Indovinare a partire dall’abbigliamento l’appartenenza di una persona a una sottocultura musicale è un gioco “antico”, che ha attraversato decenni di lifestyle, in un rincorrersi perpetuo tra generi (musicali) e mode (stilistiche). Di solito si tratta di cerchie ristrette o micro gruppi, alle volte però il “contagio” diventa generazionale e fare l’indovino non ha più senso, perché la percentuale di risposte esatte è di 10 su 10. Adesso ci ritroviamo esattamente in questa situazione, con la trap (nella sua accezione più ampia) a fare da colonna sonora trasversale per le orecchie più fresche – e non solo quelle. Gli artisti si seguono su Instagram, le canzoni si trovano su Youtube e Spotify, ma quando c’è da incontrarsi e ballare si fa tutto alla vecchia maniera, in carne e ossa, e ci si ritrova al Goa, il venerdì, quando Marco G. e Mr.Kite accendono la consolle di Touch The Wood.
Ormai sono passati un paio di anni dal vostro decennale e di storie da raccontare immagino ne abbiate tante. Iniziamo da quella del vostro incontro.
Ci siamo conosciuti tramite forum musicali e ci siamo incontrati appena diciassettenni in un pub della periferia di Roma. Avevamo entrambe intenzione di spaccare e nel corso degli anni ci siamo riusciti. In questo Roma ci ha aiutato tanto: è la nostra cornice perfetta.
Ascoltavate molta musica in quei primi anni di amicizia? Che cosa?
Motown, soul, northern soul, early disco, brit pop, beat, psichedelia e hip hop della golden age.
Quando e perché avete deciso di dar vita a una serata?
Tanti dei nostri amici avevano delle band e anche noi suonavamo, ma a Roma mancava qualcosa di innovativo per far incontrare persone e addetti ai lavori. Un party, una sede, un po’ quello che era lo Studio 54 a N.Y. o l’Hacienda di Manchester. Così abbiamo pensato di creare Touch The Wood.
A proposito, qual è la storia di questo nome?
Non ne abbiamo mai svelato totalmente l’origine, ma possiamo dire che siamo più che scaramantici e affascinati da sempre dalla cultura british. Abbiamo utilizzato il “tocca il legno”, con il “the” rafforzativo per dare quel senso di unico al nome.
Qual è il racconto dei primi party a firma TTW?
Abbiamo iniziato nel 2007 negli store, sia di periferia che del centro. Poi abbiamo girovagato in diverse sedi con eventi una tantum, fino ad arrivare ad avere la nostra prima residenza settimanale al Radio Cafè di Via principe Umberto. Il nostro party era (ed è) di stampo indie e underground, sempre alla ricerca di nuove scoperte e senza mai tralasciare il passato, che è la chiave fondamentale di questo lifestyle che abbiamo tirato su.
Il grande salto per TTW c'è stato nel momento in cui si sono aperte le porte del Goa. Innanzitutto voglio chiedervi com'è nata l'idea di rivolgervi a questo club, visto che è da sempre connotato da un clubbing di derivazione house e techno, quello da four to the floor per intenderci.
Sentivamo la voglia di fare qualcosa di più grande per la città più bella del mondo: Roma. In accordo con il nostro guru di sempre, Giancarlino, e spalleggiati da Ice One, un altro maestro, siamo approdati al Goa nel gennaio 2013. La serata “di prova” fu insieme a Lady Coco e alla rapper inglese Shystie. Andò molto bene, anzi, fu una figata assurda! Da lì si aprirono le porte del club: prima mensilmente, poi con un nostro party tutti i weekend.
Qual è stato il vostro stato d'animo prima e dopo quella serata di debutto?
Prima dell’inizio è stato pessimo. Pensare che in quella consolle avevano suonato mostri sacri della musica ci faceva tremare le gambe. Dopo abbiamo avuto un bel senso di sollievo: era andato tutto bene ed eravamo soddisfatti del risultato.
Insomma, nei confronti di un club storico avete provato un bel po' di quello che si suol dire timore reverenziale.
Eh sì. Dobbiamo confidarlo: ansia, tremori e conati di vomito sono stati i sintomi dei primi 2/3 anni all’inizio di ogni serata!
Qual è stata la risposta del club rispetto alla vostra proposta?
