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Il Lab57 è ancora l’avanguardia dell’antiproibizionismo a Bologna

Scritto da Salvatore Papa il 19 luglio 2022

Il camper del Lab57 disegnato da BLU

Verso la fine del 1996 un gruppo di persone all’interno centro sociale Livello 57 inizia confrontarsi sulle proprie esperienze, passate e presenti, con le droghe sintetiche di cui all’epoca si sapeva molto poco, e in particolare con l’ecstasy. Obiettivo di questi incontri è comprendere quali siano le condizioni che massimizzano il benessere e quelle che minimizzano i danni. Nasce così il Laboratorio Antiproibizionista Bologna aka Lab57. Lavorare sulle nuove droghe, senza pregiudizi, diventa sin da subito una questione di intervento sociale, diffondendo informazioni per la riduzione del danno e opponendosi al “proibizionismo della conoscenza”. Vengono così allestite al Livello 57 le prime zone “chill out”, si promuovono convegni e seminari internazionali e – com’è noto – si organizzano le street parade antiproibizioniste auto-organizzate più grandi d’Europa. Il resto è storia.

Da venticinque anni l’attività di Lab57 (dal 2006 registrato come Associazione di Promozione Sociale “Alchemica”) non si è mai fermata, nemmeno durante la pandemia, nemmeno dopo aver perso la seconda casa all’XM24.

Il Laboratorio fa anche parte del Coordinamento Regionale delle Unità di Strada dell’Emilia Romagna che comprende tutte le equipes di servizi di prossimità e riduzione del danno in regione, è convenzionato con Alma Mater Studiorum Università di Bologna per stages e tirocini, e da oltre 15 anni conduce decine di sessioni formative professionali per interventi di riduzione dei rischi su uso/abuso di sostanze, Primo Soccorso e analisi sostanze in tutta Italia.

A fronte di tutto questo e visto che l’argomento “antiproibizionista” è tornato – seppur molto parzialmente – sulle prime pagine dei giornali, ci sembrava giusto aggiungere la loro voce alle tante che si stanno succedendo in questi giorni. Ecco quindi la nostra intervista a Max, che sin dal principio conduce tenacemente il Lab57.

 

Partiamo dalla vostra posizione sulle droghe.

La nostra posizione di base è la depenalizzazione di tutte le condotte relative al consumo e ovviamente dell’autocoltivazione per uso personale. Né legalizzazione né liberalizzazione, quindi, parole utilizzate da molti partiti per fare propaganda, ma depenalizzazione.
Nel 2014 insieme a decine di cooperative e associazioni che lavorano sulla riduzione del danno, a Genova, dopo la scomparsa e sulle orme di Don Gallo, abbiamo sottoscritto la “Carta dei diritti delle persone che usano sostanze” che è un po’ il nostro manifesto.
Non usiamo la parola “consumatori” che ha un’accezione negativa e fortemente capitalistica, ma users o PUD (person using drugs).

Cosa ne pensi del dibattito sulla cannabis riaperto in questi giorni?

I contenuti di Mattia Santori sono sicuramente condivisibili. Vedremo come va a finire. Ma non ci siamo mai fidati dei partiti né di sinistra né tantomeno di destra. E credo che la disobbedienza civile dal basso abbia sempre dimostrato di essere più efficace. Certo, Santori non ha problemi a farsi denunciare, ma la maggior parte di persone che non possono pagare un avvocato andrebbero incontro a problemi gravi al suo posto. Per questo speriamo che serva a qualcosa.

E il ddl Magi?

Se passasse sarebbe sicuramente un passo avanti, ma il quadro politico sta andando in direzione opposta. È anche una questione di salute pubblica. Perché sono decine le patologie individuate dal ministero della Sanità stesso per i quali i medici potrebbero prescrivere la cannabis, ma il problema sta nel fatto che è troppo difficile procurarsela. Le ASL dovrebbero acquistarla all’estero perché lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, l’unico autorizzato a coltivarla e certificarla, ne produce troppo poca. Sono, quindi, tantissimi i pazienti che rimangono senza terapia e sono costretti a rivolgersi al mercato nero.

Qual è il modello di riferimento sulla cannabis del Lab57?

Sicuramente in Europa quello dei cannabis social club spagnoli, che hanno dimostrato di funzionare bene, nonostante tutti i limiti riscontati in fase realizzativa. Si tratta di associazioni non a scopo di lucro, i cui soci si redistribuiscono il raccolto, consentendo a persone che per motivi vari non riescono a coltivare cannabis di non rivolgersi alle narcomafie. Non è un modello di business e ha delle regole molto stringenti.

