Short Theatre si conferma come una delle rassegne più vitali di Roma. E aggiungiamo più vitali in assoluto, perché il suo nocciolo teatrale è ormai contaminato da strati di musica, performance e arti visive. Tema di questa dodicesima edizione – come programmazione, sulla carta, una delle migliori tra quelle fin’ora viste – sarà Lo Stato Interiore. Cosa sia Lo Stato Interiore e come lo ritroveremo nei diversi spettacoli lo abbiamo chiesto a Fabrizio Arcuri e Francesca Corona, che ne curano la direzione nelle sue diverse ramificazioni: teatrale, musicale e di network. In questa intervista troverete anche il racconto di molti spettacoli, che sicuramente vi incuriosiranno e vi porteranno a sedervi in platea (l’appuntamento è dal 7 al 17 settembre, tra Macro Testaccio, Pelanda, Teatro India e altri luoghi ancora). Ad esempio, avevate mai pensato a ricostruire uno scenario post collisione con un asteroide usando delle paillette?
ZERO: Partiamo dal sottotitolo di questa edizione. Negli anni precedenti era prevalso un riferimento alla politica esterna, quest’anno si cambia direzione per andare a indagare Lo Stato Interiore, qual è stato il percorso che ha portato a questo cambiamento? O forse sarebbe meglio parlare di evoluzione?
Fabrizio Arcuri: Non so dire se si tratti di un cambiamento o di un’evoluzione, mi verrebbe da dire che sicuramente si tratta di uno spostamento di prospettiva. Credo che se si vuole capire quello che ci succede intorno bisogna predisporsi alla comprensione e al cambiamento. Bisogna mettere in discussione le nostre certezze e i nostri punti di riferimento, anche solo per riconfermare, poi alla fine, le nostre posizioni o darsi la possibilità di considerarne di ulteriori.
Cos’è per voi Lo Stato Interiore?
Francesca Corona: Lo Stato Interiore è per me lo spazio dove si consumano le scelte politiche più profonde, dove prendiamo le misure degli equilibri tra noi e gli altri. Uno spazio di resistenza, dove immaginare e mettere in pratica la nostra proposta di un altro mondo possibile. Uno spazio che è interiore, ma non propriamente intimo, nel quale la vita personale è il primo terreno dove fondare le proprie scelte politiche e collettive.
Fabrizio Arcuri: Credo sia avere la capacità di riparametrare il prisma attraverso cui guardiamo la realtà. Un prisma fatto di convenzioni, di gusti e di convincimenti, che però deve mostrare una capacità elastica al cambiamento. Quindi, verificare tutti gli strumenti che abbiamo raccolto nel tempo, con i quali leggiamo quello che succede e quello che ci succede. Una sorta di revisione del nostro sistema di lettura, un’anamnesi del nostro stato interiore.
Come sono legati tra di loro Lo Stato Interiore e quello Esteriore, più propriamente politico?
Fabrizio Arcuri: Credo che siano strettamente connessi: in fondo non è possibile riconoscere i cambiamenti se non si è predisposti a leggere tra le righe e a guardare le cose in modo neutro e senza giudizio, per coglierne gli aspetti più innovativi e per coglierne gli sviluppi e le derive. Credo che Lo Stato Esteriore, come lo definisci, sia la somma di tanti stati interiori.
Quello dello Stato Interiore è stato un tema difficile attorno al quale coagulare un insieme di spettacoli? Detto altrimenti, quanto viene indagato questo tema dalle compagnie contemporanee?
Fabrizio Arcuri: Come per ogni edizione, il tema nasce da un percorso di riflessione e di sguardo che accompagna la definizione del programma. E, come sempre, più che ispirare le scelte, vogliamo far nascere all’interno del festival la prima battuta di un dialogo. Gli spettacoli in questo modo diventano dei modi in cui gli artisti rispondono a questa sollecitazione. In scena, la questione dello Stato Interiore, per come lo abbiamo definito prima, si traduce sia nei temi che alcuni spettacoli affrontano – dalla felicità per Ana Borralho & João Galante al ruolo del corpo delle donne nella società in Be Careful di Mallika Taneja, alla raccolta delle eredità personali in Nachlass dei Rimini Protokoll – sia nella modalità con cui questi si svolgono, richiedendo allo spettatore di mettere in gioco la propria interiorità con un esterno. Credo che tutti gli spettacoli di quest’anno lavorino in maniera molto chiara sulla convenzione, sul patteggiare con lo spettatore in quale modo entrare in relazione con le questioni che vengono poste dai lavori. Nessuno spettacolo lascerà lo spettatore seduto a guardare qualcosa che gli viene rappresentato, ma gli chiederà di assumere una posizione diversa. Un modo di relazionarsi con il materiale originale e specifico di quella performance. Ogni spettacolo invitato tenterà di essere un’esperienza per lo spettatore.
