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Gallerie e spazi indipendenti: guida alle nuove aperture di Milano

Aspettando Plutone

Scritto da Alessia Baranello il 12 febbraio 2024
Aggiornato il 13 febbraio 2024

studiohomeawareness

Dicono che il 2024 sarà l’anno di una presa di coscienza collettiva. Che Plutone, dopo una lunghissima permanenza in Capricorno, è passato in Acquario e ci rimarrà per vent’anni. Non succedeva dalla Rivoluzione Francese e, secondo molti, qualcosa sta già cambiando nel nostro modo di fare e di pensare al mondoConcepire nuovi modelli: questa sembra essere la parola d’ordine del 2024. E chissà che questo non possa applicarsi anche alla progettazione culturale.

Intanto, in città gli opening si accumulano e la settimana somiglia sempre di più a una maratona di tag che incorniciano le opere. E, anche se quello di essere sempre stanchi, di corsa e impegnati è stato un po’ un mantra autoprodotto per renderci appetibili in un settore come quello culturale dove il lavoro è tutto reputazione, forse anche noi “operatori dell’arte” siamo diventati davvero stanchi e, di conseguenza, più selettivi.

Se nell’anno appena trascorso sembra che gli uffici stampa non si siano mai chiamati per accordarsi sul quando e il come, se nelle collettive i curatori sono spariti per lasciare spazio al caos, se le personali di tanti artisti emergenti ci sono sembrate dei mausolei, possiamo comunque stare tranquilli. Perché tutto quello che non fanno gli altri, possiamo farlo da soli. Chissà, forse non ci serve più confidare in qualche miccia che sta per scoppiare, in minuscole fratture e “barlumi” di alternative, ma vogliamo di nuovo confidare in noi, in un lavoro lento, nelle comunità critiche che siamo in grado di costruire.
Per questo 2024, il mio piano astrale comincia da qui: da chi con una galleria, una mostra, un progetto, uno spazio no-profit ha capito questa cosa. E mentre aspetto Plutone, vi lascio con una mappa con qualche pianeta e stella: le nuove aperture che nell’anno passato hanno lasciato una scia luminosa qui a Milano.

SPBH Space
Via Venini, 26, 20127, Milano

Giorgia Zaffanelli e Bruno Ceschel sono un po’ sbadati ma ben coordinati, di quelle belle persone che ci tengono a farti capire quali sono le loro idee sul mondo, prima di raccontarti come si chiamano o cosa fanno. SPBH Space è il loro gioiello, un alessandrite capace di cambiare colore in base alla temperatura del mondo esterno. A ottobre 2023 sono stati tra i primi a proporre uno screening di film di registi e registe palestinesi che raccontassero la vita nella striscia di Gaza. E nell’ultimo anno si sono mossi tra tavole rotonde di discussione sul poliamore e workshop di cucito collettivo. Il punto è coinvolgere artisti che raramente lavorano singolarmente, quegli ultimi veri romantici la cui pratica – non solo artistica ma di vita – si basa sull’esistenza o la creazione di una comunità. La sensazione che si ha da SPBH Space è quella che l’arte possa servirci ancora per guardarci indietro e ripensare quello che – come umanità – abbiamo messo al mondo.

StudioHomeAwareness
Via Francesco De Sanctis, 2, 20141, Milano

StudioHomeAwareness è quella nota ibrida che ci vuole sempre: lo shock elettrico delle nuove tecnologie, la paura di quello che viene dopo l’arte. Ispirati dalle atmosfere berlinesi, Francesco Giannantonio e Leonardo Marchesini hanno creato – sui due piani di un ex mini-market – una galleria per la sosta, più che per l’esposizione. Industrial confort: l’architettura invita a sedersi e bere qualche birra, a stare nello spazio di fronte e con le opere, piuttosto che ammassarsi di fronte alle porte chiuse. Studio Home Awareness è casa, studio e consapevolezza: di come si seguono gli artisti emergenti, di come il commerciale può mettersi al servizio del realismo magico, confondendo i confini tra realtà e fantasia, permettendo agli artisti tutto quello che il sistema galleristico tradizionale non concederebbe. In un video su Instagram che lanciava l’apertura della galleria, l’art director e il curatore di si fingevano due ladri. Il loro crimine? Rischiare con formati espositivi originali, scommettere sugli artisti e seguirli fino alla fine, senza abbandonarli dopo la prima personale: tutte cose che negli spazi commerciali mancano da un po’.

