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Mappe e visioni di Club Adriatico

I dieci anni del format che ha rivoluzionato l'immaginario sonoro della Riviera

Scritto da Salvatore Papa il 13 dicembre 2023

In un ex magazzino dello zolfo nella darsena di Ravenna – le Artificerie Almagià -, dieci anni fa nasceva un format destinato a rappresentare il rinascimento deviato dell’ormai museificato clubbing della Riviera. Club Adriatico è stato sin da subito un piccolo miracolo per chi non ne poteva più della solita brodaglia techno e house e dei soliti guest, il party che le grandi città sopra e sotto il Po hanno per molto tempo invidiato alla provincia. Merito di una cura estrema nella costruzione di un immaginario diverso (profetico, potremmo dire oggi) capace sia di mettere insieme i reperti di una mitologica golden age che di evocare un futuro ignoto, tutto da scoprire.

Un limbo affascinante nel quale sono passati, spesso per la prima volta in Italia, nomi come Actress, Laurel Halo, DJ Stingray 313, DJ Hell, Beatrice Dillon, Clock DVA, Crystallmess, LSDXOXO, DJ Marcelle, Errorsmith, DJ Bone, Batu, Lolina, Lee Gamble, Herva, Call Super, Nkisi, Physical Therapy, M.E.S.H., Josey Rebelle, Objekt, Linn da Quebrada, DJ Nobu, Pearson Sound, Caterina Barbieri, Helena Hauff, DJ Lag, Lena Willikens, Low Jack, Dopplereffekt, Total Freedom…

Alla guida Marco Molduzzi (già Fanny & Alexander) e Matteo Pit (parte del duo Primitive Art) insieme a un solido gruppo di collaboratori capaci di far poi evolvere il format in ulteriori diramazioni come il festival C.A. Loose o gli spin off al Covo di Bologna, prima, e attualmente a Milano con il nome di Gatto Verde.

In occasione del decennale, abbiamo provato ad addentrarci insieme a loro nell’anima e nelle origini del progetto.

Club Adriatico tornerà il 23 dicembre alle Artificerie Almagià con Dj Bone e Pit b2b Bangutot.

 

Partiamo dal principio. Com’è nato Club Adriatico e perché questo nome?

Marco Molduzzi: A partire dal 2009 con la compagnia teatrale Fanny & Alexander ci siamo trovati a gestire lo spazio industriale Almagià, situato nella zona storica del porto di Ravenna. Quando nel 2012 è nata per noi la possibilità all’Almagià di affiancare al teatro sperimentale e alle arti performative un percorso orientato al clubbing, ho cercato subito di coinvolgere alcune figure che intorno a noi avevano sviluppato esperienze innovative e di ricerca in quest’ambito, al di fuori dei circuiti commerciali. Per questo ho iniziato a confrontarmi con Matteo Pit, musicista, dj e già curatore di alcuni eventi seminali a Milano, e con Gianluca Gabellini e Fabrizio Brasini, reduci dal progetto di Officina 49 a Cesena. Nel 2013 la presenza di Matteo, Gianluca e Fabrizio è stata fondamentale per l’avvio di Club Adriatico. Poco dopo anche Giacomo Lepori si è aggregato stabilmente al nostro team seguendo con noi tutti i percorsi. Volevamo creare insieme un “luogo” nuovo, una club night sperimentale che potesse corrispondere ai nostri desideri e ai nostri background. 

Matteo Pit: Si è pensato di avere un nome in italiano e dopo una serie di riflessioni è saltato fuori Club Adriatico“, mi è sembrato fin da subito un nome perfetto per il progetto e il luogo che avevamo in mente. 

Se si osservano i nomi dei locali di alcuni club o attività commerciali, turistiche, della riviera dagli anni ottanta in poi spesso si incontrano nomi di altre città del mondo, nomi esotici, di isole, di spiagge tropicali…“luoghi dei sogni”. Escapismo. Un po ‘ per la funzione di queste attività ma soprattutto perché la realtà della provincia e la natura del territorio hanno sempre generato l’urgenza di scappatoie immaginarie. Club Adriatico e l’immaginario che poi abbiamo costruito intorno ad esso vuole invece portarti esattamente qua, in un luogo affascinante, sì, ma pieno di contraddizioni, distopico a volte, ma pur sempre a ridosso del mare.

Cosa vi accomuna con la tradizione del clubbing della riviera? E cosa ha influenzato maggiormente i vostri interessi?

MM: Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, ho cominciato a girare per club, assistere a concerti, poi quando agli inizi dei duemila ho incontrato Fanny & Alexander ho scoperto con il teatro la possibilità di creare dei mondi, visioni, attraverso l’utilizzo di una molteplicità di linguaggi e di tecniche messe a servizio di un’opera… Forse non a caso una delle mie primissime esperienze lavorative con la compagnia riguardava la produzione e l’allestimento delle performance che venivano create appositamente per la scalinata d’ingresso del Cocoricò di Riccione. Alcune di quelle performance sono rimaste nella storia e nella memoria di chi frequentava il club.

