Se adesso vi arrivano inviti su Facebook per visite guidate alla street art di Roma lo si deve anche ad Outdoor. Nato come festival sui muri di Ostiense e Garbatella, nel 2014 ha mutato pelle trasformandosi in contenitore indoor di arte e musica, formula confermata anche quest’anno all’interno degli spazi militari in disuso di via Guido Reni, che si apprestano ad ospitare – tra qualche anno – la Città della Scienza. L’organizzazine di Outdoor ha una firma, NUfactory, e in vista dell’opening del 2 ottobre abbiamo realizzato un’intervista con uno dei suoi fondatori, Francesco Dobrovich – gli altri membri attuali sono Antonella Di Lullo, Marco Della Chiara, Alessandro Omodeo – per parlare della storia di questo festival, dell’imminente edizione 2015 e di Roma (Nella foto a partire da sinistra: Francesco Dobrovich, Alessandro Omodeo, gli esserei di luce Sten&Lex, Marco Della Chiara, Antonella Di Lullo, un cane).
Zero: Iniziamo dalle presentazioni
Francesco Dobrovich: Mi chiamo Francesco Dobrovich e sono nato nell’ottobre del 1980.
Quando hai iniziato ad appassionarvi all’arte in generale e alla street art in particolare? C’è stato un fattore scatenante?
Da bambino ho avuto la fortuna di appassionarmi agli artisti più che all’arte. In famiglia ho avuto modo di frequentare diversi atelier e studi di artista: ho ricordi molto limpidi di quei momenti. Per quanto riguarda la street art, ho cominciato a credere che il movimento in città fosse davvero qualcosa di importante quando andai al primo International Poster Art.
Molti street artist hanno un passato da writer, lo sei stato anche tu?
Mai stato writer, ma qualche tag l’ho messa sotto i portici di Decima.
Che ricordi hai di quel mondo? Roma era un punto di riferimento, tra treni taggati e vere e proprie opere sparse qua è là: avevi qualche firma preferita all’epoca?
Io ricordo la metà degli anni 90 come un momento in cui chiunque scriveva, dalle mie parti c’erano diverse crew diramate nella periferia dell’Eur e con punto di riferimento centrale: il Fermatino a viale Beethoven. In zona i miei amici erano i KP, ma i numeri uno assoluti dalle mie parti erano indubbiamente i MDF con Panda a far da traino.
Puoi raccontarci la storia di NUfactory?
NUfactory non saprei dire esattamente quando nasce perché, in realtà, è figlia di un primo progetto chiamato Jolla’s Factory, messo in piedi nel 2001 con i miei amici di sempre Lillo e Jolla. Avevamo un programma su Radio Città Aperta e Jolla aveva la musica migliore tra noi, per questo lo eleggemmo a title track. Jolla poi partì e noi due pensammo di cambiare il nome in NUfactory, in quel momento ascoltavamo solo compilation comprate durante un viaggio (NUfunk, NUsoul, NUvattelapesca) e così prendemmo il nome attuale. La nostra prima uscita ufficiale la facemmo il 29 aprile del 2006, all’Angelo Mai, festa memorabile, gira voce ce ci sia ancora una ragazza (oramai ex) nella chiesetta di via degli Zingari che chieda di non abbassare al musica. La cosa che mi fa sorridere è che si trattava di un evento in perfetto stile NU, una sorta di anticipazione di quello che è Outdoor ora: tanta arte visiva e tanta musica. Questo perché abbiamo sempre creduto nella crescita di un pubblico diverso, che amasse la contaminazione, semplice e genuina.
E invece Outdoor, quando e come è nato?
Outdoor è nato a Decima (il mio quartiere) a casa di Andrea (il mio amico di sempre) che ci prestò il salotto per una riunione su un bando. Eravamo io Lillo e Rob Scop, appena rientrati da Scala Mercalli, che non ci era piaciuta. «Facciamo una mostra di street art vera (…) è arrivato il momento, facciamola sui palazzi di Garbatella (…) facciamo l’International Poster Art a Garbatella, chiamiamo Sten&Lex e chiediamogli se ci stanno (…) chiamiamone altri tre, facciamo tutto in bianco e nero però (…) facciamo una bomba a mano (…) tutti avranno ‘na percezione nuova de ‘sta robba dopo ‘sta mina (…) tuo fratello è connesso, facciamoci una skypata al volo. Pronto Christian ci sei?»
Che ricordi hai della prima edizione di Outdoor? La difficoltà più grande e la soddisfazione maggiore?
