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Paola Capata

Un grande amore per Roma. Paola Capata, già collaboratrice di Zero, romana doc, animatrice culturale e fondatrice di Monitor, dal 2003 una delle galleria di riferimento per l'arte contemporanea a Roma.

Scritto da Corrado Beldì il 21 ottobre 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

In pochi anni la galleria Monitor si è imposta come un riferimento per l’arte contemporanea a Roma. Oltre dieci anni di attività, due sedi – la prima vicino San Pietro la seconda, attuale, di fronte la Chiesa Nuova; tantissime mostre per altrettanti artisti di prim’ordine. Uno di questi è l’olandese Guido van der Werve, che il prossimo 28 novembre inaugurerà una nuova personale con un apertura straordinaria della galleria di 12 ore consecutive (dalle 10:00 alle 22:00 in occasione dell’opening. Ne abbiamo approfittato per intervistare Paola Capata, fondatrice della galleria.

Zero: Qual è la prima cosa bella che ricordi di Roma?
Paola Capata: Quando avevo otto anni. Mi ricordo piazza Cavour. Forse non era tanto per la piazza, ma per il fatto che io avessi otto anni.

Dove sei cresciuta?
Sono nata a Roma, ma cresciuta nelle Marche, a Senigallia. Poi, quando ero ancora una ragazzina, i miei si tornarono a Roma. A Primavalle, quartiere di assassini, muratori, violenze, sparatorie, del rogo dei fratelli Mattei. Mio padre e mia madre lavoravano insieme, nella loro piccola impresa di costruzioni.

Come hai scoperto le bellezze dell’arte?
È stato a diciotto anni, grazie ad alcune persone, in particolare Pier Paolo Di Mino, che oggi è un fantastico scrittore. Con lui studiavo storia dell’arte e cominciammo ad andare in giro per Roma per vedere tutto quel che c’era: palazzi, chiese, parchi, monumenti. Un giorno entrai in una galleria che aveva una mostra di collage surrealisti. Pensai: “Che figo lavorare qui e parlare d’arte con le persone”.

In quegli anni cominciasti a scrivere su Zero, vero?
Cominciai nel 1999, era uno dei primi numeri. Mi ci portò un’amica. Volevo prendere la tessera da giornalista, ma era una scusa per vedere e recensire mostre d’arte. Ricordo che feci una recensione della mostra di Titina Maselli alla Galleria Giulia. Una mostra piccola, ma molto ben fatta. Ne parlavo qualche tempo fa con Massimo Minini. Anche allora, pensai: “Vedi che figo avere una galleria?”.

Quando hai cominciato a lavorare nel mondo dell’arte?
A parte il percorso giornalistico, mi laureai in museologia e cominciai a fare carriera accademica. Feci anche uno stage alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna con Anna Mattirolo. Lavorai al primo concorso di arte italiana del MAXXI. Il museo non c’era ancora, ma allestimmo una mostra con opere di Bruna Esposito, Margherita Manzelli, Francesco Vezzoli, Mario Airò, Stefano Arienti, Alessandra Tesi e altri ancora.

Me la ricordo, era nell’unica caserma già aperta, sulla destra del piazzale.
Sì, una bella esperienza. Ebbi l’opportunità di allestire la mostra. Nel frattempo, facevo il dottorato di ricerca, ma nel 2003 decisi di aprire Monitor. Avevo ventotto anni.

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Un’immagine dalla prima personale di Rä di Martino alla Monitor, datata 2003

Come riuscivi a conciliare entrambe le cose?
All’inizio fu possibile, poi divenne più complicato. Pensa che quando feci la mia prima Liste nel 2005 (la fiera d’arte contemporanea di Basilea, ndr), dopo l’inaugurazione del giovedì sera presi un aereo e tornai a Roma per discutere, la mattina, la mia tesi di dottorato. Nel pomeriggio tornai a Basilea.

C’è una mostra in questi primi dodici anni di programmazione di cui sei particolarmente orgogliosa?
Direi quella di Guido van der Werve nel 2009. Eravamo entrambi molto giovani. Ci fu anche un quartetto d’archi che eseguì una sua composizione. Molto bello.