EMM/ Ex Maglierie Mirella
Via Ponte Nuovo, 2, 20128, Milano

Quando il giovedì il resto di Milano fa un grand tour di opening, l’Ex Maglierie Mirella e i suoi compagni si comportano in maniera diversa. Si incontrano da Pinocchio, una trattoria in zona Ponte Nuovo, per scambiarsi idee, visioni, condividere percorsi in uno spazio che ha inaugurato la sua prima mostra a ottobre ma che si propone già come centro di cooperazione e aiuto reciproco. “Un editing popolare”: è così che i tre del collettivo fotografico Il Baretto raccontano un programma espositivo pensato sul principio del poco ma buono. Del negozio di indumenti a maglia diretto dalla signora Mirella, Giorgio Barbetta ha deciso di mantenere tutto: mobili e suppellettili degli anni Ottanta, nonché la configurazione originale dello spazio, con un soppalco al quinto piano nascosto da quinte teatrali. E in effetti quello di Mirella è uno spazio punteggiato da antichi camerini in legno, piastrelle decorate e vetrine retroilluminate: un piacere e una chicca per chi nelle mostre vuole ancora sperimentare con la messa in scena e con l’exhibition design.

Diana Gallery
Via San Calocero, 25, 20123, Milano

Diana* ha deciso di aprirsi a Milano con una mostra che è uno statement sulle intenzioni della galleria stessa. Non possiamo quindi non parlare di Reifiction* e del suo asterisco, se vogliamo capire qualcosa di più su questa nuova apertura in zona San Vittore. Si tratta di una personale di Sophie Jung, artista ormai conosciuta in Italia, grazie soprattutto alla sua ultima mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel foglio di sala, si scrive che Jung ha afferrato il demone del simulacro. Per farla più semplice, quest’artista assembla oggetti ritrovati e iper contemporanei in una maniera del tutto inedita, ben diversa dai collage o dagli assemblage degli artisti uomini del secolo scorso. Dal riuso del castello di Elsa di Frozen a un video di Cindy Crawford che fa ginnastica: Jung sovraccarica le sue installazioni di piccoli indizi e ti sfida a una caccia al tesoro del loro significato, fino a che capisci che il punto delle sue opere è proprio quello di raccontare una storia a metà, o meglio, tante storie in una. Tanti asterischi, appunto. Credo che questa sia anche l’idea dietro Diana: piuttosto che verità universali, questa galleria sono certa porterà a Milano tutte quelle attualità enigmatiche che ci sono sfuggite.

settantaventidue
Via Lodovico il Moro, 1, 4601, Milano

In zona San Cristoforo sul Naviglio hanno mixato un grande classico. Dalla tradizione internazionale, con tutti i check sui dettami dell’ exhibition design, settantaventidue arriva a parlarci di archivio: un archivio vivo, motorio e rumoroso. Questo è uno spazio tradizionale, rigoroso, che è la cosa più difficile dal punto di vista curatoriale. In corso due azzeccatissime rassegne: Nam June Paik e il suo TV CELLO nella Canal Project Room, e un’overview più generale del gruppo Fluxus con fotografie e opere d’archivio. La strada che settantaventidue intende battere è quella delle intersezioni tra arte e musica sperimentale, tra onde sonore e spazi espositivi. Un esempio: mercoledì 31 gennaio il Noiseless space – una piccola sala concerti contenuta tra le pareti di questo spazio labirintico – ha accolto un impianto sonoro progettato dal duo FUTURA_research, Giorgio de Vecchi e Giulia di Lenarda. Undici sound artists, tra cui Attila Faravelli e Nicola Ratti, hanno messo insieme le forze per realizzare una traccia collettiva, che pulsava attraverso architetture sospese di compensato e che ci ha tenuti a mezz’aria, in silenzio, per più di un’ora.

Fondazione Galleria Milano
Via Arcivescovo Romilli, 7, 20139, Milano 

L’ultima mostra che ho visto da Galleria Milano era la ricostruzione di una personale di Enzo Mari, Falce e Martello: tre modi con cui un’artista può contribuire alla lotta di classe, con cui Carla Pellegrini aveva sancito il trasferimento nell’ultima sede della galleria, quella all’angolo tra via Manin/via Turati, il 9 aprile del 1973. Nel 2020, quasi cinquant’anni dopo, la moltiplicazione di quel simbolo degli anni delle lotte mi era parsa inattuale, in modo del tutto consapevole e, perciò, commovente. Oltre a essere un omaggio del figlio Nicola Pellegrini alla sperimentale gallerista morta da un anno, la falce e martello modulata in supporti, scale e colori diversi, faceva pensare a come il tessuto culturale, lo spirito più profondo di Milano fosse cambiato in meno di cinquant’anni. La Galleria Milano ha sempre posseduto una certa agilità nel sovrapporre passato e presente in una forma di nostalgia riflessiva, piuttosto che restaurativa. La visitatissima retrospettiva su Mari chiudeva un ciclo per aprirne un altro: un viaggio che quasi tre anni dopo sembra pronto a compiersi, con l’inaugurazione della Fondazione Galleria Milano in zona Brenta. Due piani: quello inferiore dedicato all’immenso archivio storico che raccoglie la documentazione di più di mille artisti e oltre trecentocinquanta mostre, e quello superiore volto all’esposizione di nuove e vecchie promesse, con uno sguardo dalle vetrine sempre fisso sulla città di Milano, i suoi culti e i suoi eterni cantieri.

Una guida non esaustiva che si aggiorna e si aggiornerà. Nuovi spazi, nuove avventure e che Plutone ce la mandi buona.