Perché il movimento antiproibizionista si è sgonfiato?

Perché la società è cambiata. Le crisi del capitalismo che c’erano negli anni 90 non sono quelle di oggi, in cui stiamo andando incontro a un collasso mai visto. Prima erano battaglie di libertà che avevano un loro senso, ma oggi servirebbe connetterle ad altre lotte ancora più urgenti come quelle per tutelare l’ambiente e contro le disuguaglianze e tutte le discriminazioni. La lotta intersezionale è quella che cerchiamo di praticare oggi, ad esempio decidendo di supportare col nostro intervento l’ ultimo Rivolta Pride di Bologna.
Le guerre stesse sono legate alle sostanze. Come il nostro amico giornalista free-lance Alessandro De Pascale ha spiegato nel suo libro “Guerra e droga”, non c’è conflitto armato dove non siano presenti ingenti quantità di stupefacenti sia per tenere alte le performance delle truppe che per finanziare la guerra stessa, le spese militari sono elevatissime e in perenne crescita, purtroppo, in tandem col traffico di stupefacenti.

Qual è la vostra attività principale?

L’informazione basata solo su evidenze scientifiche e interventi sul campo. Uno strumento essenziale per noi è il drug-checking, che permette in un tempo breve di rilevare la presenza di sostanze dannose, inaspettate o in elevata concentrazione. 
È un test rapido che consente di raggiungere contesti critici come raves illegali, grossi eventi legali, festival e street parades in cui chi fa uso di sostanze non potrebbe in nessun altro modo su quello che comunque prenderebbe. Ci sono diverse tecniche, ma quella che utilizziamo noi, che è poco costosa e abbastanza efficace, è l’analisi colorimetrica ottenuta attraverso l’uso di diversi reagenti liquidi che si colorano in pochi secondi solo se a contatto con determinate sostanze.
Negli ultimi anni sono divenute accessibili altre tecniche più precise e relativamente economiche, come lo spettrometro portatile a infrarossi, che presto potrebbe essere alla nostra portata.

Il drug-checking è legale?

È una pratica legale, perché non è mai entrata in nessun articolo di legge. Purtroppo però amministratori pubblici, titolari di progetti di riduzione del danno e di servizi sociali comunali e regionali spesso non vogliono utilizzarla per non essere esposti ad attacchi politici proibizionisti, che portano sempre voti facili a destra e non solo, come la storia della città di Bologna dimostra.
Le forze dell’ordine, infatti, non hanno mai avuto nulla da eccepire riguardo il Drug-checking, che noi per primi in Italia abbiamo iniziato a praticare in contesti pubblici dal lontano 1998.
 L’importante è che venga fatto con strumenti validati a livello internazionale e con finalità di tutela della salute pubbliche da personale formato, tutelando sempre la privacy delle persone.

Come sono cambiate le droghe da quando avete iniziato?

Rispetto a venti anni fa i tipi di sostanze in circolazione sono dieci volte di più. E sono molecole che necessitano di una conoscenza approfondita, perché potrebbero fare danni se assunte in maniera inconsapevole.

Qual è l’errore più comune che si fa nell’utilizzo di sostanze?

L’errore più comune è l’ignoranza. Ma non è una colpa, è una condizione in cui ti mette il proibizionismo.
Chi si fa male con le sostanze spesso lo fa perché si vuole divertire, non perché è dipendente o perché vuole uccidersi. Quello che capita più spesso è che le persone sbaglino i dosaggi o i mix, tipo con le pasticche, prendendone una intera che magari ha il triplo della dose, invece che un quartino. Se sapessero che c’è un massimo sopportabile, ne userebbero meno.
E poi in epoca social le fake news sono un grande rischio.
Ci sono però anche le persone che usano sostanze perché stanno male e sono costrette a rivolgersi al mercato illegale per autocurarsi. Quelle andrebbero aiutate invece che represse. E il sostegno psicologico è importantissimo, anche se praticamente non esiste a livello pubblico, perché i servizi psichiatrici di igiene mentale propongono e a volte impongono quasi esclusivamente trattamenti farmacologici.

Che rapporti avete col Comune?