Molto positiva: le persone non aspettavano altro. Proprio in quel periodo M.I.A., Diplo, i primi Migos e A$AP Rocky iniziavano a droppare quelle tracce che ormai sono un culto all’interno di TTW.
L'essere diventati un appuntamento pressoché settimanale ha cambiato il vostro modo di lavorare?
Tendenzialmente no, abbiamo la stessa attitudine che avevamo all’inizio, la stessa voglia di fare. Ora ci sono solo molte più cose a cui pensare e molte più persone nel team di lavoro: il “TTW MAIN”. Le soddisfazioni sono aumentate, ma la fame rimane la stessa.
Come scegliete i vostri ospiti? Immagino che siano tutti artisti che vi piacciono, quindi la mia domanda è più sulle dinamiche di booking, che sono consolidate per quello che riguarda il mondo house e techno, ma me le immagini molto più eteree nel mondo della trap e dell'hip hop. Ad esempio, vi capita mai di contattare direttamente gli artisti ospiti?
Sì, capita spesso di contattare direttamente gli artisti, anche perché molti sono ormai amici. Si può quasi dire che molti rapper provenienti da Roma sono nati e cresciuti all’interno della Scena. È una bella sensazione. In generale, gli ospiti li scegliamo secondo i nostri gusti, ascoltando nuove uscite, setacciando nel web e nel mondo: prendiamo quello che ci piace e lo portiamo a Roma!
Sempre parlando dei vostri ospiti, sono decisamente bilanciati tra nomi italiani ed esteri. Che differenze notate tra gli uni e gli altri, specialmente per quel che riguarda le selezioni musicali, l'attitudine al party, il rapporto con il pubblico?
L’attitudine è la stessa, forse gli artisti stranieri rimangono meno composti, ci danno più dentro. Generalmente si divertono tutti, anche perché a noi non piacciono quegli artisti che vengono a fare il compito…
Con chi preferite lavorare tra i due?
Entrambi. È sempre un piacere scambiare idee ed opinioni con persone del mestiere. In un modo o nell’altro, hanno sempre tutti dei begli aneddoti da raccontare.
Spostiamoci sulla musica. Che cos'è per voi la trap?
Il termine si è un po’ sdoganato da quello che rappresenta davvero. La trap per noi è la musica che abbiamo iniziato a pompare dal 2010: tracce strumentali di producer americani e inglesi con drop molto rudi e basi elettroniche da 140 bpm. Se poi vogliamo parlare della trap nella sua accezione sdoganata, allora parliamo di quello che noi chiamiamo hip hop new school, ovvero brani formati da una base scritta da un producer e dalle parole di un rapper. Siamo fan di entrambe i generi e ci teniamo a dire che siamo stati i primi a mettere insieme tutto questo, fin dagli albori.
C'è stato un brano, o magari un artista, che vi ha avvicinato a questo genere?
Sicuramente il signor A$AP Rocky e il suo collettivo, la A$AP Mob. Per noi sono stati dei grandi pionieri, così come chi ha buttato le basi: i vari Kid Cudi, Dizzee Rascal, Santigold, e producer come Hucci, Hudson Mohawke o Diplo.
Se doveste elencare cinque artisti che per voi riassumono alla perfezione tutte le sfumature di questo genere, quali sarebbero e perché?
Skepta: in un panorama musicale dove i riflettori erano principalmente puntati sugli Usa, ha attirato tanta attenzione su di lui e sul Regno Unito. Migos: con “Yung Rich Nation” hanno stravolto le regole della musica hip hop. Diplo: è stato uno dei pionieri del movimento, nonostante le sue ultime produzioni strizzano un po’ troppo l’occhio al mercato mainstream. Travis Scott: con l’album “Astroworld” e le produzioni di gente come Tame Impala ha dato un tocco di qualità, diversificando e facendo conoscere anche in modo aperto le origini del genere. Ketama126: in Italia, e soprattutto a Roma, ha inserito gli strumenti analogici, l’attitudine e le chitarre del grunge in un genere per molti impensabile.
Condivido con voi due riflessioni di questi giorni. La prima è questa: l'impressione che ho è che l'immaginario trap nel mondo anglosassone (Usa e Uk) sia quello da “generazione internet”, in Italia invece sta assumendo i tratti di un immaginario più incattivito, da “generazione periferia”. È una lettura corretta secondo voi? Se sì, in quale dei due vi identificate di più?