MP: Le mie influenze derivano maggiormente da ambienti musicali più sperimentali. Sicuramente essere cresciuto e aver iniziato a suonare come dj in riviera da ragazzino ha generato un rapporto inscindibile tra me, questo luogo e i suoi rituali. L’esigenza di creazione di spazi progettati per la musica, e non parlo solo di club music, ha a che fare con la storia della riviera, la creazione di luoghi che permettano ad ogni persona di portare orgogliosamente la propria diversità all’interno ed esprimersi è parte di un bisogno culturale, politico che proviene dal passato più florido di questa località sebbene sia anche del presente. C’è ovviamente anche una corrispondenza musicale con la tradizione, principalmente data dalla distanza dai generi, dall’interesse verso i vari suoni e le interpretazioni del clubbing globale.

Rimane comunque il fatto che l’estetica di Club Adriatico è una cornucopia di codici diversi. È possibile notare molti riferimenti, ma allo stesso tempo è difficile inquadrare il tutto sotto una chiave precisa…

MP: L’estetica di Club Adriatico nasce dalla collaborazione con l’art director e designer Daniel Sansavini, un contributo essenziale dall’inizio del progetto. I flyer, la comunicazione, il merchandising, gli allestimenti dello spazio sono un display per creare il nostro racconto, che ha sempre cercato di essere seducente, ironico ma allo stesso tempo disturbante. Negli anni ci siamo divertiti molto e si sono susseguiti un’ampia serie di simboli, riferimenti e temi ricorrenti. Nel tempo ci siamo aperti anche ad altri collaboratori che hanno portato un contributo speciale al progetto tra cui Michele Papetti, Jim C. Nedd, Alessia Gunawan.

Forse è un falso luogo comune, ma si direbbe che una cosa come Club Adriatico poteva nascere solo in provincia “between the seaside and the chemical factories”, come recita il vostro status, dove forse c’è più campo libero e meno gabbie mentali…

MM: Essere in provincia ci ha dato la libertà di poter lavorare in un contesto più vergine, senza dover fare i conti e confrontarci con dei percorsi simili vicino al nostro. Abbiamo avuto la forza e la possibilità di sperimentare, anche grazie al sostegno di E Production e delle istituzioni locali.

MP: La provincia è solamente lontana dalle industrie culturali e lo stile di vita che generano, ma non è invisibile o irraggiungibile. Può essere influente se si sviluppano i suoi punti di forza.

Le città hanno comunque fatto parte del vostro percorso, prima Bologna, poi Roma e, attualmente, Milano dove avete all’attivo il format Gatto Verde…

MP: Gatto Verde nasce a gennaio del 2023 come spin off milanese di Club Adriatico, una volta al mese in un club a sud est della città, nella zona industriale. Per questa prima stagione sono stati coinvolti artisti che hanno segnato il percorso musicale di Club Adriatico e nuovi artisti emergenti sia italiani che dall’estero. Attraverso l’apertura di un ingresso alternativo al club si è dato spazio anche a diverse realtà della città invitandole ad interpretare questo accesso che noi chiamiamo “Rampa”.

Una parte importante del progetto era poi il festival Loose. Tornerà prima o poi? E perché si è interrotto?

MM: Loose rappresentava una possibilità di espansione di Club Adriatico verso territori ancora più sperimentali e performativi. Ogni edizione ha creato e sedimentato uno specifico scenario, non solo attraverso le line up e le incredibili performance degli artisti, ma grazie alla cura degli spazi, degli artwork, degli allestimenti…
La pandemia ci ha portato a cancellare l’edizione del 2020 di Loose che era già in fase di elaborazione e quando è stato possibile riprendere le attività dopo la pandemia abbiamo sentito l’esigenza di apportare una novità al nostro progetto, per questo è nato il percorso di Portuària (2021-2022) come risposta ai limiti e alle opportunità che quel preciso momento ci poteva dare. Il feedback del pubblico è stato veramente importante, un grande rilancio anche dal punto di vista del ricambio generazionale. Ora siamo concentrati su una serie di eventi speciali pensati appositamente per celebrare i 10 anni di Club Adriatico.

Chiudiamo con una delle frasi proiettate durante uno dei vostri eventi che ricordo ancora bene: "Wrong maps bring you to better places"

MM: Club Adriatico non nasce come tentativo di imbonirsi il pubblico andando incontro ai gusti e tendenze. Cerchiamo proposte artistiche sincere, vere, radicali, capaci di raccontare anche di altri mondi, che sappiano stupire o ribaltare qualche certezza.

MP: Abbiamo da sempre richiesto al nostro pubblico di incuriosirsi e sorprendersi, accettando e godendo del rischio di farsi portare altrove, anche molto più lontano da dove pensava di andare prima di entrare dalla porta del Club.