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Guido van der Werve impegnato in una partita a scacchi all’interno della galleria Monitor, con un’orchestra d’archi al seguito.

Cosa ci dici della tua esperienza a New York?
Ho aperto uno spazio per un anno. Ho fatto delle belle mostre. Ora la galleria si è trasformata in una residenza studio. Vorrei portare almeno tre artisti l’anno, con residenze di due mesi, per produrre lavori nuovi. Il prossimo artista sarà Tommaso de Luca e poi penso di chiederlo a Thomas Braida. Vorrei portare a Roma il risultato della loro residenza: non c’è niente che io possa realmente dare a New York, ma credo di poter dare qualcosa di tangibile a Roma.

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Lo Studio di Monitor nella Grande Mela.

C’è un artista a cui sei particolarmente legata?
Certamente, Francesco Arena: siamo cresciuti insieme e ci ho lavorato dal 2004. Tra noi c’è sempre stato una bella dialettica e un confronto importante. Vedi che brava? Nonostante non collaboriamo più assieme gli sto facendo un sacco di pubblicità…

Qual è l’artista con cui vorresti lavorare?
Mi piace moltissimo Ragnar Kjartansson e un giorno magari ce la farò. Ha un potere immaginifico gigantesco. Mi piace la sua costruzione dell’impianto filmico. Prodigiosa. Amo come concepisce il suo lavoro a livello corale, coinvolgendo diversi attori, ma con la capacità di mantenere un ottimo livello tecnico.

Un artista su cui scommettere?
Thomas Braida, è uno dei pochi pittori che ha una grande cultura pittorica e sa tutto della tradizione classica europea. Ha una capacità compositiva davvero fantastica!

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“Ex voto”, opera di Thomas Braida del 2014.

Un artista romano su cui scommettere?
Gian Maria Tosatti: è un artista che fa un bellissimo lavoro e soprattutto si prende sempre i suoi rischi. Tra quelli che hanno meno di quarant’anni, lui è quello che ha scelto di fare un lavoro splendido, ma difficilmente vendibile: per questo ha tutta la mia stima. Anche soltanto, lo devo dire, perché si sveglia ogni mattina e decide di continuare a fare il lavoro che fa.

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“L’Hôtel sur la Lune” di Gian Maria Tosatti.

Qual è stata la tua mostra preferita negli ultimi due anni?
In Italia la mostra di Mike Kelley all’Hangar Bicocca. Nel mondo, senza dubbio, il nuovo allestimento del Whitney Museum di Renzo Piano. Pazzesco. È il tipico esempio di come un paese deve puntare su quello che ha e rivalutarlo al fine di farne un elemento centrale dell’economia e della vita civile di una comunità.

E chi è il tuo artista preferito in assoluto?
Paolo Picasso perché ha fatto proprio di tutto e poi era un gran figlio di mignotta.

C’è un disco che ha cambiato la tua vita?
Round Midnight di Thelonious Monk: è stato un disco molto influente perché ha segnato la mia maturità intellettuale. Lo ascoltavo in continuazione. Poi purtroppo me l’hanno rubato insieme all’autoradio della macchina. Mi è rimasta solo la copertina…

Un film?
Difficile rispondere. Ne ho visti centinaia e continuo a vederne molti. Potrei dire Nostalghia di Tarkovskij, che in qualche modo ha cambiato la mia percezione delle cose. Però, citare un solo film è per me una semplificazione.

Un libro?
Tutto quello che ha scritto Cormac McCarthy. Non solo No Country for Old Men: di lui non mi sono persa una riga.

Parlando di Roma, pensi di aver migliorato qualcosa in questa città?
Se resto a Roma, con tutte le difficoltà, è perché credo nell’importanza del mio contributo. Ogni settimana portiamo gruppi organizzati di 40 studenti a vedere le nostre mostre. Le spieghiamo e approfondiamo il lavoro dell’artista. Mi piace pensare che fare questa attività, portata avanti per molti anni, possa a spostare in qualche modo l’attenzione della città per l’arte contemporanea.

Mi parli di una persona che sta cambiando Roma?
Una persona c’era, ma l’hanno mandata via. Devo dirti però che Roma non si cambia, tutt’al più si migliora. Il romano poi si piange troppo addosso ed è troppo spesso attento al perché una cosa è impossibile da fare.

