chiave per far ripartire Roma è quella della riconversione delle tante zone e dei tanti edifici dismessi, sia pubblici che industriali. Quanto c’è da fare in questo settore? Sarebbe così strategico per la città come sembra?
La città è un luogo in cambiamento continuo e il cambiamento è strategico per la città. Pensare alla riconversione di una città come Roma è fondamentale: la maggior parte dei volumi immobiliari hanno necessità di essere ripensati e adattati al nostro tempo. I grandi cantieri sono un momento di sospensione nelle dinamiche della città, ma possono anche essere l’occasione per sperimentare, far evolvere un luogo attraverso eventi e architetture effimere in grado di renderli attivi anche durante le lunghe fasi di cantiere.

Quali sono gli edifici o le zone sulla cui riconversione vi piacerebbe lavorare?
Forse, pensando ad alcuni casi emblematici, pensiamo allo stadio Flaminio, o le torri dell’Eur. Ma, più di una zona o un edificio, ci sembra prioritario per Roma in questo momento ripensare alla visione della città, partendo dalla rigenerazione dello spazio pubblico.

Roma e innovazione oggi sembrano agli antipodi. La vedete così anche voi?
Apparentemente è così, invece esiste un ecosistema in movimento, pensiamo ad eventi come Maker Faire o Data Drive Innovation. Quello che manca è una regia – che non può essere che pubblica – in grado di generare sistema, di amplificare questo movimento e di creare luoghi e spazi di incontro e di confronto.

Al Tiburtino arriverà anche l’Hyper Cloud Data Center di Aruba. Una buona notizia anche per voi?
Sicuramente, l’imprenditoria privata e internazionale è necessaria all’evoluzione della città.

Parlando sempre di Roma, tra i vostri progetti per la città c’era anche quello delle Torri Telecom per l’Eur, che avete anche citato poco fa.
Un progetto importante nato da un concorso di progettazione. Con Progetto Flaminio, forse l’ultimo concorso importante bandito a Roma negli ultimi anni (era il 2015). Ora i concorsi di progettazione sembrano scomparsi dalla scena pubblica della città quando invece sono un momento fondamentale di confronto, di scambio e di produzione di idee per la città e uno strumento utile a veicolare la qualità dei progetti.

I palazzi delle Torri Telecom sono ancora lì nell’indefinito. Che ne pensate dell’intera vicenda?
Sicuramente Roma è troppo lenta nel cambiare se stessa. In una fase storica in cui la società evolve rapidamente, la città deve sapersi adattare al cambiamento con nuove logiche, nuove dinamiche, nuovi processi e nuovi strumenti di intervento.

Come sarà Roma tra cinque anni?
Se pensiamo all’evoluzione degli ultimi cinque anni di Roma, non possiamo che prendere atto di un immobilismo generale e di una mancanza di visione pubblica sullo sviluppo della città. A oggi ancora non vediamo dei segnali di inversione di tendenza. Non servono grandi progetti, ma piccole operazioni in grado di rigenerare lo spazio pubblico su cui innestare investimenti privati di qualità. I valori di mercato basso hanno registrato una flessione generale e questo potrebbe favorire nuove condizioni di sviluppo, ma rimane fondamentale attivare un dialogo virtuoso con il sistema pubblico, che deve favorire e indirizzare anche gli investimenti privati.

Tra 20?
Troppo veloce la società per fare previsioni di lungo periodo: siamo in un mondo VUCA: volatile, incerto, confuso, ambiguo.

Scommettereste su Roma? Anzi, di nuovo su Roma?
Difficile rispondere con quello che vediamo ad oggi, ma in fine dei conti l’abbiamo appena fatto impiantando HUB a Tiburtina!

Sulla terrazza di HUB.
Sulla terrazza di HUB.