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Cessiamo! O del bagno del Fanfulla come spazio d’arte

Domenica 19 gennaio è partito il progetto a cura di Jacopo Natoli e Nicola Rotiroti che porterà dodici artisti nella ritirata più famosa di Roma Est

quartiere Pigneto

Scritto da Nicola Gerundino il 22 gennaio 2025

Ok, Berlino ha HÖR, una delle piattaforme videomusicali più seguite e accreditate in ambito clubbing, che trasmette da un vecchio bagno pubblico con delle inconfondibili piastrelle gialle; ma noi, qui a Roma, abbiamo il cesso del Fanfulla, con il suo rivestimento rosso Ferrari altrettanto iconico, nonché l’unico bagno della Capitale – a mia memoria almeno – ad avere un proprio profilo Instagram: @ilcessodelfanfulla, per l’appunto.

Non solo, da gennaio 2025 i sanitari del circolo Arci di via Fanfulla da Lodi potranno vantarsi anche di aver ospitato un ciclo di mostre d’arte contemporanea e performativa: sei appuntamenti, per dodici artisti, tutti rigorosamente confinati nel luogo dei bisogni (e dei desideri). A immaginare questo folle esperimento, dal titolo inappuntabile, “Cessiamo – Cedere Non essere Amare”, sono stati Jacopo Natoli e Nicola Rotiroti, protagonisti anche della prima esposizione, rispettivamente con una performance e un autoritratto. Su questa pagina seguiremo per intero questo esperimento, pubblicando di volta in volta opere e pubblico “pisciante”, raccontando i lavori attraverso i testi critici a loro dedicati.

 

JACOPO NATOLI – “Non ti vedo ma t’immagino”

Pierrottismo lunaire: una cassa nel bagno del Fanfulla collegata ad un microfono bluetooth. Io nel punto pù alto possibile del Fanfulla. Quando le persone entrano in bagno, gli parlo.

Intervista a cura di Arianna Desideri*

Cos’é l’Altrə?
In parte di noi,
mancante,
cangiante,
alla ricerca di

Ruoli della festa: 
Divenire alterità, perdere e sprecare tempo, sorprendere, avere intimità, sudare (insieme), vicini-vicini, sacrificio del corpo, dimenticare il dolore, essere presenti, prendere/donare, vivere momenti liminali, ritualizzare, giocare, perdere le inibizioni, mascherarsi/truccarsi, bruciare, collettivamente distruggere, sentire, espulsare.

Perché festa: 
“Superorganismo infestante”

Perché psiconauta: 
Viaggiare senza muoversi

Una storia vissuta in un cesso pubblico:
Quando da bambino rimasi chiuso a chiave nel cesso del ristorante di mia nonna per ore con la paura di non poter più uscire e la vergogna di non saper aprire la porta

La cosa più intima condivisa con unə sconosciutə:
Dildo

Un atto violento: 
Deridere

Dove finiscono gli scarti?
Qui

Il liquido dell’abietto: 
La pioggia

Cosa reputi impuro?
La vita

Quando sei nudo?
Ci voglio bene

Un atto di cura: 
cucinare per

Una frase o un segno di un cesso pubblico:
Chiamami 3315430139.

*artistə rispondono alle domande dal cellulare, mentre si trovano in bagno

 

NICOLA ROTIROTI – “Mi rittratengo un po’”

L’autore  abita l’antibagno della toilette posta a sinistra del locale, con un suo autoritratto disegnato a pennarello nero su dei fogli di carta adesiva di colore rosso ed inserti bianchi attaccato  sulla porta interna del bagno. ;entre sulla prima porta del antibagno accompagna l’opera i versi di Anonimo Romano: una lode agli ardori, ai facili amplessi consumati nei bagni del Fanfulla.

Testo di Matteo Di Cinto 

L’opera “Mi ritrattengo un po’” di Nicola Rotiroti esplora il rapporto tra corpo, cultura e sguardo, partendo da una esperienza universale: la defecazione. L’autoritratto dell’artista, tracciato su carta adesiva rossa e bianca, raffigura il volto durante l’evacuazione, indagando i confini tra pubblico e privato, natura e cultura. Esposta nei bagni del Fanfulla, luogo simbolico di resistenza culturale, l’opera riflette su come l’intimità individuale si intrecci con l’agire collettivo. Rotiroti esplora lo sguardo in tre dimensioni: guardare, essere guardati, lasciarsi guardare. Se ci richiamiamo alle concettualizzazioni di Freud, Lacan e Sartre, possiamo osservare che l’opera evidenzi come il corpo, nello sguardo altrui, si trasformi in oggetto, esposto a un giudizio che ne limita la libertà. Nei bagni pubblici, dove l’intimità può essere violata, la vulnerabilità diventa metafora della condizione umana: la nostra identità non è mai autonoma, ma definita dallo sguardo degli altri. Come le feci, anche lo sguardo è un oggetto pulsionale che rivela la nostra fragilità e dipendenza. In questo gioco di specchi, Rotiroti ci restituisce un’immagine cruda e ironica della soggettività: un “ritrattenersi” di sguardi e pensieri, in cui la nostra animalità si confronta con la dimensione culturale. L’opera ci ricorda che siamo sempre al cospetto dell’altro, presenze fragili in bilico tra desiderio, vergogna e necessità di accettazione.

Foto di Massimiliano Rasori