Lorenzo Balbi, classe 1982, torinese, prima di diventare il nuovo direttore del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna è stato per molti anni curatore alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dove si è occupato di progetti espositivi, ha insegnato Metodologia della Curatela a Campo, il famoso corso per curatori della stessa Fondazione, e ha coordinato la Residenza per Giovani Curatori Stranieri.
In questa intervista ci ha raccontato la grande mostra inaugurale del suo nuovo percorso bolognese, That’s IT!, dei programmi espositivi futuri del museo e del riallestimento della collezione e del Museo Morandi con qualche incursione nella sua formazione, i suoi modelli e la vita privata.
Partiamo da That’s IT!
That’s IT! è stata la mia prima mostra come direttore artistico del MAMbo, e se da un lato volevo che rappresentasse la mia ricerca e i miei interessi di curatore, dall’altro doveva inserirsi nel percorso dell’istituzione in cui cominciavo a lavorare. Per questo motivo ho deciso di iniziare con una mostra di giovani artisti italiani, della generazione di cui anche io faccio parte (nati dopo il 1980): una generazione che ho avuto modo di studiare e incontrare in questi ultimi anni e che al MAMbo, museo da sempre attento alla promozione dell’arte italiana, poteva trovare il luogo ideale di confronto.
Io l’ho trovato un progetto espositivo coraggioso e ambizioso allo stesso tempo. Cosa ti ha portato a ripensare ai concetti generazionali e qual è stato il criterio che hai adottato nella selezione degli artisti?
That’s IT! cita nel titolo, e anche nell’impostazione generazionale, una mostra del 2003 curata da Francesco Bonami alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. L’esposizione si chiamava ExIT (anche in questo caso veniva utilizzato il codice IT che identifica internazionalmente l’Italia) e riguardava, appunto, una specifica generazione di artisti italiani: quella dei nati tra gli anni ’60 e ’70. La mostra al MAMbo si propone come ideale prosecuzione di quel progetto.
La selezione degli artisti in mostra (56 tra artisti e collettivi per un totale di 65 persone) è avvenuta partendo da una personale lista di oltre 400 nomi redatta in anni di ricerche e incontri con l’idea di fornire una rappresentazione possibile di una generazione, benché dichiaratamente soggettiva e con nessuna ambizione di esaustività.
In questi ultimi due decenni abbiamo assistito, a livello nazionale ed internazionale, ad un radicale cambiamento nel tradizionale percorso delle collezioni, cosa ci puoi dire sul futuro della collezione del MAMbo e sul Museo Morandi?
La collezione permanente del MAMbo è in grado di fornire un percorso ampio e coerente attraverso la storia dell’arte italiana degli ultimi cinquanta anni. Vanta diversi capolavori e alcune “opere faro” come i Funerali di Togliatti di Guttuso, il Teorema di Pitagora di Pinot Gallizio e il video della performance Imponderabilia di Marina Abramović e Ulay. Purtroppo per un museo pubblico è sempre più complicato avere il budget per incrementare la collezione. Attualmente stiamo comunque lavorando a nuove formule di finanziamento per riattivare questo percorso di crescita. Per quanto riguarda invece l’allestimento e la fruizione della collezione, credo si debbano seguire due strategie: da un lato mettere in mostra la storia di un patrimonio e di un contesto territoriale specifico, dall’altro sapersi rinnovare nel tempo e sfidare quel paradigma di permanenza che troppo spesso è categorico di queste sezioni. Un approccio temporaneo, con cambi di opere, di sezioni e di allestimenti, penso sia il modo giusto per il riallestimento della collezione.
Un discorso a parte merita il Museo Morandi. Attualmente siamo in attesa di un parere legale definitivo che sancisca la collocazione finale e che possa quindi dare il via ad un percorso di ripensamento scientifico e architettonico dei suoi spazi e del suo allestimento. Io credo che il futuro del Museo Morandi sia da pensare nella valorizzazione dell’eredità artistica dell’artista bolognese, in particolare per le successive generazioni di artisti e per l’arte contemporanea, magari pensando ad un percorso che unisca il Museo, la biblioteca, alcuni luoghi morandiani in città e la Casa Museo di Via Fondazza.
Cosa hai mantenuto della vecchia direzione del MAMbo e cosa hai invece cambiato radicalmente?
È molto difficile rispondere a questa domanda: il mio ruolo di direttore artistico di MAMbo è radicalmente diverso da quello che Gianfranco Maraniello ricopriva come direttore dell’intera Istituzione Bologna Musei. Nell’impostare la programmazione artistica del museo cerco di mantenere il più possibile gli orientamenti di questa istituzione che illustri direttori del passato hanno perseguito, in qualche modo “tracciando la via” e delineando un posizionamento e una “misura” per questa istituzione.
Da spazio privato come la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ad uno spazio comunale come il museo di Bologna. Come è cambiato il tuo modo di lavorare?
Più che il passaggio da privato a pubblico il “salto” più grande è stato di ruolo e di responsabilità: da curatore a direttore artistico. Rispetto al mio ruolo precedente oggi mi devo occupare di molte più cose: stabilire una programmazione artistica per sei diverse sedi, coordinare le attività con il Comune, trovare fondi, gestire uno staff numeroso… Il tempo che riesco a dedicare all’attività di curatore, come facevo in passato, è solo una parte di quello di cui mi devo occupare ora. Ma questa è una sfida professionale bellissima, che ho fortemente voluto e quindi sono contento di dovermi confrontare con queste nuove mansioni.