Abbiamo pochi rapporti per lo più amministrativi perché ci è stata concessa tramite bando una piccola sede di 40 mq in via Marco Polo 21/8. Ma non abbiamo alcun finanziamento. Vista l’attività di utilità sociale del nostro progetto ci hanno fatto “la carità” di lasciarci un piccolo ufficio dopo che gli spazi più grandi del Livello57 e XM24 che avevamo sono stati sgomberati. Per la riduzione del danno siamo, infatti, anche dentro al coordinamento regionale dell’unità di strada e sono vent’anni che facciamo formazione in Italia in questi ambiti. Lavorando a gratis senza alcun aiuto pubblico.

Ma come a gratis?!

Sì. LAB 57 è stato finanziato dall’ASL i primissimi anni, dal ’98 al 2000 per lavorare nei contesti più underground, centri sociali, ecc. Poi nulla più.   tieni presente che Bologna è una delle città del mondo dove si spendono più soldi per la riduzione del danno, ma purtroppo noi siamo costretti a fare altri lavori per sopravvivere.
Sarebbe giusto, se non avessimo i titoli adatti, ma siamo educator* socio-pedagogic*, medic*, infermer*, chimic*, psicolog*, etc.. e guarda caso quasi tutti progetti che oggi lavorano con la riduzione del danno a Bologna e che ricevono finanziamenti dal Comune, sono passati dalle nostre formazioni professionali.
 E questo è incredibile. Così come divers* operator* cresciut* nel LAB 57 oggi lavorano stabilmente in quegli stessi progetti Rdd.

Quante persone siete?

Il numero è variabile perché appunto non c’è stabilità. Lo zoccolo duro ruota attorno alla decina. Ma per fortuna non mancano nuove energie, soprattutto dal bacino di XM24 e dalle occupazioni venute dopo.

Cosa dovrebbe fare, quindi, il Comune di Bologna per essere progressista sul tema delle droghe?

Quello che fanno altri comuni, alcuni addirittura governati dalle destre, come a Perugia, Torino, Genova. Quindi introdurre come pratica di tutela della salute pubblica il drug-checking. I rapporti di polizia, molto dettagliati sui sequestri, parlano chiaro: Bologna è una delle piazze dove circolano le sostanze più varie e noi possiamo testimoniarlo. Anche perché si spendono decine di ore nelle scuole per spiegare ai ragazzi come non farsi male con la droga, prevenire ecc. Ma se questi poi anche solo per curiosità iniziano a usare una sostanza illegale nessuno gli può dire se quello è un veleno letale oppure no. Non dico che i servizi in città non ci siano, ce ne sono moltissimi e tutti encomiabili, ma sono poco o nulla connessi tra loro e mancano di strumenti essenziali. E spendendo relativamente poco si potrebbero avere tecnologie all’avanguardia.
Dopo una sessione formativa sul drug-checking col Lab57, l’ ASL di Genova sta comprando uno spettrometro portatile a infrarossi, FTIR, che ha un costo di circa 20mila euro con incluse tutte le librerie internazionali delle nuove sostanze aggiornabili on-line. In questo modo si sgrava anche il lavoro degli ospedali o dei laboratori forensi che costano tantissimo.
Altro capitolo è quello dei servizi di Drop-in, ovvero strutture aperte 24 ore su 24 a bassa soglia per accogliere persone che hanno specificatamente problemi di abuso di sostanze, evitando ad esempio di abbandonare in strada siringhe usate. Ce n’era uno in via Paolo Fabbri, chiuso inspiegabilmente nel 2006. Da allora sono aumentate terribilmente le morti di overdose nell’area metropolitana di Bologna, morti che poi tornano utili per gridare all’emergenza e chiedere altri fondi straordinari, mentre al contrario un sacco di servizi essenziali sono stati di fatto smantellati. Di quattro SERT ne sono rimasti due ed è molto grave. Ovviamente l’ASL ha le sue colpe, ma sono ambiti in cui anche il Comune ha enormi responsabilità.

Nel frattempo però per fortuna ci siete almeno voi…

Certo, cerchiamo di fare rete e condivisione di esperienze sia con realtà autogestite, sia con tutti i progetti e reti istituzionali che si dimostrano attenti a rispondere adeguatamente ai bisogni delle persone, oltre i pregiudizi. Abbiamo un canale telegram dove chiunque può scriverci per chiedere informazioni, supporto, drugchecking e avere la certezza di tutelare la propria privacy. Oppure basta mandarci una mail 
https://lab57.indivia.net/contattaci/