Gli ultimi due anni pandemici sono stati caratterizzati da dinamiche e movimenti agli antipodi: se da un lato la diffusione e la cura vaccinale del Covid hanno rimarcato una certa irreversibilità dei processi di globalizzazione, dall’altro il tempo di resilienza trascorso tra questi due momenti ha riportato tutti con forza a una dimensione iperlocale: quella dell’appartamento, delle strade attorno alla propria casa, dei quartieri, fino a riscoprire la città come una somma di unità e reti. Proprio su questo terreno ZERO ha incontrato nelle ultime settimane il lavoro di Scenario, realtà a cavallo tra Roma e Berlino che indaga il ruolo dell’immagine fotografica nella cultura e nella divulgazione architettonica e urbana, ampliandone la consapevolezza. Da questo incontro è nato Luci su Roma, un progetto editoriale che nei prossimi mesi vi porterà in giro per la città attraverso il racconto e le foto di alcuni dei protagonisti della progettazione, della creatività e dell’artigianato di Roma. Il quarto appuntamento è con Westway Architects, studio fondato nel 2005 e diretto dai soci Luca Aureggi, Maurizio Condoluci, Laura Franceschini, che si occupa di progettazione architettonica con interventi nel settore residenziale, produttivo, commerciale e direzionale. A loro abbiamo chiesto di raccontarci San Lorenzo, quartiere che da pochi mesi accoglie la loro nuova sede in via dei Reti e che rappresenta un unicum in tutta Roma per essere un “borgo” circoscritto e quasi protetto, nel quale ogni volta si entra e non semplicemente si arriva.
“Entrare a San Lorenzo. Sì, perché non si arriva a San Lorenzo, ma si ha proprio la netta percezione di entrare.
Questa natura di luogo in cui accedere è prepotentemente indotta dalla presenza di veri e propri “bordi” che cingono questo straordinario pezzo di città, quasi a enuclearlo. I “bordi”, che costituiscono una sorta di cinta muraria, sono limiti invalicabili come nel caso dello Scalo e di Termini, o invece aree non abitate, o abitate parzialmente, come nel caso del Verano e dell’Università: è come se San Lorenzo fosse una presenza protetta, all’interno della città, perché non scambia “osmoticamente” la propria urbanità, ma la preserva quasi fosse un carattere da proteggere. Questo conferisce al quartiere una capacità attrattiva forte, perché si mostra come modello di città con dimensioni controllate e definite, che nel tempo hanno creato un particolare sentimento di appartenenza presso gli abitanti e di seduzione per chi lo frequenta. Un aspetto del quartiere che si percepisce non si trova tanto nell’immagine degli edifici, anche se ce ne sono di interessanti, piuttosto nel loro essere legati strettamente a un collante urbano indefinibile, eppure forte e palpabile, dato proprio dai bordi, dai confini, e lo rendono una sorta di “borgo” dove entrare. Un borgo all’interno della città, con una propria storia, anche dolorosa, e una propria identità sociale e politica; e in questo “borgo”, in punta di piedi, siamo entrati con il nostro nuovo studio.
Quando abbiamo visto per la prima volta l’immobile – un grande capannone industriale in Via de Reti, da anni non utilizzato – ci è apparsa l’immagine iconica della casa, e questo essere in grado di esprimere e rappresentare una delle immagini fondanti dell’abitare è stato il primo aspetto che ci ha attratto. Venivamo dopo quindici anni trascorsi in uno studio molto fascinoso in via Giulia, accanto a Palazzo Sacchetti, ed eravamo in cerca di una diversa spazialità, meno chiusa e delimitata come invece spesso accade negli edifici storici. Per questo, vedere la facciata-casa e poi, entrando, scoprire un’inusitata profondità e un tetto che vola alto sulla testa facendo intravedere il cielo, è stata davvero una rivelazione che ci ha ammaliato. Ma forse la scoperta più interessante è stata percepire quanto questo edificio fosse immerso in un pezzo di città di rara vitalità. Da questo punto di vista via Giulia rappresenta l’esatto opposto, con la sua nobile ma distaccata immagine che dichiara programmaticamente di non appartenerti. Qui no. Qui la città ti appartiene, e te lo fa sentire, e ti accoglie. Nei luoghi e nelle persone.
Proprio questo ci ha convinto a voler trovare una relazione simbiotica con la città e a lavorare su un progetto di recupero e trasformazione che permettesse sia di disporre di spazi ampi e luminosi, dove far entrare la luce attraverso grandi lucernari e le facciate-vetrate che caratterizzano questa architettura, sia, soprattutto, permettere alla città stessa di entrare con eventi e incontri che a breve partiranno. Abbiamo insomma voluto immaginare non solo una nuova sede del nostro studio, ma un nuovo luogo per il quartiere, a cui ci auguriamo di poter offrire la nostra capacità di lettura e trasformazione attraverso uno scambio aperto, inclusivo e osmotico”.