Ce n’è qualcuno che meglio incarna questo tema?
Fabrizio Arcuri: Sicuramente Cinéma Imaginaire di Lotte van den Berg o l’installazione di Rimini Protokoll sono esemplificativi di un’idea di partecipazione, poiché lo spettatore è chiamato a essere interlocutore diretto e ad avere un rapporto uno a uno, paritario, con la performance. Aggiungerei poi Guerrilla di El Conde de Torrefiel e Trigger of Happiness di Borralho & Galante, che si fondano non solo sulla partecipazione ma anche sul coinvolgimento, come pure Anarchy dei catalani Societat Doctor Alonso che sarà, di fatto, determinato dagli interventi degli spettatori che potranno attivamente interagire con lo spettacolo.
Due degli spettacoli citati – e i rispettivi temi – secondo me possono essere considerati due punti cardine su cui costituisce Lo Stato Interiore: la felicità – ciò che si vuole raggiungere – e la paura – ciò che si teme e si vuole evitare. Mi riferisco a Trigger of Happiness e Nachlass.
Fabrizio Arcuri: Sì, sono due spettacoli che possono segnare un po’ due assi portanti del festival di quest’anno, per la loro differenza, ma anche per la loro anima che invece li lega: due spettacoli che sono due forme di rappresentazione diametralmente lontane – da una parte la performance viva e fragile di 12 ragazzi che per 6 giorni lavorano con il duo portoghese – e dall’altra l’installazione solida, netta, rigorosa, di un collettivo che sa sempre cogliere nel segno dei propri interventi artistici.
Per quello che riguarda l’interazione con il pubblico, ho letto che in Guerrilla ci saranno 80 comparse e anche Anarchy promette altrettanto scompiglio.
Francesca Corona: Molti degli artisti e delle compagnie che compongono il programma di Short Theatre 12 riflettono in modo radicale sul rapporto tra artisti e spettatori, in modo molto diverso tra un progetto e l’altro. Scompaginano la distribuzione di responsabilità tra chi fa e chi guarda, ridistribuiscono l’autorialità, oppure danno diritto di parola ai non professionisti, seguendo l’idea – cara alla cultura punk – del Do It Yourself. Gli 80 partecipanti di Guerrilla di El conde de Torrefiel, che con le loro storie personali modificano la drammaturgia dello spettacolo. I 12 ragazze e ragazzi romani che dopo una settimana di laboratorio con Ana Borralho e João Galante diventano gli unici protagonisti del loro Trigger of Happiness. I 40 spettatori di Anarchy dei catalani Societat Doctor Alonso che dal loro posto in platea imbracciano una chitarra elettrica amplificata e hanno il potere di interferire con lo spettacolo. Il progetto Margine di Ivana Müller che, ispirandosi alla pratica dei “marginalia” del XIX secolo, crea le condizioni per una pratica di lettura e di scrittura collettiva. Cinéma Imaginaire dell’olandese Lotte van den Berg in collaborazione con Deflorian/Tagliarini, è una vera e propria performance partecipativa e si basa su un assunto molto forte della regista stessa: «Per creare immagini forti non c’è bisogno di attori, registi e scenografie. Basta solo il coraggio di guardare».
Prendo spunto da questi ultimi due spettacoli per fare un punto su danza e performance all’interno di Short Theatre: mi sembra ormai che una divisione netta tra queste attività e il “teatro” sia ormai da abbandonare. I confini sono praticamente dissolti.
Fabrizio Arcuri: Credo che, in effetti, la divisione in categorie sia più una preoccupazione di chi ha bisogno di classificare e catalogare. Il genere è una distinzione superata, almeno nelle forme artistiche, così come nell’arte: gli artisti mescolano e fanno uso dei linguaggi in modo particolarmente disinibito, pensando più a come rendere al meglio i contenuti piuttosto che le forme. Utilizzano quella che altrimenti verrebbe definita la “grammatica” in maniera molto libera e senza limiti.
Quali sono stati gli altri spettacoli – immagino per lo più stranieri – che hanno richiesto molte energie per entrare nel cartellone 2017 di Short Theatre?
