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Eastetismi

Lo stile allucinato del fast beauty sommerso

quartiere Chinatown

Scritto da Federica Amoruso il 6 settembre 2021
Aggiornato il 20 settembre 2021

Foto di Lorenzo Arrigoni

Esiste una perifrasi, nell’italiano corrente, che è quella di “andare dal parrucchiere cinese”, che non si riferisce all’ “andare dal parrucchiere”. “Andare dal parrucchiere” disegna un micromondo linguistico arredato sia da pettegolezzi tipici del piccolo salone di paese che da artisti metropolitani del capello dai prezzi (giustamente) esorbitanti. Molto italiano.

Al netto di un chiaro sottofondo dispregiativo, la piega (sorry per il gioco di parole) che questo modo di dire ha assunto, “andare dal parrucchiere cinese” si avvia verso il processo di beatificazione, nuovo status di culto e sinonimo di figaggine. Chiariamoci, si parla di stile. Uno stile nasce nel sentire comune che si impossessa dei corpi allo stato solido e li abbellisce e muove nello spazio estetico liquificandoli, come un sudore collettivo impercettibile che cola dalla fronte degli eletti, dei fighi. E ci sono molti modi di sudare, ma pochi sono fighi, lo stile è una cognizione del sudore. 

Foto di Lorenzo Arrigoni

Nel baratro variopinto del mercato beauty del terzo millennio, capace con penetrante e scomodo successo di sfruttare e mercificare avamposti estetici degli universi DIY (vedi campagne beauty che spruzzano glitter sulle smagliature e spalmano rossetti da 200 euro sui denti), la nuova frontiera dell’antimercato del farsi belli non è la fricchettonata dell’usare l’olio d’oliva al posto dello struccante, ma tornare nelle strade, fisicamente, conoscere quei parrucchieri bistrattati e quelle meravigliose nail artist che sono riuscite, senza nemmeno padroneggiare la lingua dei loro clienti, a decifrare e realizzare i loro desideri e le loro necessità estetiche.

L’insostenibile leggerezza del kitsch che lascia spazio alla poetica del bubble tea.

Le fucine degli estetismi made in Sarpi sono prolifiche, operose, poliedriche e tentacolari, antri oscuri che operano le magie del massaggio estetico, hair salon caleidoscopici, negozietti bomboniera di nail-art. La loro pazzesca comunicazione, frettolosa in quanto funzionale si manifesta perlopiù con prespaziati di frasi scorrette copiaincollate da Google, porta interdimensionale per professionisti qualificati nel loro settore. Tutto molto sincero: l’artefatto milanesotto della cosa fatta male per essere bella, qua te lo scordi: è fatta così perchè funziona così, amen.

Foto di Lorenzo Arrigoni

Del resto, ci troviamo in Chinatown. L’estetismo in chiave funzionale attraversa orizzontalmente tutte le attività di quartiere, dai saloni di bellezza ai ristoranti, in modo compatto e univoco. In questi anni di navigazione rettilinea e frizzante, tra immersioni e boccate in superficie, sono rimasta innamorata di queste strade per lunico motivo per cui si resta innamorati: non le comprendo mai del tutto. E quando mi capita di afferrare qualcosa, tutto cambia. I ricconi appollaiati nei terrazzini di lusso sopra di me, gli scatarri e scazzi sonori attorno a me. Insomma, linsostenibile leggerezza del kitsch che lascia spazio alla poetica del bubble tea. 

Tracciare un profilo degli estetismi sinomeneghini è complesso, stiamo parlando delle strade più aesthetic della città, un ritratto inafferrabile a tinte forti che si rigenera e evolve grazie agli operatori del settore di questo crocevia di strade. Una cattedrale nel deserto in cui puoi fissare per i 30\40 minuti di piega decine di foto stock random di tagli per capelli scaricati da internet e appesi al muro. In uno dei centri di via Lomazzo è possibile ammirare riproduzioni di foto di gin tonic affisse ritmicamente tra gli specchi della parete principale.

Foto di Lorenzo Arrigoni

La mia personale tecnica di meditazione, la più intima e più efficace tra le tante sviluppate negli anni, consiste nel rileggere ossessivamente un poster tradotto male affisso davanti alla sedia del lavaggio di uno dei saloni del quartiere. Non dice assolutamente nulla ma richiede un enorme quantitativo di sforzo mentale, che mi drena e purifica mentre la mia testa giace incastonata nel lavandino. E quando sono lì, sono finalmente sollevata dall’onere di dimostrare una qualsiasi empatia con chi si sta prendendo cura di me, e in questo meraviglioso patto di silenzio e menefreghismo ci vogliamo forse, stranamente, veramente bene. L’ultima volta che ho dato una rinfrescata alla mia manicure, la sfortunata onicotecnica si è ritrovata a tirare schiaffetti, senza grandi giri di parole e convenevoli, sul dorso delle mie mani schizzate frenetiche e tecnodipendenti che cercavano il cellulare rovinando l’asciugatura dello smalto appena steso. Il paradiso di noi quasi ex punkabbestia debuttanti in società. L’allure della geisha, dell’archetipo asiatico di bellezza diventa un giocattolo divertentissimo per sentirsi un po’ diversi. Un innesto fantasy.

L’estetica trascendentale sarpiana dondola tra una piega super fast e un nuovo set di sopracciglia fiammanti.

Che l’integrazione passi dall’applicazione di un set di extension ciglia e una manicure è un pensiero sorridente per quanto semi utopico e banale. Di certo non rimane nulla se non che l’affidare il proprio corpo nelle mani dell’altro perché compia su di noi gesti così intimi e significativi, produce uno spostamento di confini, uno shift radicale e profondo. Quando ci vengono messe le mani addosso, scopriamo che quei confini che pensiamo e percepiamo tanto nostri, sono alla fine così tanto altri: ti sto dando il potere di modificare il modo in cui appaio, che è il modo in cui parlo e mi muovo.

Foto di Lorenzo Arrigoni

L’estetica trascendentale sarpiana dondola tra una piega super fast e un nuovo set di sopracciglia fiammanti, con la consapevolezza di avere il potere di fluidificare quei rapporti argillosi tra le botteghe cinesi del beauty e gli abitanti del quartiere. Sorrido nell’immaginarmi la sciura modello tirata a lucido nel suo giro di restauro settimanale che vaga in queste strade iper-meritocratiche, dove non fa nessuna differenza se sei quella figa, quella ricca o quella qualsiasi. Quando varchi la soglia del negozio, tutti ti toccano con la stessa vicinanza neutrale e lontana.  “C’è una energia relazionale che deve essere appresa, che deve essere educata poiché umana. Questo tipo di educazione è ancora assente nella nostra cultura.”, nell’Elogio del toccare di Luce Irigaray.

La priorità della forma sulla materia, così come dellanima sul corpo, è allorigine di un altro fenomeno di allucinazione urbana in parte propria di queste strade: la vasca di deprivazione sensoriale (non depravazione). Uno dei cosiddetti floating center, a cavallo tra l’esperienza estetica e quella meditativa ideomotoria, ha casa qui in via Procaccini. Un trattamento che mi ricorda per l’ennesima volta quanto ci piacerebbe riuscire a non pensare più a nulla per un po’. L’alternativa più valida al nullapensiero rimane quello spazio salvifico di osservazione degli incredibili interiori non-design dei saloni di Chinatown. Onestà schietta, prespaziati criptici, riservatezza tattile e l’eredità remixata di un immaginario lontano sono gli ingredienti che hanno creato negli anni un vero e proprio stile, patrimonio di chi ne coglie la funzionale leggerezza.