Possiamo dire che ognuna delle due letture non esclude l’altra. Entrambe coesistono e convivono: non ci sentiamo di associare nettamente il mondo anglosassone con la generazione internet e l’Italia con la generazione periferia. Anzi, mai come in questo momento siamo quasi al livello del mondo anglosassone. Dovendo scegliere tra le due, sicuramente ci identifichiamo nella generazione internet, cosa che riscontriamo anche nel pubblico che viene alle nostre serate.
La seconda è questa: la trap è sicuramente un genere generazionale, nonostante questo in Italia, oltre a TTW, ci sono poche serate di riferimento consolidate, alcune delle quali, tra l'altro, le avete anche ospitate di recente, come Flexin di Bologna e Hotline 075 di Catania. È così oppure c'è un sottobosco molto più esteso che ancora non è venuto alla luce?
C’è un sottobosco molto più esteso: ci sono tante realtà che si danno da fare, ma non hanno la nostra stessa visibilità, venendo da ambiti più provinciali ed essendo agli inizi. Sono sicuramente realtà più piccole, che però apprezziamo e rispettiamo molto. Grazie a internet è tutto molto più facile ora.
All'estero, diciamo in Europa, com'è la situazione?
L’Italia negli ultimi anni ha prodotto davvero tanto, nessuno era mai arrivato a vendere la “nostra” musica con picchi da classifica come hanno fatto i vari SferaEbbasta. Questa generazione, anche grazie a internet, si è evoluta ai livelli delle altre città europee, quindi possiamo dire che non abbiamo più niente da invidiare, come magari invece accadeva nei decenni precedenti. Dal punto di vista del clubbing, possiamo dire che un club completo come il Goa, sia per esperienze personali che da feedback continui degli artisti che ospitiamo, non esiste. L’impianto, la direzione, la precisione: ogni cosa ci aiuta tanto e ci permette di essere il termometro della situazione attuale.
Chi si imbatte in TTW prima o poi ha a che fare con il termine Scena. Cosa significa per voi?
Ogni venerdì raccogliamo tantissime persone che vogliono conoscere questa super ondata musicale e stilistica, di quelle che non se ne vedevano da tempo. Ecco, per noi tutte le persone che arrivano e si radunano sono la SCENA. Siamo i Mods del 2020!
Lo stesso discorso vale per un altro termine più divertente, matusa, che alla generazione precedente – la mia per intenderci - è arrivato come eco degli anni 60/70.
Innanzitutto ci teniamo a precisare che tu sei escluso dal termine matusa! Essendo molto amanti dei 60s, abbiamo riproposto il termine matusa per indicare quelle persone troppo puriste, che odiano stare al passo con i tempi e non sanno riconoscere la buona musica e il buon stile attuale, praticamente lo stesso che accadeva con gli attempati di 50 anni fa quando criticavano gruppi come The Who, Pink Floyd, Rolling Stones etc. Secondo noi sta succedendo un po’ la stessa cosa.
Torniamo al clubbing, qualche anticipazione sui prossimi artisti che ospiterete?
Sarà un mix tra internazionale e nazionale, non ci piace svelare troppe cose perché costruiamo parecchi contenuti su ogni singolo party. Possiamo però anticipare che stiamo lavorando molto sul party di chiusura stagionale: vogliamo che sia bello d’impatto.
Se doveste scegliere tre serate tra tutte quelle fatte finora, quali sarebbero?
Molto difficile sceglierne solo tre perché ognuna, a modo suo, ti lascia sempre dentro qualcosa di epico. Possiamo sicuramente dire che ricordiamo tanto la prima in assoluto al Radio Cafè, la prima in assoluto al Goa Club e il primo sold out.
L'artista ospite che avete più apprezzato fin'ora?
Facciamo una scelta fresca: 070 Shake, una tra le migliori performer che abbiamo avuto a Touch The Wood in assoluto.
Quello che prima o poi vorreste fare suonare?
A$AP Rocky, che rimane sempre underground, nonostante la sua popolarità.
Gli artisti che chiamereste al vostro festival ideale?
Diana Ross, Dr. Dre, Kaytranada, Mr Eazi, A$AP Rocky.
Contenuto pubblicato su ZeroRoma - 2020-03-01