Qualcuno che, invece, in questa città è un po’ troppo trascurato?
Siamo tutti trascurati. In pochi credono all’innovazione. Roma è di certo la città dei palazzi, dei lampadari, del parquet per terra, della vista su Piazza Navona. Però continuare a vederla solo così è un vero suicidio. Dobbiamo uscire dai soliti cliché: Roma può essere una città come le altre, un luogo dove se hai un’idea puoi farla e basta, senza lamentarti dicendo a tutti che è impossibile.

Qual è il tuo museo preferito a Roma?
La Galleria Nazionale d’Arte Moderna: è quello che secondo me dovrebbe essere un museo. Il museo d’Italia. Siamo deficienti a non renderci conto a sufficienza della sua importanza. Certo che abbiamo così tante belle cose. Ieri ero al Guggenheim di New York per la personale di Alberto Burri: tutti i lavori vengono dall’Italia dalla fondazione Burri, dallo Scudo, dai Maramotti…


C’è un luogo “proibito” di Roma dove vorresti fare una mostra?
No, ho già il mio.

Dove vai la sera a divertirti?
Confesso che mi piacciono molto le case e le cene, sempre con non più di cinque persone. Se devo incontrare qualcuno in un luogo, mi piace andare al Goccetto, enoteca storica in via dei Banchi Vecchi dove c’è una grande scelta di vini. Non amo i posti troppo fancy…

Quali ristoranti frequenti?
Mi piace moltissimo andare da Settimio, ristorante storico dove a pranzo s’incontrano politici della vecchia guardia e la sera attori e notai. Tipo l’altra sera c’era Isabella Ferrari. Per entrare devi suonare: se non gli va, il posto non te lo trova. Mi piace perché è un ristorante famigliare e i piatti ritornano con cadenza settimanale: gnocchi il giovedì, baccalà il venerdì… Un pezzo di storia del Centro.

Chi sono i tuoi amici?
Pochi ma buoni. Ilaria Gianni, curatrice che lavora per la Nomas Foundation. Abbiamo un bel rapporto, abbiamo fatto insieme Granpalazzo a Zagarolo. Poi c’è Davide Ferri, curatore indipendente che ci mette di tutto per fare accadere delle cose a Roma. Mi piace molto frequentare Adrienne Drake, mia amica e curatrice della Fondazione Giuliani. Purtroppo, non ho mai abbastanza tempo per gli amici. Altrimenti, nel tempo libero, vado al maneggio: sono molto amica dei cavalli.

Quali sono i colleghi galleristi che ammiri di più?
Alfonso Artiaco, Massimo Minini e Tucci Russo: i giganti di casa nostra.

Quali sogni hai per il futuro?
Vorrei trovare il modo di rendere più istituzionale Monitor. Sto pensando come. Poi ti confesso che mi piacerebbe fare politica: capire quello che ha bisogno la gente e cercare di realizzarlo. A pensarci bene, anche solo stare a Roma e portare avanti una galleria d’arte contemporanea è un atto politico e di amore verso questa città. Altrimenti chiudo la galleria e ricomincio a scrivere per Zero, che è la rivista più fica del Mondo!

Vai per chioschi o per gelaterie?
Ovviamente sì. Mi piace un sacco andare al Palazzo del Freddo Giovanni Fassi dove prendo sempre un cono gusto pistacchio e cassata siciliana. Poi mi piace da morire il grattacheccaro che sta vicino a San Pietro alla fine di via Gregorio VII.

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Che fai stasera?
Vado a cena dai miei, visto che non li vedo da venti giorni e poi domani mi aiutano a comprare casa ahhaahaha!

Dove?
In Abruzzo. Una parte d’Italia che amo, visto che Sting non ci è ancora arrivato e nemmeno borghesoni di Roma e Milano. Insomma, non ci sono i resort orrendi che hanno invaso la Puglia. Gli abruzzesi sono tosti: non ti fanno fare nulla a meno che siano progetti che si integrano con le bellezze del paesaggio. Ecco, forse mi hai fatto venire un’idea per il futuro…