La cosa più sorprendente da scoprire è che spesso alpinisti e climber praticamente non mangiano, o mangiano pochissimo, per tutto il tempo di ascesa e discesa dalla vetta. Eppure arrampicare brucia un sacco di calorie, dalle 400 alle 700 all’ora, e se fa freddo anche di più, motivo per cui le palestre di climbing indoor sono state prese d’assalto negli ultimi anni anche dai semplici appassionati di fitness. Simone Moro, quando parte per le sue spedizioni sugli Ottomila, porta sempre con sé delle scorte di buon cibo bergamasco cucinato, imbustato e sotto vuoto, per le lunghe giornate al campo base, ma c’è da considerare che in parete non puoi correre il rischio di ritrovarti con lo stomaco pesante o peggio. E allora, se la maggior parte delle persone normali non riuscirebbe a stare tutte quelle ore senza mangiare nemmeno durante una sessione di binge watching su Netflix, come fanno climber e alpinisti?
Le barrette di cereali e frutta secca e in guscio spopolano tra i climber, che ora hanno scoperto anche i gel come quelli dei ciclisti; se hai in programma una giornata in compagnia da passare alla base di una parete alternando scalate, assistenza e relax, puoi portarti nello zaino una schiscetta con qualcosa di buono (ma mi raccomando, il pic-nic sempre a impatto zero: i rifiuti si portano sempre a casa!).
Ci sarebbe anche il foraging, che è la pratica di cercare cibo selvatico come fa il protagonista del film Captain Fantastic e che tanto piace a molti chef di oggi tipo quello del Noma di Copenaghen, ma se non vuoi finire come Chris McCandless di Into The Wild è meglio se ti limiti a qualche mora di rovo lungo il cammino di avvicinamento alla parete. Per le botte di fame vera ci sono sempre i rifugi, dove un piatto di polenta fatta bene lo trovi sempre, almeno in Italia.