Continuo a osservare le reazioni delle cose intorno a me. Il modo in cui le persone stanno direzionando le loro vite e, soprattutto, le scelte che le istituzioni, quindi “le guide”, stanno compiendo. Osservo la cultura più che altro, perché lì risiedono versioni di possibilità.
Come abbiamo già raccontato per la sua stagione teatrale, c’è un posto a Milano che sta manifestando grande solidità e presenza. Si tratta della Triennale. Ricordo chiaramente che, quando l’ho studiata all’università, me ne parlavano come un punto di riferimento enorme per la città, un luogo in cui gente di ogni tipo e estrazione andava a fare cose, a passare il suo tempo libero con amici e famiglie. Mi sembrava il solito miraggio da “passato dorato ma andato”, ma devo ammettere che piano piano, negli ultimi anni, Triennale si sta riconquistando quel ruolo. È una fucina in cui succedono tante cose e di ogni tipo. I suoi spazi immensi non hanno un sapore trascurato e nessun angolo sembra buio. Siamo andati a parlare con Damiano Gullì, curatore del public program, per farci raccontare meglio la strada percorsa e le scelte fatte ma, soprattutto, la nuova programmazione, in attesa della Triennale del prossimo anno.
Due sono ormai gli anni che segnano scelte e svolte nelle nostre vite. Per la Triennale si è trattato più che altro di una capacità di tradursi, mantenendo la via dritta e ampia e portando dentro e fuori nuovi approcci e linguaggi. Il primo è stato il Decameron, iniziato con una performance con i fumogeni di Goldschmied e Chiari nello spazio fisico, per poi dissolversi pian piano come il fumo e lasciare gli spazi non solo chiusi, ma definitivamente vuoti. Ma solo per accendersi online e riempire ogni spiraglio della triennale on-air con decine e decine di invitati, dai percorsi e i contributi più vari, proprio per affermare la volontà di esserci e di esserci per tutti. Ma la vera conferma è arrivata con le due stagioni estive, quella del 2020 e, soprattutto, quella del 2021, che hanno visto il giardino della Triennale letteralmente esplodere. Una programmazione inclusiva ma di livello, varia ma mai scontata, che comunica nei diversi livelli di eventi. L’istituzione ha dimostrato grandi capacità di affermazione con un’identità plurale – tante discipline e forte attenzione al contemporaneo. Io stessa sono andata a vedere e fare di tutto: dalla partita di calcio alle festone di Club Zero, ai talk tra artisti e filosofi o di fanzine pazzesche come Kore, passando attraverso una stagione musicale di ricerca e non scontata.
Insomma, voto 10+, ora vediamo come prosegue questa grande dimostrazione di coerenza e impegno.
Lavorare con forti tematiche di accessibilità comporta una serie di complessità sia a livello strutturale che di programmazione. A partire dal creare situazioni di rispetto sia verso il luogo, che verso la città. Anche per questo tutti gli appuntamenti di Triennale raccontano molto di Milano ma includono sempre un panorama internazionale.
Su questa linea si inseriscono le due grandi mostre al primo piano: Saul Steinberg, figura ibrida e brillante della grafica, l’arte e l’illustrazione, che ha tessuto la sua vita tra Milano e New York. A lui è dedicato un bellissimo e ampio percorso di mostra, tessuto da Italo Lupi e Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari, che attraversa tante fasi e riflessioni della sua carriera, visitabile fino al 13 marzo. Accanto si apre la mostra di Raymond Depardon, che rinnova la collaborazione con Foundation Cartier e che porta un allestimento ben riuscito, tra gli scatti in bianco e nero di Vita Moderna, con la loro identità forte e un dialogo cromatico alle pareti. La mostra si chiude con un delicato racconto delle realtà degli ospedali psichiatrici degli anni settanta.
Pietro Lingeri, Carlo Mollino, Marina Ballo Charmet e la mostra Refocus, raccontano invece punti di vista diversi della città di Milano, di professionisti che hanno segnato le città e le abitazioni in cui viviamo, ma tutto attraversato dall’occhio e la personalità che ci sta dietro. Dettagli sensibili e intimi insieme a scelte e periodi storici indimenticabili.
Ma il contemporaneo, l’oggi, non è trascurato e gli sguardi che raccontano le dinamiche di una città possono essere molteplici, come il progetto di Giovanna Silvia – Milan, I listen to your heart: una mostra di mille fotografie che si arrampica sulla scala brutalista della Triennale e che racconta Milano attraverso le facciate dei suoi edifici, così ampie e maestose da non stare dentro al singolo scatto. Ma anche What Is the City But the People?, un progetto di ricerca ospite del Milano Urban Center, che si interroga sulla progettazione urbana, su cosa vuol dire essere e fare una città, attraverso diversi linguaggi e pratiche culturali, e che inaugura in Triennale con la mostra Milano Piano Zero, a cura di Giacomo Pigliapoco e Chiara Spagnol.
Ma la Triennale è anche un gran vociare, con talk di approfondimento, sia per le mostre che dell’intensa stagione teatrale – che vi abbiamo raccontato qui. Incontri che uniscono punti di vista diversi intorno a tematiche estremamente contemporanee, come The Sweet Tomorrow, che si struttura a partire dal tema della sostenibilità o l’evento dedicato all’insuperabile Lina Bo Bardi, per conoscere una grande sensibilità che ha segnato l’immaginario e l’architettura.
La musica non manca mai e Triennale accoglie JAZZMI, oltre alla sede di Radio Raheem che porta avanti una programmazione di ricerca e avanguardia.
Passetto passetto ci avviciniamo alla primavera 2022 per “l’inconoscibile” 23° Triennale di Milano.