La difficoltà più grande è stata farci assegnare il finanziamento che avevamo vinto, la seconda prendere l’occupazione di suolo pubblico, la terza passare 15 notti su via dei Magazzini Generali dopo che Stefano Coffa ci commissionò l’intervento sulla via. Una grande fatica di tutti, nostra e degli artisti che fecero un’impresa mai vista prima in città. Ricordo C215 che aveva terminato il suo lavoro ed era con me in basso a bere una birra, mi disse «Guardali (gli altri ancora sull’elevatore) questi sono street artist, la vera differenza tra uno street artist ed un artista contemporaneo è nella generosità, guardali che culo che si fanno, lo fanno per la città». La soddisfazione più grande fu di aver realizzato qualcosa di mai visto prima e di aver cambiato la scena, non so se in bene o in peggio, ma di aver posto un’asticella più in alto.
Come andò al livello istituzionale la prima edizione? Immagino che andare ad illustrare un progetto che preveda opere su muro permanenti in un ufficio comunale sia stato come una telefonata in galleria…
In realtà andò tutto incredibilmente liscio, non chiedemmo di fare opere permanenti (a parte la commissione su via dei Magazzini Generali) ma interventi di poster. Io sostengo che nessuno abbia realmente capito cosa avevamo scritto nel bando.
L’anno scorso (2014) Outdoor ha cambiato pelle e invece di un percorso itinerante tra i muri di un quartiere sì è spostato in un singolo spazio, abitato di opere e altri contenuti per un tempo determinato: com’è maturato questo cambiamento? Immagino sia stato l’incontro tra un’evoluzione che comunque avreste voluto fare e un’opportunità, relativa allo spazio dell’Ex Dogana, che avete colto.
Lo spazio della Dogana è stato frutto di una ricerca di due anni, perché quest’idea di spostarci all’interno volevamo realizzarla già nei Mercati Generali nel 2013. Poi in una fabbrica di sapone e infine nel luogo che ha accolto la quinta edizione: la Dogana. Lo spostamento per noi è stato vitale, non avremmo continuato a produrre un festival, che è stato pioniere (nel 2010) a Roma, senza raggiungere un nuovo traguardo. Dopo 5 anni il cambiamento era d’obbligo. A Roma, come in tutta Italia, oggi fare interventi pubblici è molto semplice, crediamo che questo sia uno standard che annoierà e non vogliamo essere noi i primi ad annoiare il pubblico visto che il nostro intento è sempre quello di seguire nuove strade. Per chiudere posso riallacciarmi a quanto detto prima: questo Outdoor mi ricorda molto i primi interventi di NUfactory, questo mi fa sentire a casa.
A proposito, potete raccontarci come siete venuti “in possesso” degli spazi dell’Ex Dogana? Potrei sbagliarmi ma prima di Outdoor non credo ci siano stati eventi al suo interno: si è trattato di una novità per tutto il pubblico
Noi stiamo perseguendo una linea: per noi Outdoor ha come obiettivo la promozione del cambiamento della città attraverso l’arte e la cultura. La Dogana è uno dei siti che rappresenteranno il cambiamento della città, ci auguriamo una città nuova e più vitale, con servizi prima di tutto, dove l’arte e la cultura si insedino in maniera naturale nei processi di trasformazione strutturale e morale della città. Come ti dicevo, è una ricerca che parte dal 2012/2013.
Quando è nato Outdoor 2015? Ovvero, quando avete intravisto la possibilità di realizzare il festival nelle Ex Caserme di via Guido Reni?
Outdoor 2015 è nato il giorno del closing party 2014, il 25 ottobre.
Cosa avete pensato appena siete entrati a vedere questi spazi, molto più grandi di quelli dell’ex Dogana?
Che avremmo potuto fare un’altra edizione del festival a Roma.
Entrando nello specifico dell’edizione 2015 di Outdoor: puoi raccontarci i suoi contenuti? Quali sono le differenze e le novità rispetto alle edizioni precedenti e, in breve, cosa vedremo?
Le novità di questa edizione possiamo sintetizzarla in pochi punti: un ruolo centrale della musica, sia nel percorso espositivo, che è stato
sonorizzato con tracce inedite, sia nella programmazione degli eventi, con artisti di primo piano come: il fondatore della Bunny Tiger Sharam Jey, Dream Koala, Ghemon, Cabaret Contemporain, Mental Overdrive, Retina, Dusky e Hunter/Game; l’apertura a contenuti di approfondimento come Italianism – conferenza a cura di Renato Fontana sulla cultura visiva contemporanea – e Playground, il padiglione curato da Red Bull BC One che porta dentro la cultura hip hop e nel mondo della breakdance; un network di partner culturali sul territorio che rende Outdoor sempre più un festival della città e per la città: Spring Attitude, L-Ektrica, WoooW e Smash!.