Francesca Corona: La scelta di invitare degli spettacoli che, a diverso titolo, interrogano e chiedono la partecipazione della comunità è una scelta che comporta la messa in campo di molte energie, soprattutto per far sì che questa relazione necessaria alla realizzazione del progetto sia reale, forte, profonda, in modo che non sia solo una risposta alla richiesta degli artisti, ma diventi un’occasione per sperimentare nuove modalità di lavoro e trovare punti di contatto inediti tra il festival e la città. Sicuramente, poi, dal punto di vista dell’impresa, Nachlass di Rimini Protokoll è il progetto più impegnativo del festival, e per farlo arrivare a Roma ne abbiamo condiviso la realizzazione con Romaeuropa Festival: anche questa, quindi, un’occasione per tracciare una relazione preziosa – e speriamo duratura – con un festival importante come Romaeuropa.
Quelli a cui consigliate di prestare attenzione, soprattutto perché il loro passaggio a Roma potrebbe essere raro se non unico?
Francesca Corona: Uno degli obiettivi di Short Theatre è quello far arrivare a Roma artisti che difficilmente trovano in questa città una possibilità per incontrare il pubblico, quindi non è facilissimo rispondere alla tua domanda! Provo comunque a nominare quantomeno chi arriva da più lontano: Mallika Taneja, una giovane artista di New Delhi per la prima volta in Italia con Be Careful, un testo che denuncia l’ipocrisia nascosta in una visione delle donne come vittime, portando alla luce le contraddizioni che stanno al centro dell’ancora lento progresso sociale in India. Fannie Sosa, attivista, artista e “curandera” di discendenza africana che curerà il workshop Pleasure Is Power dove propone diversi strumenti, teorici e pratici, intorno al concetto di “resistenza del piacere”. Da Austin (Texas) arriva CHRISTEENE – tra l’altro supporter dei tour mondiali dei Faith No More e di Peaches – guest della serata di chiusura del festival, organizzata con Amigdala: una terrorista drag che propone un imperdibile concerto trash punk che sarà sicuramente occasione di vivaci discussioni sul complesso e contraddittorio stato del Mondo.
Per la prima volta a Roma anche Dana Michel, performer di Montréal che ha appena ricevuto il Leone d’Argento alla Biennale di Venezia per l’innovazione nella danza, che in scena si fa carico del proprio stare al Mondo in quanto donna nera occidentale, provocando i luoghi comuni in cui restano impigliate le identità di chi vive ai margini. In ultimo, consiglio due presenze in qualche modo anomale e speciali. Sabato 9 settembre (ingresso libero) l’artista visiva e performer Gwendoline Robin presenta Cratère n°6899. Gwendoline Robin realizza progetti al confine tra scultura e performance che dialogano con la fragilità e il rischio. Attraverso reazioni chimiche misteriose tra sabbia, ghiaccio secco, trucioli di legno e paillette: si ricostituisce davanti agli occhi degli spettatori la formazione di un cratere dopo la caduta di una cometa sulla Terra e la mutazione del paesaggio che ne consegue. L’11 settembre (ingresso libero) presenteremo il film documentario Donna Haraway: Story Telling for Earthly Survival del regista e attivista italo-belga Fabrizio Terranova che ha incontrato la filosofa e ricercatrice Donna Haraway nella sua casa in California. Il film è il ritratto di questo tempo condiviso, una dichiarazione d’amore al pensiero straordinario di Donna Haraway. Si parla di intimità, di costellazioni familiari, di stati interiori. Una preziosa e imperdibile boccata d’ossigeno, un’imprescindibile guida a «Come raccontare nuovamente le storie, a come fare esistere delle forze deboli in un modo più potente e come far esistere delle forze troppo potenti in un modo più debole».
Quali saranno le altre prime, oltre a quelle citate nelle domande precedenti?
Francesca Corona: In collaborazione con il Festival d’Avignon e il progetto europeo SOURCE, ospitiamo in prima nazionale due Sujet à vif, storica sezione del festival avignonese in cui artisti appartenenti ad ambiti diversi sono invitati a sperimentare la possibilità – e il rischio – di un primo lavoro comune, della durata di mezz’ora: la coreografa francese Gaëlle Bourges con l’artista visiva Gwendoline Robin porteranno in scena Incidence 1327 venerdì 8 settembre, mentre la seconda settimana del festival ospiteremo la prima nazionale di (Untitled) Humpty Dumpty creato dalla coreografa Cristina Kristal Rizzo e dalla musicista Sir Alice (già cantante dei Nouvelle Vague). C’è poi Nacera Belaza, uno dei grandi nomi della coreografia internazionale con Sur le fil, dove le danzatrici, più che muovere il proprio corpo, muovono il loro stato interiore. Un invito a sperimentare una nuova forma di “controllo”, che permetta di abbandonarsi allo stato fluido delle cose. Chiudo con Alma Söderberg, coreografa, performer e musicista, nata e cresciuta in Svezia, che quest’anno a Short Theatre presenta due lavori, Travail e Cosas, e un concerto con il duo WOWAWIWA. Le due performance fanno parte di una trilogia nella quale Alma sperimenta un insieme di pratiche di voce e movimento, dove la danza è in continuo rapporto con la musica, i suoni, i ritmi. In entrambi compare come una unica performer in una scena nuda e minimale: Travail consiste nella composizione di un collage “sintetico” tra suono, azione e voce, in cui Alma utilizza drum machine, microfoni, amplificatori e sintetizzatori per trasformare e legare tra loro elementi espressivi diversi; Cosas, invece, ha una carattere più “unplugged” e il lavoro si concentra maggiormente sull’utilizzo giocoso della voce come strumento che altera radicalmente i significati.