Cosa ci puoi anticipare sulla futura programmazione del museo? Qualche nuova collaborazione, oltre a quella con Arte Fiera…
Il 2 febbraio, in occasione della notte bianca di ART CITY Bologna, come l’anno scorso, faremo un grande evento al MAMbo in cui presenteremo il programma per il 2019. Quello che posso anticipare è che la programmazione prosegue nel solco di quanto avviato nel 2018: grandi mostre nella Sala delle Ciminiere, mostre dedicate a Bologna e al suo territorio nella Project Room, progetti in collaborazione con altre istituzioni internazionali e la residenza per artisti ROSE a Villa delle Rose oltre a festival, eventi, collaborazioni…
Il nostro obiettivo è quello di rafforzare l’immagine del MAMbo come punto di riferimento per la ricerca in ambito di arte contemporanea a Bologna, in Italia e all’estero.
Un artista del passato con cui avresti voluto collaborare?
Alighiero Boetti.
Guardando alla storia delle esposizioni, quale mostra avresti voluto curare?
Chambres d’amis curata da Jan Hoet nel 1986.
Per quello che riguarda la tua pratica da critico e curatore, hai un “maestro”, un riferimento che sia uno storico dell’arte o un artista?
La mia mentore è Giorgina Bertolino. Da lei ho imparato e ancora imparo moltissimo, punto di riferimento per la serietà della ricerca, il rigore nella scrittura e l’attenzione e la mediazione ai pubblici a cui ci si rivolge.
Quali credi debbano essere le funzioni del museo contemporaneo? Pensi che l’operato del MAMbo sia proiettato verso una prospettiva internazionale?
Il museo contemporaneo è concepito sempre di più come istituzione culturale, punto di riferimento per la ricerca e autorità nel proprio settore. Accanto alle sue funzioni didattiche, di ricerca e di conservazione, si impongono oggi nuove funzioni “strategiche” come il coordinamento delle attività nel proprio territorio, il raccordo tra iniziative e pubblico, il confronto con i professionisti.
L’operato del MAMbo, istituzione comunale attenta al proprio territorio ma anche palcoscenico per la ricerca e la promozione di grandi mostre internazionali, si pone come obiettivo quello di essere un protagonista anche in una prospettiva internazionale. La programmazione di Villa delle Rose, luogo privilegiato in cui vengono ospitati progetti di cooperazione con altri enti internazionali, va letta proprio in questa direzione.
Da piemontese, com’è vivere nel capoluogo emiliano?
Molto diverso. Per questo affascinante. Torino è una città barocca, con grandi viali alberati, un passato industriale e un’atmosfera borghese. Bologna è una città medievale, con un centro storico intricato percorribile sotto i suoi portici, una vocazione universitaria e un’atmosfera studentesca.
La qualità della vita a Bologna è ottima e mi sono sentito subito “inserito” quindi il bilancio è molto positivo.
Quanto pensi sia cambiata la città dal tuo arrivo?
Sono qui da poco più di un anno, non credo che la città sia cambiata. Sicuramente molte cose stanno cambiando, in ambito culturale e artistico le idee e le iniziative non mancano. Spero di poter contribuire a questo fermento creativo.
Quali sono le realtà culturali interessanti della zona?
È difficile fare un elenco completo perché sono moltissime. Come i centri di produzione indipendente, solo per citarne alcuni: Xing/Raum, Localedue, Gelateria Sogni di Ghiaccio, Tripla, Voxel, Adiacenze; passando per le molte ottime gallerie private come P420, Gallleriapiù, Car drde, Otto Gallery, Enrico Astuni, Galleria G7, De’ Foscherari; gli spazi espositivi privati come il MAST, l’Opificio Golinelli, la Fondazione Cirulli; le istituzioni come la Cineteca di Bologna, l’Accademia di Belle Arti e il DAMS.
Non si possono poi chiaramente dimenticare i molti festival come Live Arts Week, BilBOlBul, Gender Bender, roBOt, Cinema Ritrovato, Biografilm…
Conoscevi già il tessuto culturale e artistico di Bologna?
Ho avuto la fortuna di viaggiare molto negli ultimi anni seguendo dei programmi di residenza in Italia per curatori stranieri quindi ho frequentato abbastanza la città. Soprattutto ho potuto conoscere i molti artisti che a Bologna risiedono o lavorano. La cosa che mi ha sempre stupito è la grande qualità dell’offerta culturale della città, unita dalla grande abitudine del pubblico alla frequentazione degli spazi dedicati alla produzione culturale.
Esci spesso? Quali sono i tuoi posti preferiti?
Ho due figlie gemelle di poco più di due anni quindi non esco molto spesso… quando riusciamo mia moglie ed io ci prendiamo una serata “libera” e andiamo a mangiare tortellini in una delle molte magnifiche trattorie di Bologna.
Uno dei miei posti preferiti è Agricola e Vitale in Piazza Santo Stefano dove si possono prendere ottimi drink in uno dei luoghi più affascinanti della città, la piazza triangolare davanti alle Sette Chiese. Ma per una “fuga” in un angolo più tranquillo preferisco le Serre dei Giardini Margherita dove ci si può isolare in un ambiente bellissimo e informale a pochi passi dal centro.