Le coincidenze enfatizzano le sensazioni. Così proprio mentre ero a Lecce intento a lamentarmi con due miei studenti per avermi portato in un posto dove un panino “coi pezzetti” costa ben 5 euro – un luogo chiamato “Quinto Quarto” come quei rimasugli di carne, quelle frattaglie un tempo scarto da destinare ai poverissimi (appunto a quel “quinto quarto incollocabile”: gli ultimi) e oggi divenuto tanto attraente da poterlo usare come termine per così chiamare un nuovo locale; ebbene, durante la nevrosi dovuta alla circostanza mi arriva una mailing list della rivista Domus, dove fra le novità redatte appositamente per il Salone del Mobile posso leggere di una nuova pagina Instagram e di un conseguente hashtag #postisinceri: una pagina riservata alla catalogazione sistematica di una serie di trattorie e bar e circolini, e in generale di luoghi “sinceri” di Milano – appositamente selezionati.
Ricordo di una chiacchierata di qualche anno fa, l’interlocutore doveva essere Fanizza (un amico dell’autore, ndr): in cui fantasticavamo sul come la futura “mossa della gentrificazione culinaria”, se di questo si può parlare, sarebbe arrivata il giorno in cui lo stile (uno stile che però volontario non è, perché in principio dovuto alle condizioni meno abbienti e da queste scaturito), lo stile della trattoria casalinga, del quadrettato bianco/rosso, sarebbe iniziato a divenire di tendenza e per questo sarebbe stato imitato, così da essere utilizzato come riallestimento anche per i locali di nuova apertura.
Quel giorno credo sia arrivato, credo che la pagina Instagram @postisinceri, ma soprattutto l’attenzione che l’on-line di Domus le ha riservato proprio durante la Design Week – così come la guida apparsa sulla stessa rivista su cui sto scrivendo, chiamata “Le trattorie di una volta” – preludano a tale “fine di tutto“: in cui anche di quei luoghi più grezzi e sporchi ne verranno scollati i “rivestimenti e l’immagine”: l’iconografia, gli archetipi e gli stilemi, così da poterne “rivestire” locali completamente nuovi e dalla gestione più giovane (o spesso giovanile) – dove poter prezzare una pasta e fagioli sopra i 10 euro.
Anche di quei luoghi più grezzi e sporchi ne verranno scollati i “rivestimenti e l’immagine”: l’iconografia, gli archetipi e gli stilemi, così da poterne “rivestire” locali completamente nuovi e dalla gestione più giovane (o spesso giovanile) – dove poter prezzare una pasta e fagioli sopra i 10 euro.
Scollare l’immagine dalle vecchie trattorie; l’operazione che viene effettuata su questa pagina Instagram è esattamente la medesima: scollarne l’immagine, l’iconografia. La stessa operazione di scollamento di cui parla Guy Debord nella “Società dello spettacolo”. Scollarla e ricucirla addosso ad altro, e quest’altro sarà prima di tutto più caro – anche se spesso percepito come più “giusto”. Tutte le fotografie presenti sulla suddetta pagina Instagram che riguardano questi “posti sinceri” sono scattate in modo professionale, alla stregua delle fotografie di moda dei Novanta – per cui: queste immagini, i ritratti dei locali in questione, di sincero – già – non hanno molto. Non sono fotografie amatoriali, ma professionali e seriali. Ritraggono, con una freddezza nordica e da ritratto mediatico, dei luoghi spesso ben più caldi di come sono mostrati. Come se in tale fredda precisione nel ritrarli fosse già insita la trasformazione in atto: la prima fase di questo scollamento. Questi luoghi sono, o dovrebbero essere, agli antipodi dall’ordine schematico con il quale sono stati ritratti. Ma visti così, attraverso tale utilizzo della prospettiva e dei cromatismi, vengono “rivalutati” più facilmente, anche da un pubblico generalista – convinto di appartenere a qualche élite.
Alla fine il punto è: chi se ne fotte della tovaglia a quadri o della “romantica” macchia di sugo: non mi meraviglierebbe nemmeno un futuro in cui quella macchia fosse già stampata appositamente – mediante specifici effetti – sulla tavola.
Alla fine il punto è: chi se ne fotte della tovaglia a quadri o della “romantica” macchia di sugo: non mi meraviglierebbe nemmeno un futuro in cui quella macchia fosse già stampata appositamente – mediante specifici effetti – sulla tavola.
Le caratteristiche importanti (se mai fossero catalogabili) – ascrivibili a tali luoghi – sono altre: la qualità del cibo ricavato anche da parti meno pregiate – di scarto (e per questo economiche: se un piatto di scarto ve lo fanno pagare 10 euro non è più scarto ma una stronzata), le dimensioni delle porzioni e sopratutto il prezzo finale, oltre all’elemento fondamentale derivato da tutto ciò precedentemente accennato: l’amalgama generatasi fra l’umanità che abita questi posti.
Si potrebbe beatamente fare a meno delle tovaglie o dell’atmosfera “di casa” se sussistessero le ben più importanti prime caratteristiche elencate. Nella stessa Milano è frequente – da tempo – imbattersi in locande che dall’estetica prometterebbero un trattamento, puntualmente tradito al momento del pagamento. Luoghi semplici e rozzi, però costosi (sono un ossimoro in sé), qui – con tempistiche ante litteram – la scusa del “tipico” è già motivo per sbattersi meno e incassare di più. Utilizzando così a favore economico questo stile nell’arredamento, inizialmente dettato da condizioni meno abbienti e oggi paradossalmente riproposto come sfaccettatura da vendere al miglior offerente.
Se qualcuno volesse rintracciare nel presente tale sincerità e autenticità, dovrebbe ricercarla nelle stesse dinamiche che hanno generato lo stile da trattoria – oggi tanto iconografico. Nelle stesse dinamiche – DINAMICHE. Non solo nell’iconografia dei luoghi, ma utilizzando il pensiero e non soltanto la vista – dovrebbe mettere in relazione le informazioni, così da ritrovare le stesse dinamiche altrove. E queste continuano a ritrovarsi anche nelle grandi città europee, compresa Milano – qui rivedo la sincerità di alcune trattorie cinesi, africane e sudamericane, così come in alcune raviolerie cinesi di Belleville, dove – nella carissima Parigi – è ancora possibile farsi servire dell’abbondante pasta fatta in casa a 4 euro e cinquanta. O negli ottimi gözleme ripieni di una purea di patate speziate, venduti a 1 euro e mezzo dalla signora turca di Maybachufer, a Berlino. Sì, tutti gli ultranazionalisti di questo mondo se lo devono sbattere in testa, se si cerca la sincerità delle trattorie, sempre più spesso sarà impossibile ritrovarla, se non negli stranieri che fra mille difficoltà tireranno su nuove locande – dove l’arredamento e i piatti saranno il frutto di una necessità: quella di spendere e far spendere poco, anche ai propri avventori.
Attraverso questi presupposti sono nati e continueranno a nascere nuovi luoghi “sinceri” – attraverso le stesse dinamiche (di necessità) che hanno contraddistinto il sorgere delle trattorie dei “terroni milanesi” negli anni Sessanta, le quali spesso sono proprio quelle che ancora oggi tanto amiamo iconograficamente.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2019-05-01