Anche quest’anno avete confermato di poggiarvi su delle reti collaborative importanti e solide: una verso l’estero, una verso l’Italia, una che guarda all’interno, verso Roma. Chi sono i vostri partner di quest’anno e quali le new entry?
Francesca Corona: Lavorare in collaborazione e in rete con altre strutture, costruire relazioni con altre realtà è nello stesso tempo natura e obiettivo di Short Theatre. Il festival si nutre e assomiglia a queste collaborazioni, strumento di strutturazione, di messa in relazione di metodi e procedure, unione di forze. Per quello che riguarda l’estero, Short Theatre è partner di due progetti europei. Il primo è Fabulamundi. Playwriting Europe: obiettivo di questo network è sostenere e promuovere la drammaturgia contemporanea in Europa. La nuova edizione del progetto, con il sottotitolo Beyond Borders?, si svolgerà dal 2017 al 2020 in 10 paesi europei, con 15 partner fra teatri, festival e organizzazioni culturali in Italia, Francia, Germania, Spagna, Romania, Austria, Belgio, Polonia, Inghilterra e Repubblica Ceca, e con altri 8 paesi gemellati con il progetto e coordinato da PAV. Quest’anno, nell’ambito di Fabulamundi, Short Theatre ospita il progetto Guerrilla della compagnia catalana El Conde de Torrefiel, con il testo di Pablo Gisbert. SOURCE, invece, è il progetto del quale ho parlato poco prima e che ci vede coinvolti con Théâtre National di Bruxelles (capofila), il Festival di Avignone, Trafo di Budapest nel quale gli artisti invitati a partecipare si misurano con un formato breve di trenta minuti, aprendo uno spazio di possibilità e di rischio, in cui provare a far dialogare pratiche artistiche differenti.
A livello nazionale, cinque anni fa abbiamo fondato Finestate Festival, un network informale di festival insieme a B.Motion/Operaestate Festival Veneto (Bassano del Grappa), Terni Festival, Contemporanea Festival (Prato), Sardegna Teatro (Cagliari) e Triennale Teatro dell’Arte (Milano). Il network Finestate Festival è nato dall’esigenza di trovare nuove forme di collaborazione e favorire la circuitazione di artisti internazionali in Italia e di artisti italiani a livello internazionale. Santarcangelo Festival: la collaborazione tra i due festival esiste in via informale già da molte edizioni, mettendo in comune le proprie linee di ricerca e di scoperta. Quest’anno Short Theatre e Santarcangelo curano insieme parti delle rispettive programmazioni musicali e condividendo le proprie atmosfere al di là della geografia. Con, per e verso Roma: quest’anno si struttura in modo più chiaro e programmatico la collaborazione con il Fanfulla 5/a. Il Fanfulla ha già attraversato alcune delle passate edizioni di Short Theatre, ma quest’anno il magico e indispensabile club di Roma Est trova casa, accanto (ma anche dentro) la comunità diffusa di BAD PEACE, progetto nato lo scorso anno al festival con China e Leo Non degli WOW. Per Short Theatre 12 hanno creato insieme il programma SOMBRES TEMPS: un sit-in, un progetto residente negli spazi della Pelanda che è anche una radio e un programma di concerti quotidiani. Infine, Dérive è la piattaforma che dallo scorso anno collega Short Theatre l’emergente realtà romana Carrozzerie | n.o.t.. Per il prossimo triennio Short Theatre affiancherà poi Carrozzerie | n.o.t. nel sostegno agli artisti da loro selezionati tramite il bando ODIOLESTATE e le Residenze Produttive Professionali, riservandosi la possibilità di inserire i loro lavori all’interno della programmazione di Short Theatre. Una grande e ulteriore possibilità di monitorare e sostenere ciò che di più nuovo accade in questa città.