Non vi chiediamo se tra gli artisti di questa edizione c’è un vostro preferito, ma possiamo chiedervi se c’è qualche artista al quale prestare particolare attenzione, magari perché poco conosciuto, o a qualche opera, magari perché custodisce dei dettagli che richiedono uno sguardo più attento?
Io ti direi: occhio alla stanza gialla!
I vostri vicini di casa quest’anno sono Maxxi e Auditorium: avete avuto un dialogo con loro?
Certo, con il Maxxi abbiamo stretto una partnership culturale e di promozione delle nostre attività. È proprio al museo di via Guido Reni che abbiamo presentato a luglio l’edizione 2015. Sia con il Maxxi che con l’Auditorium, in particolare con la Festa del Cinema, abbiamo una promozione sugli ingressi, il pubblico di Outdoor ha diritto ad un ingesso ridotto al Maxxi e alla Festa del Cinema, e viceversa.
I rapporti con il vicinato di quartiere invece come vanno? L’anno scorso a San Lorenzo ci furono un po’ di discussioni…
Flaminio è un quartiere più abituato al cambiamento grazie alle recenti trasformazioni che hanno dato alla luce il Maxxi e l’Auditorium. Fino ad ora rapporti molto distesi con il territorio.
Hai un po’ nostalgia di Ostiense?
A me manca solo Decima!
Come giudichi Roma? È un terreno fertile per eventi come questo e per la cultura in generale? Il punto di vista di NUfactory è importante, dal momento che ne eredita e abita fisicamente, anche se temporaneamente, delle parti.
Roma è una città incredibile, fai 5 km e cambiano totalmente gli scenari, il pubblico, i cittadini. Credo che la mancanza di un trasporto pubblico efficace ci permetta di vivere in un agglomerato di piccole realtà, con centralità a macchia di leopardo. Questa situazione porta ad avere scene che si esprimono su centralità specifiche.
Mancano oggi i grandi appuntamenti di tutti, che rafforzano il senso di appartenenza ad una città grande: manca il Sónar, manca Artissima, mancno quegli appuntamenti che scaldano gli animi e fomentano le scene
che aiutano a formare squadre che vogliono spaccare il Mondo e portare in alto la città.
Io dico spesso che la ripresa (culturale e non) di Roma passerà attraverso la riqualificazione di spazi dismessi come queste caserme, visto che costruirne di nuovi è quasi impossibile. Che ne pensi? Come si risolleverà Roma?
Io a Roma ci sono nato e forse ci morirò, credo che la vedrò sempre per quella che è, anche se godo di un ottimismo sfrenato, addirittura a volte penso che il Laziali–Giardinetti faccia un gran bel servizio! Utilizzare spazi in disuso è sicuramente una buona chiave per mettere l’accento sul cambiamento, per permettere alla città di accettare che può esserci un futuro diverso, fatto di modernità. Roma per me si solleverà solo se la smetterà di dirsi che è la città più bella del Mondo, ma che è invece il caso di cambiarsi il vestito.
Per quello che riguarda la street art a Roma, siamo passato negli ultimi 5 anni da 10 a 100: troppo o troppo poco ancora? C’è rischio inflazione (e concorrenza)?
Roma oggi è riconosciuta come una città di riferimento sulla scena nazionale ed europea, ma nessuno già da ottobre 2015 si stupirà più di una facciata di un muro realizzata da un’artista, neanche se sarà alta 32 piani. Una città non guarda indietro, ma deve guardare avanti, soprattutto se è una capitale.
A proposito: nel 2015 si dice street art o urban art?
Si dice arte.
Un artista di Roma su cui puntare in futuro?
Tommaso Garavini.
Un artista che prima o poi vorresti portare ad Outdoor?
Damien Hirst.
Tra tutte le opere che sono state realizzate nell’ambito di Outdoor, ce n’è una preferita o qualcuna a cui sei più legato?
Wall of Fame di Jb Rock e Paesaggio di Sten Lex
Un luogo di Roma “proibito” dove vorresti realizzare un’edizione di Outdoor?
In Vaticano.
Un bar e un ristorante che ti paice frequentare quando non sei al lavoro?
Lo Yeah! al Pigneto, Da Shekspeare & Co. sotto casa, il Bocciodromo in zona da me, San Calisto, Il Big Star.
Stai già pensando ad Outdoor 2016?
Sarà record del mondo dei campionati mondiali dei paesi dell’arte delle strade del pianeta olimpico!